
Ansa
L'intervista
Un moderno Ulisse tra libri, miti e realtà
E’ uscita da poco una sua ammirata traduzione dell’Odissea. Critico autorevole e magnifico narratore, Daniel Mendelsohn legge il presente con le chiavi del passato. Il populismo, la demagogia e i troppi messaggi nella letteratura d’oggi. Intervista
Negli ultimi cinque anni, Daniel Mendelsohn ha dedicato tutto il proprio impegno a una nuova traduzione dell’Odissea, pubblicata negli Stati Uniti ad aprile con un’accoglienza trionfale. Si è trattato di un lavoro lungo e meticoloso, nel quale tuttavia la passione ha prevalso sempre sull’abnegazione. In precedenza, il testo omerico era stato lo spunto di partenza per Un’Odissea, nel quale lo scrittore raccontava l’improvvisa volontà del padre di assistere ai suoi corsi universitari su Omero, corsi che Mendelsohn tiene tuttora presso il Bard College. Il libro era diviso in due parti: la prima era focalizzata sulla situazione tragicomica generata dalla presenza del padre in mezzo ai suoi studenti, e in particolare l’imbarazzo provato ripetutamente dallo scrittore di fronte alle sue domande. Nella seconda parte Mendelsohn raccontava il viaggio compiuto insieme al padre dopo la fine del corso, ripercorrendo l’itinerario percorso da Ulisse per tornare a Itaca.
Il libro, sul quale è in preparazione un adattamento cinematografico, era un racconto molto toccante di un legame profondo che finiva per trovare la sua compiutezza nella maniera più impensabile, e nello stesso tempo un modo di ripercorrere in prima persona i miti e gli archetipi classici: il rapporto con le proprie radici è un elemento centrale della ricerca letteraria ed esistenziale di questo magnifico autore che si è messo alla luce con quel capolavoro che è Gli scomparsi, dal quale Jean-Luc Godard, negli ultimi mesi di vita, aveva iniziato a preparare un film.
Questa ricerca continua porta Mendelsohn ad alternare costantemente la narrativa alla saggistica, e risulta evidente che si tratta di due strade parallele per cercare di decifrare, attraverso l’uso del linguaggio, il mistero stesso dell’esistenza. Dopo aver collaborato al New York Times e al New Yorker, e aver tenuto la rubrica di critica teatrale per il New York Magazine, ha preso il posto di Robert Silvers alla guida della New York Review of Books, uno dei templi della cultura americana. L’autorevolezza dei suoi saggi critici lo rendono un punto di riferimento imprescindibile e molto temuto: è estremamente severo con chi non attribuisce all’arte l’indispensabile valenza etica che consente di intuire l’universale nel particolare. Detesta la superficialità, Mendelsohn, ma il suo approccio non ha nulla di pomposo: la cultura, profonda ed eclettica, va di pari passo con un’ironia tagliente, e con il piacere, prettamente americano, dello spettacolo. Il giorno che ci incontriamo mi accoglie tuttavia con uno sguardo turbato: sono passati pochi giorni dall’omicidio di Charlie Kirk, e sul volto prevale l’espressione di sconcerto di chi teme che il peggio debba ancora venire.
Come descriverebbe, da classicista, i tempi in cui viviamo?
La risposta ovvia sarebbe “post classica”, e con questo intendo che ci sono dei periodi storici incentrati su sistemi ideologici nazionali monolitici e consapevoli della propria potenza – Atene fino alla guerra del Peloponneso, Roma da due secoli prima sino a due secoli dopo Cristo, gli Stati Uniti d’America dalla fine della Prima guerra mondiale fino agli anni Ottanta – che tendono a crollare, dando luogo ad altrettanti periodi di profonda destabilizzazione e malessere diffuso, che mettono in discussione proprio quelle ideologie nazionali monolitiche. Ora gli Stati Uniti d’America stanno vivendo un momento nel quale i valori che hanno sempre strombazzato – per quanto in maniera naïf – sono disallineati in maniera crescente con la politica dei nostri giorni, così come accadde per Atene nell’ultimo quarto del V secolo avanti Cristo e a Roma durante le guerre civili. Ci sono certamente dei paralleli con quello che ci ha insegnato la storia.
Nella Vita di Galileo, Bertolt Brecht scrive: “Infelice la terra che ha bisogno di eroi”: E’ d’accordo? Si tratta di qualcosa di valido ai giorni nostri?
