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Cortigiani & cortigiane. La zuffa attorno a una parola e alle sue ambiguità al femminile
Dopo le parole che il segretario della Cgil Landini ha rivolto alla premier Meloni urge una rilettura di Baldassar Castiglione che ha scritto un manuale di bon ton, che ci indica come in origine il termine non fosse affatto negativo
"La Meloni che in realtà si è limitata a fare la cortigiana di Trump e non ha mosso un dito” su Gaza, ha detto a “diMartedì” il segretario della Cgil Maurizio Landini – autorizzando implicitamente a concludere che, siccome lui non fa niente sull’Ucraina, sarebbe un “cortigiano di Putin”. “Cortigiana verrà ripreso perché è un termine sessista, intende stare sulla scia di Trump senza incidere?”, gli ha subito risposto Giovanni Floris. “Certo, stare alla corte di Trump”, è stata la puntualizzazione. “Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, evidentemente obnubilato da un rancore montante (che comprendo), mi definisce in televisione una ‘cortigiana’”, gli ha però subito risposto la presidente del Consiglio via social: “Penso che tutti conoscano il significato più comune attribuito a questa parola… Ed ecco a voi un’altra splendida diapositiva della sinistra: quella che per decenni ci ha fatto la morale sul rispetto delle donne, ma che poi, per criticare una donna, in mancanza di argomenti, le dà della prostituta”. Il dibattito è andato avanti tra talk show e post: “No, con ‘cortigiana’ non intendevo ‘donna dai facili costumi’ nel modo più assoluto, anche perché immediatamente la stessa sera avevo potuto dire con chiarezza il mio pensiero”, ha insistito Landini a “In Altre Parole” di Massimo Gramellini, dicendo di avere “trovato anche singolare che la reazione della premier sia arrivata 48 ore dopo la mia intervista, guarda caso il giorno prima che uscisse la legge di bilancio. Un modo per parlare d’altro e per descrivere una Cgil che non si occuperebbe dei problemi dei lavoratori”.
Presente anche Rosy Bindi che, ricordando quando nel 2009 Silvio Berlusconi a “Porta a Porta” l’aveva definita “più bella che intelligente” ha puntualizzato come “in quell’occasione, a differenza di questa, non era sbagliata la parola, il concetto era proprio chiaro: era un insulto bello e buono”. Ma “nel caso di Landini, penso che la parola poteva non essere usata, perché ha quel significato che ha: uno apre il vocabolario e ci trova scritto determinate cose, tanto è vero che Floris ha reagito subito”. Lei il concetto lo condivide, ed è rimasta a sua volta “molto sorpresa del fatto che si sia reagito 48 ore dopo”. Ma pur ammettendo che “Landini non volesse dire quello che c’è scritto nel vocabolario”, gli ha ricordato che “bisogna stare attenti, perché questi usano tutto come arma di distrazione di massa. Gli serve tutto pur di non parlare dei problemi veri e reali del paese. E noi purtroppo qualche volta ci caschiamo”. Da cui un invito a non fare come Berlusconi e a chiedere scusa, che però Landini ha respinto.
Il vocabolario, appunto. Come spiega quello paradigmatico della Treccani: “Cortigiano (ant. cortegiano) [der. di corte]. - agg. 1. [che riguarda la corte]. 2. (fig.) [che dimostra adulazione: spirito c.] ≈ (spreg.) cortigianesco, deferente, ipocrita, lusingatore, servile…; s. m. 1. (stor.) [addetto alla corte con un grado onorifico, gentiluomo di corte]. 2. (fig., spreg.) [persona di animo servile, opportunistico] ≈ adulatore, ipocrita, (pop.) leccapiedi, piaggiatore, (pop.) ruffiano”. E invece: “Cortigiana (ant. cortegiana) s. f. [femm. di cortigiano]. – Propr., donna di corte: molto minor fatica mi saria formar una signora che meritasse esser regina del mondo, che una perfetta cortegiana (B. Castiglione). Già nel sec. 16° la parola fu usata a indicare donne di costumi liberi, non prive di cultura e raffinatezza. Con un’accezione offensiva, nell’uso letter. moderno, prostituta: vidi l’Antonietta, appassita, imbellettata, vestita scandalosamente, ... in compagnia di un’altra c. di mezza tacca come lei (Soffici); dim. cortigianèlla; spreg. cortigianùccia; pegg. cortigianàccia”. A sua volta, il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia cita come testimonianza tra le più antiche dello spostamento semantico un passo dell’ecclesiastico e novelliere cinquecentesco Matteo Bandello: “Ella era molto bella e giovane. Il perché, essendo in abito di cortegiana ed usando atti di putta, cominciò a servire quelli che erano in nave, […] di quelli servigi che communemente gli uomini da le donne ricercano”.
