Foto Getty

Grande schermo

L'omaggio a Fofi e una presentazione tutta di corsa per la Mostra di Venezia

Mariarosa Mancuso

Da “La grazia” di Paolo Sorrentino, al “Frankenstein” di Guillermo del Toro, con una conferenza stampa si apre e si chiude ricordando il grande stroncatore di film sbagliati. Il racconto

La conferenza stampa – della Mostra di Venezia numero 82, al Lido dal 27 agosto al 6 settembre – si apre e si chiude con Goffredo Fofi, grande stroncatore di film sbagliati – nel senso: non erano affatto da stroncare. Solo che non erano abbastanza politici, abbastanza attenti agli ultimi e ai poveri contadini a cui si era affezionato diciottenne, lavorando a Partinico con Danilo Dolci. Poi era andato a Parigi, attratto dalla rivista “Positif”. A Venezia arrivava con il suo bastone, pronto a brandirlo con i dissidenti. Lo salva Totò, da Fofi finalmente preso sul serio.

La presentazione dei film è andata di corsa, dagli anni scorsi sembra che tutto si sia espanso, lievitato come un soufflé. Un paio di titoli su cantanti e musicisti non mancavano mai: adesso hanno una sezione tutta per loro loro. Con un documentario su “Newport and the Great Folk Dream”: il festival dove nel 1966 Bob Dylan passò alla chitarra elettrica, scandalizzando i menestrelli che l’avevano adottato. E un Francesco De Gregori visto da Stefano Pistolini. 

Fuori concorso, sezione non fiction e non competitiva (per ora), Werner Herzog porta “Ghost Elephants”: la storia di un branco di elefanti sparito nella giungla in Angola. Pare una delle barzellette sugli elefanti che si raccontavano da ragazzini (o frequentando certi poeti inglesi). Non è un documentario naturalista, a Herzog la fantasia piace più della realtà (fa eccezione solo quando intervista i condannati a morte). C’è “Marc by Sophia”, dove Marc è lo stilista Marc Jacobs e Sofia è Sofia Coppola, che non sbaglia un film – toglie il superfluo, e riesce sempre benissimo. Sempre tra i documentari “Kabul, Between Prayers” di Aboozar Amini segue i giorni di un terrorista in attesa di entrare in azione. In “My Father and Qaddafi” di Jihan K una figlia racconta il padre scomparso sotto la dittatura (era partito dicendo che andava al Cairo, lei aveva sei anni).

Un documentario su “La donna che visse due volte” annuncia la presenza di Kim Novak, Leone d’oro alla carriera. “Broken English” – il titolo di un suo album, uscito nel 1980 dopo un lungo silenzio – rende omaggio a Marianne Faithfull. Alexander Sokurov promette un diario lungo 350 minuti – quest’anno nessuno si è frenato, mai sotto le due ore. Tsai Ming-liang porta “Back Home”, solo inquadrature fisse.

Apre la Mostra Paolo Sorrentino con “La grazia”, sullo schermo il fido Toni Servillo, che lo accompagna da “L’uomo in più”, anno 2001. “Il mago del Cremlino” è il film che Olivier Assayas ha tratto dallo stupefacente romanzo di Giuliano da Empoli, alla sceneggiatura c’è anche Emmanuel Carrère (comunque vada, restano sempre i piaceri procurati dal romanzo). Racconta l’ascesa di Vladimir Putin, testimone un insider molto informato.

In “Jay Kelly” Noah Baumbach dirige George Clooney, scelto “against type”: è un attore in declino, che con il suo manager Adam Sandler chiacchiera dei massimi sistemi. Tornerà al Lido Kathryn Bigelow, con “House of Dynamite” – da qui era partita per il trionfale viaggio che finirà a Los Angeles con due Oscar, con il film “The Hurt Locker”, respinto dal festival di Cannes (poi si sono molto pentiti).

Finalmente arriva “Frankenstein” di Guillermo del Toro. Prodotto da Netflix, che pare abbia sganciato un bel po’ di soldi, risucchiati dagli effetti speciali. C’è qualche film in tre episodi, per esempio Jim Jarmusch – le serie colpiscono ancora. Il misterioso “Bugonia” di Yorgos Lanthimos con Emma Stone è il remake di un film coreano – pieno di sorprese, dicono. Sul red carpet, sarà la prima volta di Julia Roberts, nel film “After the Hunt”: studentessa nera molestata. O forse no. Dirige Luca Guadagnino.