Sì. L’impulso (che sembra profondamente innato nell’homo sapiens) di venerare figure grandiose e più grandi della vita nella politica, nella vita sociale, tra gli atleti, i militari e in altri campi, ha sempre rappresentato un problema per le società democratiche. Si potrebbe affermare che la tragedia greca è il modo preminente per esaminare questo paradosso: come fa una società a equilibrare il nostro apparente bisogno di eroi mantenendo nello stesso tempo la lealtà al principio democratico secondo cui ogni cittadino ha uguale importanza? L’emergere in anni recenti di leader demagogici all’interno di repubbliche apparentemente democratiche è un segno che qualcosa si è rotto, e che il popolo esprime la crescente volontà di abbandonare il proprio ruolo nell’ordinamento politico: per compiacenza, pigrizia, avidità o le tre cose insieme, è difficile da dire. Lo scorso anno mi è capitato di trovarmi in alcuni ricevimenti a New York, nei quali alcuni ospiti argomentavano seriamente sui potenziali vantaggi di una dittatura. Incredibile.
Perché secondo lei i populisti riescono ai giorni nostri a interpretare e rispondere alle esigenze dell’elettorato meglio dei partiti tradizionali?
Riprendo quello che stavo dicendo: credo che sia l’unico caso in cui il senso civico è stato corrotto dalla compiacenza e dalla stupidità. Un senso civico sano è immune rispetto ai demagoghi. La domanda che mi pongo quindi è: cosa è successo al popolo americano? Quanti di noi sono diventati così pigri, sciatti, volgari, crudeli o quantomeno accettano la pigrizia, la sciatteria la volgarità e la crudeltà? Penso che siano queste le domande che dobbiamo porci in questo momento.
Una delle novità più importante degli ultimi mesi è stata l’elezione di un Papa americano: qual è stata la sua reazione? E cosa pensa di questo avvio di pontificato?
Amo molto questo Papa! Trovo estremamente incoraggianti sia le sue dichiarazioni pubbliche – ad esempio, la sua insistenza sulle diseguaglianze economiche che sono chiaramente un fattore determinante per la crisi politica globale – e anche i suoi modi personali, che reputo convincenti e mi hanno conquistato: il suo calore e il suo presentarsi come una persona come le altre, senza pomposità e pretenziosità.
Sono caratteristiche che lei elogia costantemente anche negli artisti. Posso chiederle come è diventato uno scrittore?
Come molti autori ho iniziato a scrivere da bambino, mi sembrava il modo naturale di essere al mondo. Ho cominciato a scrivere racconti e poesie quando avevo dieci anni: era qualcosa che nasceva spontaneamente e non mi è mai venuto in mente di fare altro. Ovviamente ho avuto anche degli eccellenti incoraggiamenti lungo il mio percorso.
Donna Tartt mi ha detto che il sentimento che prova quando scrive è di totale “assorbimento”. E’ lo stesso anche per lei?
Nel mio caso io parlerei in primo luogo di urgenza. Si, credo che sia la favola giusta. Si tratta di qualcosa che hai bisogno di far uscire dal tuo sistema, e alla quale non puoi smettere di pensare: fermenta la tua mente e nient’altro sembra interessante. Devi sederti e dargli voce.
C’è un autore o un libro che è stato fondamentale per la sua formazione?
La persona che ha avuto il ruolo più significativo nella mia volontà di essere uno scrittore è stata Mary Renault, autrice di libri storici sulla quale ho anche scritto. I suoi romanzi sull’antica Grecia hanno avuto un ruolo importante nell’accendere il mio interesse per quella storia e quella civiltà. E la corrispondenza che ho avuto con lei dalla metà degli anni Settanta, quando ero un adolescente, fino alla sua morte nel 1983, mi ha dato un enorme fiducia quando tentavo di diventare uno scrittore. E’ stata la prima persona che mi ha fatto sentire che potessi avere qualche talento, e questo è stato un elemento fondamentale rispetto alla confidenza che ogni autore deve avere nel momento in cui inizia la sua carriera. Se invece dovessi risponderti su un libro, direi sono stati fondamentali in egual misura l’Odissea e la Recherche: niente male come gara.
Recentemente ho sempre più l’impressione che i libri, i film e le opere d’arte siano elogiate più per la nobiltà del loro contenuto che per la loro effettiva qualità. Se è d’accordo con la mia affermazione, le chiedo quali sono i rischi di questa tendenza.
Sì, è proprio così. Io credo fermamente nella giustizia sociale, tuttavia sono estremamente scettico rispetto a questi nuovi corsi universitari intitolati ad esempio “Letteratura e giustizia sociale”. Mi sembra che in reazione al tumulto politico degli ultimi dieci anni (la prima presidenza Trump, Black Lives Matter, #MeToo), ci sia stata una crescente tendenza a premiare opere che promuovono “lezioni” di avanzamento e progresso sociale. La mia preoccupazione è che spesso – non necessariamente, ma spesso – l’elemento di compiutezza estetica finisce per accomodarsi sul sedile posteriore rispetto agli applausi che vengono riservati ai “messaggi” nobili.
