FACCE DISPARI
Fabio Toncelli: “Riscopro i luoghi dimenticati della Roma in guerra”
Sui social il documentarista riacciuffa dalle note a margine episodi giudicati minori e che svelano come un palazzo o un incrocio guardato tante volte e mai osservato bene fu testimone di drammatici frangenti di cui restano tracce ancora percettibili
Ci accontentiamo, in mancanza di una macchina del tempo, delle escursioni lampo realizzate dal regista di lungo corso Fabio Toncelli su Instagram, Facebook, YouTube. Per i romani sono viaggi gratuiti a chilometro zero nei luoghi dove si consumarono vicende dimenticatissime tra le raccontatissime dei nove mesi in cui i tedeschi occuparono la Capitale, dal settembre 1943 al giugno 1944. Già autore di noti documentari naturalistici e storici, tra cui alcuni dedicati alla caduta del fascismo e alla Seconda guerra mondiale, Toncelli è stato preso da una certa nostalgia, una smania emotiva che porta chi ha confidenza con la Storia a riacciuffarla tra le note a margine, tra i luoghi che ospitarono episodi giudicati minori dagli specialisti e ignoti a tutti gli altri. I suoi video rivelano che l’anonimo incrocio dove passi ogni giorno, o un palazzo guardato tante volte e mai osservato bene, furono testimoni di drammatici frangenti di cui restano tracce ancora percettibili.
Qual è il video che ha riscosso maggiore successo?
Quello in cui mostro un tombino che reca ancora la scritta Eiar nei pressi della sede Rai di via Asiago: due milioni e 800 mila visualizzazioni. Quel posto è rimasto quasi com’era nel settembre ’43, quando i paracadutisti tedeschi la sera del 10 presero possesso della Stazione Radio Roma 2. Ho recuperato le immagini di quei giorni perché il raffronto con il materiale iconografico è l’innesco di tutte le mie storie.
Quanti avranno notato su un muro di via dei Villini, nei pressi di Porta Pia, la scritta stinta “Ricovero antiaereo pubblico – capienza posti 200”?
È nell’area della catacomba di San Nicomede e dedicherò un video anche alle sirene antiaeree: Roma durante la guerra ne contava un centinaio, ma sui tetti condominiali ne rimangono ancora ventidue confuse tra le antenne. Sono convinto che alcune siano persino funzionanti.
Le sue visite recenti hanno toccato la Magliana, la Montagnola e la basilica dei Santi Pietro e Paolo all’Eur, che furono teatro della battaglia tra tedeschi e granatieri italiani dopo l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre.
Crescendo alla Montagnola, da ragazzo orecchiavo i ricordi orali e poi trovai otto foto a colori di quegli scontri. Ho filmato i luoghi e gli edifici dove i granatieri e alcuni civili combatterono dalle 21,30 dell’8 settembre alla mattina del 10 tra la Cecchignola, la Magliana dove era collocato un ponte mobile sul Tevere e l’incrocio tra l’attuale via Cristoforo Colombo e via Laurentina. I tedeschi per occupare Roma dovevano espugnare quel caposaldo, peraltro bombardato dai cannoni messi sul “Colosseo quadrato” che gli artiglieri italiani avevano abbandonato nell’assenza di ordini precisi. I tedeschi invece, com’è noto, sin dal 25 luglio avevano predisposto un piano di occupazione.
Quali scoperte l’hanno emozionata di più?
Sono state e sono tutte emozionanti e mi lusinga che lo percepisca chi commenta i miei contenuti. C’è chi chiede delucidazioni, chi ne fornisce a sua volta, chi si mostra sorpreso o commosso.
Un esempio?
Il video realizzato a due passi da piazza Bologna in via Sambucuccio d’Alando, dove un palazzo ostenta ancora la facciata bucherellata da una bomba spezzonata inglese caduta nel marzo 1944. Sterminò un’intera famiglia, che al suono dell’allarme non era scesa nel rifugio perché vegliava un defunto. Nel post ho divulgato la scoperta che l’ordigno era destinato alla vicina scuola elementare ‘Fratelli Bandiera’, adibita a ospedale militare tedesco. Una spia aveva rivelato agli Alleati che l’edificio nascondeva anche un deposito di munizioni e che di notte le truppe della Wehrmacht si acquartieravano nei paraggi in attesa di essere smistate allo scalo ferroviario tiburtino per partire verso il fronte.
Cosa l’ha spinta, a un certo punto della vita, a esplorare i luoghi domestici?
L’avventura è una condizione mentale per la quale non è necessaria la distanza: può esercitarsi pure sotto casa. Quando preparavo i documentari accumulavo tante piccole storie che non potevano trovarvi posto ma di estremo interesse. Ed è giunto il momento di ripescarle.
Quanto s’assottiglia la barriera del tempo?
Se socchiudo gli occhi, mentre percorro un certo ponte o una piazza mi pare di vivere in quel passato anche se sono nato nel 1962.
C’è una figura con cui s’identificherebbe?
Non è stato difficile pensarmi nei panni dell’agente segreto americano Peter Tompkins, quando a ventiquattro anni attraversa Ponte Milvio sotto gli occhi dei tedeschi che ignorano chi sia, scende dal tram a piazza del Popolo o incontra i nemici a una festa ai Parioli.
La fascinazione è la sola ragione dei suoi post?
Li propongo anche perché Roma ha fatto troppo in fretta a dimenticare quei nove mesi, malgrado i grandi eventi siano stati ripetutamente raccontati. Intendo dire che la memoria popolare si è accomodata su ricordi o verità convenzionali spesso accordate a visioni di comodo o di parte. Bisogna riaprire il ripostiglio dove abbiamo affastellato alcuni fatti e condividerli in un racconto collettivo. I nostri nonni eravamo noi. Che ruolo abbiamo avuto? Non possiamo delegare il compito soltanto agli studiosi, tantomeno alla politica che se ne serve per i propri scopi. L’Italia deve ripartire dai fatti come furono, poi ognuno dia il suo giudizio. Per decenni è stato difficile indagare quel periodo senza prendere posizione, ma il manicheismo serve solo a mantenerci divisi.
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