Ma il significato più recente ha assorbito ormai quello più antico, o le due cose possono convivere? E, in questo caso, come distinguere quando si intende l’una o l’altra? Se ci si pensa bene, non è il solo termine per cui può sussistere una ambiguità del genere. Quante possibilità avrebbe un uomo denunciato per molestie sessuali di cavarsela sostenendo che il “ti va di scopare” detto a una signora era in realtà una proposta di assunzione come donna delle pulizie? E quante possibilità tecniche ci sarebbero per far passare un “ma vai a quel paese” come un consiglio turistico? C’è pure la vecchia barzelletta sul ciclista che, arrancando in salita con la voce stravolta per la fatica, chiede l’indicazione per un santuario: “Vado bene per la Madonna?”, e scambiando la destinazione per una esclamazione gli si risponde con un bestemmione al Padre Eterno, seguito da un “mi pari Coppi!”.
E che l’ambiguità peggiorativa tra maschile e femminile in italiano sia abbastanza diffusa, più ancora che dai vocabolari, in questa polemica è stato ricordato con un monologo di Paola Cortellesi al David di Donatello del 2018. “Un cortigiano: un uomo che vive a corte. Una cortigiana: una mignotta. Un massaggiatore: un chinesiterapista. Una massaggiatrice: una mignotta. Un uomo di strada: un uomo del popolo. Una donna di strada: una mignotta. Un uomo disponibile: un uomo premuroso. Una donna disponibile: una mignotta. Un passeggiatore: un uomo che cammina. Una passeggiatrice: una mignotta. Un uomo allegro: un buontempone. Una donna allegra: una mignotta. Un uomo di mondo: un gran signore. Una donna di mondo: una gran mignotta”. “Ma guarda che contrasto / che ridicola illusione / la botte è così grossa e così piccolo il bottone”, chiosava la canzone cantata dai nani nel più antico doppiaggio italiano della “Biancaneve” di Walt Disney.
Attenzione, però. Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione è un manuale di bon ton, che ci indica come in origine il termine non fosse affatto negativo. Scritta tra il 1513 e il 1524, sottoposta a correzioni e pubblicata definitivamente nel 1528, poco prima della sua morte, l’opera è ispirata all’esperienza da cortigiano della duchessa di Urbino Elisabetta Gonzaga, e si presenta come un dialogo in quattro libri che descrive usi e costumi ideali del perfetto cortigiano. Il terzo illustra in particolare le regole per diventare una signora perfetta, cioè una cortigiana, nel senso di una maestra di buone maniere, di cui in effetti sono all’antitesi non solo la rozzezza egocentrica e i pacchiani capelli arancioni di Trump, ma anche il tono da “pesciarola” che a Giorgia Meloni è spesso attribuito. Insomma, per il grande teorico della cortigianeria, la presidente del Consiglio sarebbe semmai una anticortigiana. Dedicata inizialmente ad Alfonso Ariosto, diplomatico e fratello del nonno del poeta, e poi anche a Miguel da Silva, vescovo portoghese molto amico anche di Raffaello, nel primo libro l’opera spiega le principali caratteristiche che un cortigiano dovrebbe avere. Tratta dunque della nobiltà, della guerra, del rapporto tra uomo d’armi e uomo di lettere, del buon uso del linguaggio, e dei rapporti tra pittura e scultura: due discipline che, insieme con la letteratura, il perfetto cortigiano deve conoscere.