Ritiene che il linguaggio delle immagini abbia cambiato quello delle parole?
Penso che il ritmo del cinema, o recentemente quello della televisione stia influenzando (o infettando?) il modo in cui viene scritta la letteratura. Mi capita sempre più spesso di leggere romanzi e provare la sensazione che gli autori stiano pensando agli snodi narrativi tipici delle sceneggiature.
Sto chiedendo a tutti i miei interlocutori cos’è che la letteratura può fare meglio del cinema.
Io credo che possa suggerire cosa sia la vita interiore.
E invece il cinema cosa può fare meglio della letteratura?
Mostrarci che aspetto ha la vita. Letteralmente.
Gli adattamenti devono essere fedeli ai libri o possono avere la libertà di tradirli?
Mi è capitato spesso di recensire adattamenti, e la mia risposta standard è quella di pensare seriamente a cosa intendiamo quando diciamo fedeli alla matrice originale. Ho visto versioni cinematografiche di classici della letteratura nei quali tutti i dettagli erano assolutamente precisi, a cominciare dalle acconciature e dagli abiti, ma nelle quali mancava completamente il senso intimo e la verità di quel mondo e di quel tempo. Ritengo quindi che il lavoro da fare sia cercare l’intimità della matrice originale e cercare di catturarne l’anima. Cosa ci racconta l’Iliade? Certamente il film Troy non ci comunica il senso ultimo di quello che ha immortalato Omero. In Alexander, Oliver Stone ha ricreato meticolosamente le battaglie, ma non è riuscito a trasmetterci perché Alessandro Magno abbia rappresentato l’immagine di un’intera civiltà. Anthony Minghella ha detto di aver letto Il paziente inglese molte volte e poi di aver buttato il libro prima di iniziare a scrivere la sceneggiatura. A prescindere da quello che si possa pensare di quell’adattamento, credo sia il modo giusto di fare: assorbire l’essenza di un’opera per poi manipolarla.
E’ d’accordo con Annie Proulx quando sostiene che i film devono avere una vita propria, anche quando sono degli adattamenti?
Certamente, ed è sufficiente andare col pensiero ad alcuni classici del cinema. Pochi giorni fa stavo parlando ai miei studenti di Rebecca - La prima moglie, che ha molte vite completamente separate dal libro di Daphne du Maurier sul quale è basato il film di Alfred Hitchcock: ritengo che questa sia una cosa assolutamente positiva. In questi giorni il mio libro Un’Odissea è in fase di adattamento e ho detto allo sceneggiatore di fare assolutamente quello che vuole: il film deve essere qualcosa di completamente diverso.
Ritiene che Twitter/X abbia cambiato il linguaggio degli scrittori?
Non lo so, ma ha certamente cambiato il modo in cui interagiscono i lettori e gli scrittori.
Ha mai usato l’intelligenza artificiale nelle sue ricerche o nella sua scrittura? E quali sono le opportunità o i rischi che presenta?
Non mangio cibo confezionato.
Ultimamente sembra che le fake news, o le verità alternative, come le definisce l’attuale amministrazione, abbiano la stessa rilevanza della realtà. Non crede che sia allarmante? Ed esiste un modo di combattere questa patologia?
Temo di no. Ma almeno questo è un momento per apprendere: dovremmo leggere tutti Platone, che era profondamente preoccupato della differenza tra la realtà e i simulacri persuasivi, con gli annessi effetti potenziali sulla politica. Con questo non voglio dire che la soluzione prospettata sulla questione fosse attraente, ma Platone ha riflettuto in maniera brillante sulla natura del problema.
Un altro tema che sto affrontando con gli scrittori che intervisto è quello relativo al rapporto tra arte e potere: ritiene che la cultura e l’arte debbano essere sempre all’opposizione?
Io non credo che la cultura e l’arte “debba” essere nulla, eccetto quello che sente l’artista.
C’è uno scrittore o un artista che lei ammira tra quelli che si sono messi al servizio del potere?
A Virgilio venne commissionato di scrivere l’Eneide come parte palese del programma culturale nazionalistico di Augusto; eppure questa opera su committenza è una delle più grandi che ci sia arrivata dall’antichità, nella quale Virgilio si interroga sull’imperialismo e anche sui costi dell’impero. Bisogna stare molto attenti a quello che si commissiona!
Esiste invece uno scrittore o un artista che lei ammira, sebbene disprezzi le sue idee?
A cominciare da Wagner, Celine e Waugh è estremamente lunga la lista di artisti che ammiro benché fossero persone orribili. C’est la vie. Se uno dovesse cancellare l’opera di personalità moralmente o politicamente riprovevoli – desiderio che sfortunatamente è in aumento tra coloro che pensano di saperla lunga – ci sarebbe molto poco da leggere a parte Elle Décor.