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la storia

L'Iran prima dell'Islam

Maurizio Stefanini

C’era una volta la Persia, che nell’antico medio oriente fu il primo amico del popolo ebraico. Erano legati da affinità religiose e convergenze geopolitiche. Dalla Bibbia a Teheran, la lunga storia di un’amicizia dimenticata e di un conflitto mai davvero nuovo

“Ciro strumento del Signore”, dice il Libro di Isaia del Gran Re di Persia che nel 530 a.C. liberò gli ebrei dalla cattività babilonese, consentendo loro non solo di tornare in Palestina, ma anche di iniziare la ricostruzione del Tempio che il Nabucodonosor verdiano aveva distrutto. “Chi ha suscitato dall’oriente / colui che chiama la vittoria sui suoi passi? / Chi gli ha consegnato i popoli / e assoggettato i re? / La sua spada li riduce in polvere / e il suo arco come paglia dispersa dal vento”. “Io dico a Ciro: Mio pastore; / ed egli soddisferà tutti i miei desideri, / dicendo a Gerusalemme: Sarai riedificata; / e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta”. Il Profeta, in realtà, ammette che il fondatore dell’Impero Achemenide il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe neanche lo conosce: ma poco importa. “Per amore di Giacobbe mio servo / e di Israele mio eletto / io ti ho chiamato per nome, / ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca. / Io sono il Signore e non v’è alcun altro; / fuori di me non c’è dio; / ti renderò spedito nell’agire, anche se tu non mi conosci, / perché sappiano dall’oriente fino all’occidente / che non esiste dio fuori di me”. Comunque, serve a realizzare il disegno divino di liberare il popolo eletto dopo che questo ha espiato i suoi peccati, e dunque gli promette che marcerà davanti a lui: “Spianerò le asperità del terreno, / spezzerò le porte di bronzo, / romperò le spranghe di ferro. / Ti consegnerò tesori nascosti / e le ricchezze ben celate”. 


Ancora più dettagliato è il Libro di Esdra, che racconta di come il Tempio fu ricostruito: “Nell’anno primo del regno di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola che il Signore aveva detto per bocca di Geremia, il Signore destò lo spirito di Ciro re di Persia, il quale fece passare quest’ordine in tutto il suo regno, anche con lettera: ‘Così dice Ciro re di Persia: il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra; egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giudea. / Chi di voi proviene dal popolo di lui? Il suo Dio sia con lui; torni a Gerusalemme, che è in Giudea, e ricostruisca il tempio del Signore Dio d’Israele: egli è il Dio che dimora a Gerusalemme. / Ogni superstite in qualsiasi luogo sia immigrato, riceverà dalla gente di quel luogo argento e oro, beni e bestiame con offerte generose per il tempio di Dio che è in Gerusalemme’”.


Insomma, adesso ebrei e persiani si scambiamo missili, la Repubblica Islamica dell’Iran ha come obiettivo esistenziale la distruzione di quella che definisce “entità sionista”, e il primo ministro Netanyahu ha come obiettivo politico il rovesciamento del regime degli ayatollah. Ma in un antico medio oriente, quando il popolo ebraico era sotto continua minaccia di vicini fastidiosi come filistei, edomiti, ammoniti e moabiti o di potenze ostili come egizi, assiri e babilonesi, fu la Persia il primo grande amico cui affidarsi. Esattamente come negli ultimi ottant’anni, in un medio oriente altrettanto pericoloso, gli israeliani si sono affidati agli Stati Uniti. Geopolitica a parte, c’è anche il sospetto di una simpatia ideologica tra il monoteismo ebraico e il quasi monoteismo zoroastriano. Un’interpretazione laica della nascita dell’ebraismo vede appunto una confluenza tra una monolatria degli ebrei che veneravano solo il loro dio tribale Jahvè, pur senza escludere l’esistenza di altre divinità, e la prima riforma monoteista voluta dal faraone egizio Akhenaton: la famosa tesi di Sigmund Freud nel suo “L’uomo Mosè”, secondo cui il Profeta dell’Esodo sarebbe stato un sacerdote di Aton costretto a lasciare l’Egitto con i suoi seguaci dopo la morte di Akhenaton. Freud ipotizzava anche un legame tra il nome di Aton, l’altra denominazione di Jahvè, come Adonai, e il nome siriano del mitologico Adone: tesi oggi considerate fantasiose, ma è invece accettato che il Salmo 104 della Bibbia sia un calco del Grande Inno ad Aton. 


Ma, come che si sia concettualmente formato, questo Dio unico ebreo-egizio potrebbe avere poi preso dallo zoroastrismo idee come quelle degli angeli, del Giudizio Universale e anche del diavolo. E’ nel primo dei suoi cinque volumi sulla storia del concetto di questo personaggio scritti tra 1977 e 1988 per la Cornell University Press, in particolare, che Jeffrey Burton Russell esamina il modo in cui l’Angelo che nel Libro di Giobbe fa da pubblico ministero di Dio (“accusatore”: in ebraico “Satàn” e in greco “Diábolos”) col tempo acquisisce alcune delle caratteristiche del dio del male zoroastriano Angra Mainyu-Ahriman, diventando una sorta di anti-Dio. Anche lui riconosceva però che i testi sacri dello zoroastrismo sono stati trascritti piuttosto tardi, per cui è difficile essere sicuri su chi in effetti abbia ispirato chi.
Come che sia, per lunghi secoli ebrei e persiani hanno vissuto bene assieme. Così in particolare osserva ad esempio Paul Johnson nella sua “Storia degli ebrei”: “Sembra che fra tutti quelli che li dominarono gli ebrei abbiano prediletto i persiani; non si ribellarono mai contro loro: anzi, mercenari ebrei aiutarono i persiani a soffocare la ribellione egizia”.