Il secondo libro non tratta solo dell’utilizzo delle competenze acquisite dal cortigiano: dagli esercizi cavallereschi al vestirsi con proprietà, dalle amicizie da coltivare all’eccellere nei giochi a corte. Dedica anche molto spazio alla conversazione, con un ampio excursus sulle facezie, prestando particolare attenzione a quali tipi si addicano a un buon cortigiano e quali siano invece da evitare. Insomma, se avesse letto Il Cortegiano quella battuta sui cortigiani Landini se la sarebbe risparmiata. Dopo esser passato, nel terzo volume, alla cortigiana nel senso di “donna dell’alta società”, il libro quarto mette assieme i protagonisti dei libri precedenti con una trattazione dell’amore, sui tipi di desiderio che possono manifestarsi: sensuale, razionale, intellettuale. Qual è più adatto al cortigiano? L’autore tratta anche dei rapporti tra il cortigiano e il suo signore, di come debba essere il rapporto fra i due e di come il cortigiano possa efficacemente consigliare il suo signore, ma senza limitarsi a una adulazione servile. Insomma, per molti versi il cortigiano di Castiglione è agli antipodi del cortigiano di Landini. Antonio Gramsci, verso cui Landini dovrebbe avere, in teoria, un certo debito intellettuale, nei Quaderni dal carcere sosteneva infatti che “per intendere il Rinascimento è più importante Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione de L’Orlando furioso”.
Tanto poco il cortegiano era cortegiano nel senso landiniano che nel 1583 fu pesantemente censurato dal gesuita Antonio Ciccarelli, in base alle regole stabilite dalla Congregazione conciliare per l’Indice pubblicate nel 1564. Fu uno dei primi libri a subire questa purga, proprio perché era un best-seller di cui era improponibile un divieto netto. Durante la sua visita in Italia Francesco I di Francia lo aveva letto, e ne era rimasto così impressionato da farlo tradurre in francese. Ne fece fare varie copie, che distribuì tra i suoi cortigiani, proprio perché pensava che il libro dipingesse il suo modello ideale di corte reale, lo stesso cui aspirava per la sua. Ma, specie nei confronti del potere ecclesiastico, era stato troppo poco cortigiano nel senso landiniano.
“Molte volte più nelle cose piccole che nelle grandi si conoscono i coraggiosi”, si legge ne ll Cortegiano. E, ancor più definitivo: “Il fin adunque del perfetto Cortegiano, del quale insino a qui non s’è parlato, estimo io che sia il guadagnarsi, per mezzo delle condizioni attribuitegli da questi signori, talmente la benivolenza e l’animo di quel principe a cui serve, che possa dirgli e sempre gli dica la verità d’ogni cosa che ad esso convenga sapere, senza timor o pericolo di dispiacergli; e conoscendo la mente di quello inclinata a far cosa non conveniente, ardisca di contradirgli, e col gentil modo valersi della grazia acquistata con le sue buone qualità per rimoverlo da ogni intenzion viziosa, e indurlo al cammin della virtù; e così avendo il Cortegiano in séė la bontà, come gli hanno attribuita questi signori, accompagnata con la prontezza d’ingegno e piacevolezza, e con la prudenza e notizia di lettere e di tante altre cose: saprà in ogni proposito destramente far vedere al suo principe, quanto onore ed utile nasca a lui ed alli suoi dalla giustizia, dalla liberalità, dalla magnanimità, dalla mansuetudine, e dall’altre virtù che si convengono a buon principe; e, per contrario, quanta infamia e danno proceda dai vizii oppositi a queste”. Insomma è il cortigiano landiniano che il Putin intenzionato ad attaccare l’Ucraina asseconda: “Come no, prenderai Kyiv in tre giorni e gli ucraini ti applaudiranno pure”. Il Cortegiano di Castiglione, con la c maiuscola, proprio perché vuole il bene del suo signore gli avrebbe invece spiegato: “Lascia perdere, che è più quello che hai da rimetterci che da guadagnarci”.
