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I flagellanti
Inglesi e francesi uniti nell'autodenigrazione. E abbasso lingua e bandiera
Le due nazioni non si sono mai amate granché, ora sono unite nel disprezzo di sé. Lingua e bandiera diventano colpe da espiare
Le due nazioni che si affacciano sulla Manica non si sono mai amate granché, a partire dalle guerre dinastiche per la corona francese, passando per Giovanna d’Arco consegnata al rogo, arrivando a Churchill che, nel 1940, pur di non lasciarla in mano ai tedeschi, ordinò di affondare la flotta dell’alleato, uccidendo più di mille marinai. Ma non finisce qui. Finché era presidente, De Gaulle si oppose all’ingresso del Regno Unito nella Comunità europea. E durante i negoziati post Brexit, il più inflessibile fu Macron. Ultimamente e sorprendentemente, gli eterni avversari si sono scoperti uniti da una nuova passione: l’autodenigrazione. Oltre la Manica, una dodicenne si è presentata a scuola per una “celebrazione delle culture” indossando la Union Jack, come facevano le Spice Girls. Apriti cielo. Puoi celebrare tutte le culture del pianeta, tranne la tua, specie se appartieni al popolo dei cinque pasti, come lo chiamava la propaganda fascista per significarne l’imperialistica ingordigia. Infatti, la bambina vestita da bandiera è stata allontanata. Da quest’altra parte del canale, Mélenchon propone di cambiare nome alla lingua: non più “francese” ma “creola”, meticcia, perché – dice – “non appartiene ai francesi”. L’intenzione è sempre quella: espiare tutti insieme le nefandezze del colonialismo.
Bandiera e lingua diventano bersagli dei timorosi perché sono atti di conquista. La bandiera viene piantata nel suolo e, diceva Canetti, sventolando afferra la regione dell’aria. La lingua, più ambiziosa, vuole appropriarsi di tutte le cose attraverso i suoni. Le parole sono per natura colonizzatrici. E non c’è scampo: la bandiera è questa oppure quella. Non esiste una bandiera del mondo, solo bandiere che se lo contendono. Anche una lingua è sempre singolare, irriducibile alle altre, specchio di una storia e di un temperamento. Quando vuole diventare troppo ecumenica, viene fuori la pappa dell’esperanto. Colpa del legno storto dell’umanità? Sì. Ma anche della vita, che è scontro, conquista, assimilazione. Nessuno è obbligato a seguire questa china. C’è chi alla vita preferisce la morte. C’è chi dice merde au drapeau. Altri ancora, rifiutano la lingua dei propri simili e se ne fabbricano una da sé. Sono i pazzi, oppure i poeti, che però, da soli, non durano cinque giorni. I letterati hanno bisogno di qualcuno che protegga la loro congrega, esattamente come il volgo la cui lingua non parlano e la cui bandiera non sventolano. I popoli più intellettuali d’occidente, greci e tedeschi, prima di tramontare, erano armati fino ai denti, gelosi delle proprie parole e dei simboli. Inglesi e francesi esistono ancora. Per quanto? I maestrini woke cui tremano le ginocchia alla vista di un tricolore e i tipi alla Mélenchon sono una minoranza, per ora. Ciononostante, il piacere di flagellare se stessi, di cui sono gli alfieri, alligna ovunque. Basta guardarsi intorno: mai nella storia d’Europa così tanti dovettero così tanta idiozia a così pochi.