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Con Mimmo Jodice e James Senese si perdono due anime di Napoli
Salutiamo, senza retorica, due figli della guerra, che cercarono immagini e note e furono già storia ancora vivi. Nessuno, raccontando l'ultimo mezzo secolo della città, potrà prescindere da loro
Per curiose congiunture che forse non capiremo mai, Napoli ha salutato in poche ore due figli illustri: se ne vanno il fotografo Mimmo Jodice e il musicista James Senese, ma la traccia impressa da entrambi durerà perché nessuno, raccontando la storia della città nell’ultimo mezzo secolo e oltre, potrà prescindere da loro. Reinventarono ma non dimenticarono, con l’immagine e i suoni, quel gran mondo pesante e al contempo prezioso che definiamo generalmente tradizione. Chi l’ha ignorata è già dimenticato, chi la trasformò senza dimenticarla sarà indimenticabile.
Salutiamo senza retorica due figli della guerra, Jodice e Senese, che cercarono immagini e note e furono già storia ancora vivi. Se un soldato di colore americano non avesse amato una ragazza di Napoli non ci sarebbe stato il sax di Senese, non ci sarebbe stata l’invenzione del Neapolitan Power, una miscela sonora che testimoniò l’incontro fra culture che solo nell’habitat bifronte e permeabile della città poteva trovare l’amalgama giusto e aprire nuove strade. Fu decisivo, il figlio della Tammurriata Nera, per il futuro artistico del giovanissimo Pino Daniele, cresciuto anche grazie alle suggestioni del gruppo Napoli Centrale, mentre la polimorfa scena cittadina riproponeva pure il folklore con la Nuova Compagnia di Canto Popolare ma non sbarrava la strada al “rinnegato” Edoardo Bennato.
Jodice, più grande di Senese di undici anni, s’era già imposto nella fotografia collaborando con Warhol, Pistoletto, Beuys, consacrandola da Napoli a dignità autonoma fino a conquistarle la prima cattedra italiana all’Accademia di Belle Arti. Spogliata l’immagine dalla oleografia fermò sulla pellicola il colera, gli scugnizzi, i manicomi quando sembrava che l’arte per legittimarsi dovesse militare, poi se ne svincolò per ricercare l’antropologia del mito, le civiltà mediterranee, i sogni dietro le facciate. Lascia tra gli insegnamenti, come Senese, la riprova che i veri artisti scelgono sempre la via della libertà, e ci si può affacciare sulle “feste di piazza” per capirle ma poi bisogna andarsene.
Senese amava Coltrane e Mario Merola, Jodice inseguiva l’invisibile, entrambi decisero di rimanere a vivere e morire nella loro città, foss’anche per la voglia eliotiana di “puntellarne le rovine”. Per tornare ai segni (sulla tastiera m’era scappato “sogni”, e magari andava bene lo stesso) che non capiremo, e associano destini differenti nel contiguo addio, la storia di Mimmo Jodice e del figlio Francesco, artista visuale internazionale, è stata raccontata giorni fa nel documentario “Oltre il confine” alla Festa del Cinema di Roma. Senese invece apparirà nel film biografico “Je so’ pazzo”, dedicato a Pino Daniele, che il produttore Filippo Valsecchi ha appena realizzato. L’attore che interpreta il musicista pare uguale a lui e ho chiesto come l’abbiano scovato: “L’abbiamo visto per strada, camminando per Napoli”. Occhi e orecchie. Sogni e segni.