Anche Indro Montanelli e Roberto Gervaso, in quella Italia della Controriforma che nel 1968 rappresentò il primo libro italiano con tiratura da best-seller a leggere le vicende della Riforma in una chiave di simpatia per il protestantesimo, considerano Castiglione talmente importante da dedicargli un capitolo: il ventiseiesimo, che è infatti intitolato “Corti e cortigiani”. Al plurale, però. A metà del testo arriva il giudizio sul libro e sul personaggio. “Non sappiamo quanto questi precetti fossero seguiti e quali sanzioni la società che ad essi s’ispirava comminasse a coloro che vi contravvenivano. Ma il libro ha un valore di documento perché, anche se non rappresenta il costume di quella società, ne incarna gli ideali. Ogni gentiluomo aveva il dovere di ispirarvisi perché una buona Corte fa un buon principe, e un buon principe fa un buono Stato. Il Castiglione rivendica alla Corte una funzione didattica e affinatrice ignorando, o fìngendo d’ignorare, ch’essa era anche una sentina di vizi, un focolaio di corruzione, un ricettacolo di mariuoli. Egli ne vide cioè solo il bene. Il suo contemporaneo Pietro Aretino ne colse solo il male”. E il resto del capitolo racconta invece del “poeta Tosco / che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, / scusandosi col dir: “Non lo conosco!”, secondo la ironica epigrafe di Paolo Giovio. Nei cui versi, commedie, lettere e dialoghi effettivamente emerge un mondo di cortigiani e cortigiane già contraddistinti dal senso deteriore di oggi, anche se in realtà i termini sono largamente in disuso. Piuttosto, erano ancora solidi nel XIX secolo, dal “Cortigiani vil razza dannata”, aria del Rigoletto del 1851, una invettiva, allo Splendori e miserie delle cortigiane, romanzo di Honoré de Balzac pubblicato in quattro parti per la prima volta tra il 1838 e il 1847, che però mette gli splendori accanto alle miserie.
Ma ci fu anche Veronica Franco, vissuta a Venezia tra 1546 e 1591: avviata dalla madre alla prostituzione di lusso fin da ragazzina, fu al contempo poetessa abbastanza di spicco da poter essere considerata una delle massime intellettuali donne dell’epoca, e da essere perfino ammessa in uno dei circoli letterari più importanti della città. “Cortigiana onesta” fu infatti definita, anche se ciò non le risparmiò di essere perseguitata dall’Inquisizione. “Se siamo armate e addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi e un cuore come il loro; e anche se siamo delicate e tenere, ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere fino alla morte; e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello”, è un suo scritto che ne fa una antesignana del femminismo. Stesso concetto in versi: “Non so se voi stimiate lieve risco / entrar con una donna in campo armato; / ma io, benché ingannata, v’avvertisco / che ’l mettersi con donne è da l’un lato / biasmo ad uom forte, ma da l’altro è poi / caso d’alta importanza riputato. / Quando armate ed esperte ancor siam noi, / render buon conto a ciascun uom potemo, / ché mani e piedi e core avem qual voi; / e se ben molli e delicate semo, / ancor tal uom, ch’è delicato, è forte; / e tal, ruvido ed aspro, è d’ardir scemo. / Di ciò non se ne son le donne accorte; / che se si risolvessero di farlo, / con voi pugnar porían fino a la morte. / E per farvi veder che ’l vero parlo, / tra tante donne incominciar voglio io, /porgendo essempio a lor di seguitarlo”. Insomma, si può essere anche cortigiane senza essere cortigiane.
L'editoriale dell'elefantino