
Gioacchino Volpe - foto Wikipedia
il libro
Gioacchino Volpe, lo storico dimenticato che vide la crisi dell'Italia prima di tutti
Patriota, fascista critico, monarchico censurato: la parabola di un intellettuale che visse tutte le contraddizioni del Novecento italiano. Un convegno e un libro ne raccontano la storia
Nome di un nonno che era stato incarcerato come patriota antiborbonico; abruzzese di madre senese e trapiantato in Romagna; grande medievista poi dedicatosi in maniera sempre più intensa alla storia generale della nazione italiana dopo aver svolto durante la Grande Guerra un lavoro da ufficiale addetto all’Ufficio Propaganda per cui ricevette anche una medaglia d’argento; deputato nel “Listone” alle elezioni del 1924; Gioacchino Volpe fu considerato un ideologo del fascismo, ma il primo giugno 1943 aveva scritto una prefazione a una nuova edizione del suo “Italia moderna” in cui muoveva critiche implicite alla guerra e esortava gli italiani a stringersi attorno alla monarchia in modo tale che è stato definito una sorta di “25 luglio” storiografico, con due mesi di anticipo. Ancora monarchico ma in disaccordo con l’8 settembre si trovò così a un tempo censurato dalla Repubblica Sociale Italiana e epurato nell’Italia postfascista, con l’esclusione dall’insegnamento universitario. Una damnatio memoriae che ha investito anche i 150 anni dalla nascita, nel 2021. Ma quasi in riparazione a ciò il 14 e 15 dicembre 2023 si è poi tenuto all’Aquila un convegno su di lui sotto l’egida dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea (Iasric), dedicato in particolare alla sua attività dopo la caduta del fascismo, e articolato in due sessioni: la prima presieduta da Guido Melis; la seconda da Gianni Scipione Rossi. In vista dei 50 anni dalla morte, il prossimo 16 febbraio, gli Atti sono stati ora pubblicati da Rubbettino nel volume “Gioacchino Volpe nell’Italia repubblicana”, a cura di Giovanni Belardelli e Gianni Scipione Rossi.
Giornalista che ha diretto l'informazione parlamentare della Rai, il Centro di formazione e la Scuola di giornalismo di Perugia, ma anche vicepresidente vicario della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, consigliere dello Iasric e storico di vaglia, Gianni Scipione Rossi ci spiega che l’idea venne per un articolo uscito il 19 febbraio 2022 sul Giornale a firma di Francesco Perfetti, che Gioacchino Volpe aveva avuto la ventura di conoscerlo personalmente, pur ancora liceale. “Lamentava appunto che il centenario della nascita di uno storico così importante fosse passato sotto silenzio. Essendo Volpe appunto abruzzese di nascita ed essendo io consigliere dello Iasric, ho allora proposto di fare questo convegno sul suo lavoro dopo la guerra. Perché quello che aveva scritto prima è ben conosciuto, ma ci sono pochissime cose sul suo lavoro dopo la guerra e l’estromissione dall’Università. Ci sono su lui molti paradossi. Era stato un intellettuale di punta del regime fascista, ma era anche assolutamente monarchico, per cui ebbe problemi sia con la Rsi, sia col Msi dopo la guerra. E ricordiamo che nel 1939 nella sua ‘Storia del movimento fascista’ aveva fatto una critica durissima delle leggi razziali. Insomma, era una personalità molto indipendente”.
Nel volume c’è anche un contribuito su “Volpe nella pubblicistica di destra del dopoguerra” che è l’ultimo scritto di Giuseppe Parlato. Uscito postumo 11 giorni dopo la sua morte. “In realtà il libro è stato stampato prima della morte, quindi non è postumo. Ma, sì, è stato messo in vendita dopo. Parlato ha appunto scoperto che era stato iscritto al Partito Nazionale Monarchico. Poi era stato vicino al Msi,e nel 1950 era stato anche presente alla fondazione del Fuan, ma lì era stato contestato appunto per aver criticato il partito unico e difeso la monarchia. L’anno dopo il Gruppo Universitario Romano Caravella pubblicò una sua raccolta di scritti appunto quasi come risarcimento. Comunque Volpe non era un militante politico”.
Ma questa vicinanza sua pure complicata con la destra del dopoguerra fu una logica conseguenza delle sue idee, o semplicemente frutto del risentimento per l’epurazione di cui era stato vittima? “Lui era innanzitutto uno studioso, ma secondo me il suo fu soprattutto risentimento per quella che percepiva come morte dell’Italia. Per avere perso la guerra, anche se lui era stato contrario alla guerra al fianco di Hitler. La sua è delusione per la percezione di un disastro nazionale, che si lega ovviamente anche alla frustrazione per il forzato abbandono dell’Università. Ma comunque a continuato a produrre molte cose, anche senza insegnare all’Università. I suoi allievi lo hanno sempre continuato a considerare un maestro”.
Tra questi anche Federico Chabod. Grande storico della politica estera italiana e dell’idea di Europa, leader del Partito d’Azione, partigiano, primo presidente del Consiglio della Valle d’Aosta, che mantenne sempre rapporti intensi con lui, come mostra il volume. Anche Rosario Romeo, grande innovatore degli studi sul Risorgimento. “Ricorderei anche Ernesto Sestan. Anche lui grande storico del Medio Evo, e non solo”.
Comunque, appunto, il libro è stato edito da un Istituto che si richiama anche alla Storia della Resistenza. “Giustamente, la Storia non si può dividere per parti. Se vogliamo ad esempio capire i nostri ultimi 80 anni, dobbiamo occuparci anche di quelle personalità che hanno avuto un grande ruolo, pur se sono stati penalizzati dallo spezzarsi dell’Italia in due”.
E quali sono i contributi per i quali Volte è ancora importante? “Credo che la sua visione dell'Italia moderna e della cultura italiana sia ancora qualcosa per cui Volpe meriti di essere studiato”.