
Immagine dalla copertina di "Ciao, Saša!" di Dmitrij Danilov
Il libro
Aspettando l'esecuzione in una cella di lusso, con libera passeggiata in giardino
"Il nostro intero racconto si baserà tutto sull'osservazione di quest'uomo", ha scritto Dmitrij Danilov, autore di Ciao, Saša. Cioè di Serëza, che deve scontare una condanna a morte che potrebbe arrivare in ogni momento. Un racconto della sparizione, del dileguamento dell'umano
Serëza, perché sei triste? Stai solo andando a farti ammazzare. Povero Serëza, glielo dicono tutti. Poliziotti, giudici, preti, anziani colleghi. E la moglie. “Datti una calmata”, sbuffa Sveta in faccia allo sconforto del marito. “Prima o poi moriremo tutti. Non fare questa sceneggiata da personaggio della letteratura mondiale”. Sveta se ne sta sempre incollata al portatile. E’ insegnante come lui, professore associato di Arte e Cultura contemporanea all’università di Mosca. Ed è un’invelenita portatrice di corna. “Credevo di aver sposato un Charms, e invece…”. Invece Serëza non ha mostrato alcun talento, se non quello di averla tradita con una minorenne, per questo si è meritato la condanna a morte. Che consiste nell’essere ospitato in una cella a cinque stelle. Con la possibilità di passeggiata mattutina in un ameno giardinetto, per accedere al quale il condannato oltrepassa un corridoio nel quale potrebbe avvenire l’esecuzione, a mezzo mitragliatrice. Quando? Non si sa. Potrebbe accadere in ogni momento. Dopo settimane. Dopo mesi. Dopo anni. Anche subito. Non il primo giorno, come riveleranno a Serëza. Tortura cruentissima.
“Il nostro intero racconto si baserà tutto sull’osservazione di quest’uomo”, scrive Dmitrij Danilov, autore di Ciao, Saša (Voland, 182 pp., 18 euro). “Avrà una cinepresa puntata addosso e noi lo osserveremo”. E dunque osserviamola, per ottantadue scene, quest’anima in pena che la pena non può esternare senza incappare nella sbrigativa sottovalutazione di tutti – e intanto ha puntata una mitragliatrice e la cinepresa dell’autore (tremende entrambe). Ma non sono i sottovalutatori a essere senza cuore, è il mondo che va così, per lo meno in questa Russia che la bandella dell’editore si guarda bene dal definire “distopica”, e gliene siamo grati quanto non si può nemmeno immaginare. Meno ai troppi Cesare Garboli da tastiera, tutti accalcati attorno a una definizione odiosa e qui del tutto inadeguata: non solo perché la Russia è la Russia e chi la conosce sa bene che ogni cosa potrebbe accadere – e infatti è accaduta, per esempio a marzo 2022 abbiamo visto arrestare persone che reggevano cartelli bianchi con su scritto niente o con le parole “due parole” – ma perché l’intenzione del narratore è, da principio e dichiaratamente, realistica.
Certo, trattasi di parodia del realismo in favore di un grottesco antiteticamente accentuato dal tono documentaristico e spesso comicamente spiccio (molte descrizioni vengono saltate con l’asta, al grido di “non staremo qui a descrivere gesto per gesto” o liquidate con “segue una sfilza di parole che potrebbero fondersi in un ammasso scuro”, mentre a volte l’autore si sofferma con dovizia su dettagli apparentemente insignificanti come “slacciarsi le scarpe appena rientrato a casa”) ma è sempre chiarissimo l’obiettivo di trasfigurare ogni accadimento in modo che ogni fatto penzoli sullo strapiombo di un assurdo di cui si riferisce sempre senza increspature, con spersonalizzata imparzialità. Assurdo e spersonalizzato anche chi racconta, dalle cui labbra beffarde i lettori pendono.
Ed è un bel pendere, seppure all’inizio ci voglia un po’ a sintonizzarsi, soprattutto se si hanno impressi nella mente antecedenti cui è inevitabile riferirsi, da Dostoevskij a Šalamov, da Zazubrin a Victor Hugo. Qui invece la scrittura sembra rotolar via con eccessi di disinvoltura, sembra volare senza incagliarsi – come invece il lettore vorrebbe – in un’analisi più approfondita degli stati d’animo. Poi però, pagina dopo pagina, si capisce che questo è il modo migliore per raccontare altro: la “sparizione”, il dileguamento dell’umano. Per fare un passo ulteriore rispetto ai predecessori letterari e illuminare il paradosso tragico di un Paese canaglia coi propri cittadini, mostruoso da sempre, fosco e spaventoso, che ha finito col rendere ciniche anche le vittime, ossia tutti coloro che in galera non ci sono finiti – che non ci sono finiti ancora. Qui nessuno esiste. Fino a notizia di reato.