
FACCE DISPARI
Gloria Giorgianni: “La Sicilia deve imparare a raccontare anche i suoi santi”
Dopo anni di rifiuti, la produttrice palermitana e nipote di Elvira Sellerio ottiene il via libera per raccontare il “san Francesco” di Palermo. "È la storia di un uomo che dava perché sapeva chiedere: un’arte che abbiamo dimenticato"
Non sempre e non per tutti il venerdì 17 è giorno infausto. Può pur essere quello in cui il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha annunciato che sarà finanziato il film su Biagio Conte, il “san Francesco” di Palermo, popolare missionario laico morto nel 2023 dopo una vita spesa per i poveri e i sofferenti. Ne è felice Gloria Giorgianni, fondatrice e amministratore delegato di Anele, la società di produzione che s’era vista bocciare a più riprese il progetto prima dalla Sicilia Film Commission poi nella manovrina economica, ma che s’era ripromessa di portare comunque a compimento l’opera anche a dispetto dei conti aziendali.
Intanto, tra i disegni divini e quelli umani (spesso ugualmente imperscrutabili), la cronaca di questi giorni segnala l’intitolazione di una strada a fratel Biagio sulle Madonie, nel comune di Gangi, dove pure è presente il suo ricordo e unisce super partes tutti quanti lo conobbero.
Perché si è ostinata tanto per questo progetto?
Sono una imprenditrice che vive e lavora a Roma da vent’anni ma conserva e coltiva la propria identità palermitana. Biagio Conte è stato un grande siciliano, un epigono di san Francesco che abbandonò tutti i beni materiali, creò dal nulla la “Missione di Speranza e Carità”, si radicò nei quartieri più difficili, quelli dimenticati dalle istituzioni, donando tutto se stesso agli altri. È una sorta di patrono contemporaneo di Palermo che unisce le anime dei singoli e i differenti ceti sociali, un personaggio potente anche perché la sua figura tocca il tema dell’identità siciliana. Rappresenta valori che abitano la mia terra ma non vengono raccontati o lo sono troppo poco.
La miniserie tv su Messina Denaro ha ottenuto più facilmente il finanziamento. Raccontare la mafia è un’esigenza più avvertita?
Quando illustro la storia di Biagio Conte a chi non la conosce mi sento spesso domandare con stupore: ma veramente è successo a Palermo? Come se fosse spiazzante un protagonista che non è riconducibile ai Falcone o ai Messina Denaro, ossia a un certo pezzo della realtà, mentre ce ne sono molti altri che restano privi di rappresentazione. La cronaca continua a registrare casi terribili come l’omicidio del ventunenne avvenuto l’altro sabato nel centro di Palermo, ma raccontare la Sicilia e il Sud nell’ottica prevalente della narrazione criminale, o secondo la dialettica mafia-antimafia, ne restituisce una immagine sclerotica e stereotipata. La nostra terra va avanti perché c’è gente che lavora tutti i giorni in una società civile spesso anche migliore di chi la rappresenta.
Si riferisce alle istituzioni politiche?
Sono molto contenta dell’annuncio del presidente Schifani, però il dialogo con la Regione è stato faticoso. Spero si cominci davvero a valorizzare meglio l’imprenditoria culturale, e che il settore audiovisivo segua l’esempio della Campania, della Puglia, della Calabria dove le rispettive potenzialità sono state messe a frutto. Per la Sicilia, al centro del Mediterraneo, le opportunità sarebbero innumerevoli considerando anche i paesi che ha di fronte al mare. Ma bisogna abbandonare una visione che ci inchioda nel tempo anziché proiettarci nel futuro.
Da cosa dipende?
Lo dico in una parola: ignavia.
Per lei la distanza dalla Sicilia è un vantaggio?
Per citare Vittorio Nisticò, non sono una siciliana di scoglio ma di mare aperto. Però con la voglia di tornare allo scoglio. E il film su Biagio Conte, l’unico patrocinato dal Comitato per gli 800 anni dalla morte di san Francesco, sarà girato quasi tutto a Palermo. Sarà palermitano il regista e lo sarà il protagonista, però si tratta di una storia universale, quella di un uomo che dava anche perché sapeva chiedere: è un’arte, o una capacità, che abbiamo quasi perso e dovremmo riscoprire assieme al dono dell’attenzione per gli altri.
Ha investito in tante produzioni sulle donne ma anche su personaggi maschili poco pop, come Arnoldo Mondadori o gli ispettori del lavoro, con una serie che andrà in onda su Rai1. Qual è, se c’è, il fil rouge?
Per il mondo femminile ho mirato a una rappresentazione sfaccettata, ma senza forzature retoriche o ideologiche, di donne esemplari che possono incitare altre donne a non accontentarsi di una vita a quote rosa. Mondadori invece, un uomo che in America avrebbe ispirato un colossal, m’interessava perché ha rivoluzionato la lettura e oggi abbiamo un gran bisogno di tornare a curare la parola. C’è un impoverimento generale del linguaggio, che coinvolge anche le produzioni audiovisive: basta ascoltare i dialoghi delle fiction o certi documentari. Si punta sempre più all’intrattenimento e meno al valore della comunicazione articolata. La mia generazione attribuiva un senso etico alla parola che dovrebbe essere recuperato compatibilmente al mercato, altrimenti si rischia il narcisismo o il solipsismo. Mi fa piacere il pezzetto di vittoria che ottengo quando porto al grande pubblico temi o personaggi ritenuti destinati a pochi.
Difficile non chiedere, a una nipote di Elvira Sellerio, cosa le insegnò sua zia.
Il valore della famiglia e quello della femminilità, che espresse in un consiglio di cui ho capito tutto il senso soltanto col passar del tempo: “Ricordati che in quanto donna non potrai mai essere stupida. Neanche fare finta di esserlo. È una cosa che non ti puoi permettere”.
Ora sul suo comodino quale libro c’è?
Le “Confessioni” di sant’Agostino. Le amava molto mia madre.