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premio strega 2025
Lo Strega certifica la fine della creatività e della fiction. Pisolini consigliati
La cerimonia del più importante premio letterario italiano affonda nella noia: fiction spenta, romanzi autocentrati e nessuna vera sorpresa. Pasolini usato come paravento culturale, mentre lo spettacolo televisivo si trascina stanco e prevedibile
Presto, un’idea per lo Strega. Intendiamo la cerimonia. Che non faccia addormentare anche chi deve guardarlo per lavoro. “Interessato” ormai è una parola grossa. Senza obblighi da cronista, ci saremmo accontentati di Michele Ruol – una voce nuova, magnifico e inaspettato regalo. Andrea Bajani già lo conoscevamo. Paolo Nori pure, in tutta la sua bravura. Non è un delitto sperare in qualcosa di originale. Una storiella che circolava nel mondo editoriale – di lingua inglese, qualche decennio fa – era la seguente. Uno scrittore debuttante parla sempre e comunque della sua famiglia, anche quando finge di ambientare il suo romanzo sul pianeta rosso, o nella preistoria. Saranno sempre Mammut, Babbut, Figliut (lui medesimo), più o meno dissimulati. Cambiare città, almeno? Giammai, dicono le scuole di scrittura: scrivi quel che conosci bene, e la famiglia torna utile. Togli i nomi – ormai cambiarli non basta – nessuno se ne accorgerà. Neppure se li fai scendere da un’astronave. Neppure se hanno la pelle verde con le squame. Gli amici, e a questo punto anche i nemici, riconosceranno gli aneddoti, le fidanzate, le caramelle rubate, le biciclette scassate. Anche gli omini verdi avranno qualcosa di cui sono ghiotti, e un bambino grasso e cattivo che se ne appropria.
Inventare qualcosa di nuovo: giammai. Dare un senso alla fiction: per carità. Essere creativi: mai nella vita. Parlare di se, sempre e comunque, senza soluzione di continuità. Ci siamo appisolati durante il panegirico, monologo, o celebrazione del compagno Pier Paolo Pasolini. Perché rischiare? Pasolini fa “cultura alta”, anche se nessuno lo legge più. Anche se allo Strega lo trattarono malissimo, e lui scrisse un’invettiva che era letteratura molto più di tanti candidati – di quest’anno e anche di parecchi anni addietro. Pasolini viene citato da chi ha carenze in letteratura, si fa sempre una gran figurone. In letteratura, e anche sul piano culturale. Ma chi oserà puntare su un altro nome?, qui siamo a “Pasolini forever”. Anna Foglietta gli ha dedicato il monologo, a base di “ci manca Pasolini, ci manca come il pane”; “Pasolini contro l’algoritmo”. E via con “sveglia, lettori italiani: serve un catalogo di incertezze, e pure il senso dell’inquietudine”, “senza dimenticare lo sguardo acuto e impietoso, contro la cultura del consumo che ci devasta”. In chiusura: “Palestina libera!”, rubando mestiere e slogan a Elio Germano. Se questa è la cultura in tv, “preferiamo di no”, come in “Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street”, scritta da Herman Melville nel 1853. Non guadagnerà alla causa un lettore in più. I brani dei finalisti letti da Filippo Timi – bravissimo, ha cancellato il ricordo di certe fini dicitrici – devono essere accompagnati da due musicanti. Ma perché? Che c’entrano? Lo spettatore si annoia e bisogna risvegliarlo con un plin plin?