Ansa

il confronto impari tra boomers e giovani

Addio lotta di classe, ormai il conflitto sociale è quello generazionale

Giovanni Belardelli

Nel libro "Kolkhoze", Emmanuel Carrère ha scritto che i boomers “non hanno lasciato niente a chi veniva dopo”. Si tratta di una lotta che non ha mai avuto un esplicito riconoscimento nel discorso pubblico, e i ragazzi sembrano averne ben poca consapevolezza

Nell’ultimo libro di Emmanuel Carrère (Kolkhoze, POL 2025) c’è una pagina su cui vale la pena di soffermarsi. Vi si parla di coloro che, appena più grandi dello scrittore (nato nel 1957), hanno vissuto in Francia l’esperienza del Sessantotto avendone la vita cambiata per sempre. “Credo sia senza precedenti – scrive Carrère – che i vincitori di una generazione abbiano sommato fino a questo punto il prestigio della ribellione e le soddisfazioni del potere. L’odio invidioso che ispirano i boomers alle giovani generazioni è giustificato: loro hanno avuto troppo il campo libero e non hanno lasciato niente a chi veniva dopo”. In realtà la prima frase è più suggestiva che fondata poiché il passaggio dai ranghi della rivoluzione o della ribellione a quello del governo e del potere non è affatto inedito.

 

Limitandoci al nostro paese, pensiamo a quanti cospiratori del Risorgimento – a cominciare da Depretis o Crispi – si trovarono poi in posizioni di vertice nel nuovo Regno d’Italia. Ma ciò che merita attenzione è piuttosto quel che Carrère afferma subito dopo: i boomers “non hanno lasciato niente a chi veniva dopo”. E’ davvero così? Nel nostro discorso pubblico i conflitti sociali continuano in genere a essere interpretati nei termini del vecchio concetto di “lotta di classe” di cui parlava Marx. Quel che scrive Carrère invita invece a considerare le cose in un altro modo, a interpretare quei conflitti anche (e forse soprattutto) nei termini di un conflitto di generazioni tra i boomers (i figli del boom demografico successivo alla Seconda Guerra Mondiale ma anche, in Italia, del più o meno contemporaneo boom economico) e quanti sono venuti dopo. Si tratta di un conflitto che non ha mai avuto un esplicito riconoscimento nel discorso pubblico e non ha mai conquistato il proscenio, ma che domina la nostra vita collettiva e la politica dei governi. Il gigantesco debito pubblico italiano è in fondo la prova tangibile del colossale drenaggio di risorse iniziato negli anni 70 su pressione e a vantaggio dei boomers e a danno dei loro figli e nipoti. I discorsi della politica su un tema chiave come quello delle pensioni – incentrati non sulle difficoltà che avranno le nuove generazioni ma su come conservare qualche residuo privilegio a quelle più vecchie – confermano questo fatto. Come ormai si è ripetuto un’infinità di volte, è pressoché certo che i giovani e anche meno giovani di oggi non potranno godere dello stesso benessere dei loro genitori.

 

Questo fatto ha delle cause storico-epocali e che riguardano tutte le democrazie occidentali; ma tra esse c’è anche il fatto che i boomers “non hanno lasciato niente a chi veniva dopo”. E il problema è destinato ad aggravarsi per il combinato disposto dell’inverno demografico in cui siamo entrati e delle regole della democrazia. Si ha un bel citare De Gasperi (“un politico pensa alle elezioni, uno statista alle nuove generazioni”), ma anche gli statisti devono pur sempre essere votati, e da un elettorato che ormai è composto in misura crescente da ultra sessantenni. Difficilmente lo saranno con programmi e slogan volti a restituire alle nuove generazioni un po’ di quello che è stato loro tolto. Per i sindacati vale un discorso analogo, visto che la categoria più numerosa dei confederali è quella dei pensionati. Per di più del conflitto tra le generazioni i giovani sembrano avere ben poca consapevolezza: se si mobilitano e scendono in piazza è contro Israele, contro i tagli (veri o presunti) all’istruzione, per arginare un fantomatico pericolo autoritario. Non per riavere indietro almeno qualcosa di ciò che è stato loro tolto.