 

Nella raccolta di 650 documenti in carattere cuneiforme, scritti tra 455 e 403 a.C. nella città di Nippur, l’8 per cento dei nomi sono ebraici
 

 

Nella raccolta di 650 documenti commerciali in carattere cuneiforme, scritti fra 455 e 403 a.C. nella città di Nippur, l’8 per cento di tutti i nomi sono ebraici. Ma ancora più interessanti sono i papiri e gli ostraca di Elefantina: una serie di documenti legali e lettere che vanno dal 495 al 399 a.C., che sono scritti in aramaico e che documentano ampiamente la vita di una comunità di soldati ebrei di stanza in quell’isola del Nilo di fronte ad Assuan come parte di una guarnigione di frontiera in Egitto per l’Impero achemenide. Ma lì erano venuti già al tempo dei faraoni, attorno al 650 a.C., per assistere il faraone Psammetico I del Delta del Nilo, della XXVI dinastia, nelle sue campagne contro il faraone Tantamani di Napata, della XXV dinastia. E’ ambientato nel V secolo a.C., ma fu scritto presumibilmente tre secoli dopo, il libro di Ester. I suoi 10 capitoli raccontano la storia di un’orfana, cugina del Profeta Mardocheo, che diventa moglie del re persiano Assuero. Scoprendo un complotto di eunuchi contro il sovrano Mardocheo si guadagna il diritto di non prostrarsi di fronte a lui, in obbedienza al precetto ebraico secondo cui questo omaggio si può rendere solo a Dio. Ciò fa però imbestialire il ministro Aman che, prototipo di tanti agitatori antisemiti dei secoli di là da venire, prepara un piano per far impiccare tutti gli ebrei. Ma Ester riesce a sventarlo, e a essere impiccati su quelle stesse forche da loro volute sono invece Aman e i suoi figli. Il tutto è ancora celebrato nella festa del Purim: un equivalente ebraico del Carnevale, dove per sbeffeggiare Aman e con lui tutti gli antisemiti bisogna mettersi in maschera e fare chiasso anche durante la cerimonia in sinagoga. “Vivas tu, i viva yo, / i vivan todos los judios / Viva la reina Ester / que tanto plaser nos dió”, ricorda in spagnolo del XV secolo una delle più famose canzoni del folklore sefardita,  cantata dai discendenti degli espulsi del 1492. Insomma, sicuramente il favore dei Gran Re verso i figli di Israele ogni tanto poteva pure suscitare gelosie, ma nella antica Persia alla fine gli antisemiti ne uscivano scornati – e peggio. 

I Libri dei Maccabei ci ricordano come in compenso gli ebrei si ribellarono a ripetizione ai macedoni, distruttori dell’impero persiano. E quando una potenza iranica si riforma con i successivi imperi dei Parti e dei Sasanidi, spesso gli ebrei rimasti dal lato romano e bizantino del confine si trasformano in micidiali quinte colonne. Nel 115 d.C., quando Traiano raggiunge una massima espansione dell’impero entrando nella capitale partica di Ctesifonte, è proprio la violenta insurrezione ebraica nelle retrovie a obbligarlo alla ritirata dall’Iraq. Fu la Seconda guerra giudaica del 115-117: dopo la Prima del 66-70, conclusasi con la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme, e prima della rivolta di Simon Bar Kokhba del 132-135, quella Terza guerra giudaica che portò alla generale deportazione degli ebrei e con il cambio di nome della provincia di Giudea in Palestina. Da quel popolo dei Filistei che erano stati degli ebrei grandi nemici, ma erano vissuti una quindicina di secoli prima.

Ma non era in realtà finita. Quando tra 602 e 628 il Gran Re Sasanide Cosroe tenta l’affondo finale contro i bizantini, lo accompagna una legione di ebrei, che per alcuni anni occupa la Palestina. Sono questi ebrei che nel 614, al momento della conquista di Gerusalemme, fanno un massacro di cristiani, come vendetta per le dure leggi antisemite del basileus Foca. “Gli ebrei riscattarono i cristiani dalle mani dei soldati persiani per denaro, e li massacrarono con grande gioia presso la piscina di Mamilla, che scorreva di sangue”, è il racconto che fece il monaco Strategio di San Saba. Qualcuno lo ha tacciato di esagerazione antisemita, ma in effetti la piscina di Mamila piena di ossa è stata ritrovata, ed è l’archeologo israeliano Ronny Reich ad aver stimato almeno 60 mila vittime. Dopo che i persiani avevano occupato tutta la parte asiatica dell’impero, Egitto e Cirenaica, con Costantinopoli assediata da Cosroe sul lato asiatico e dai suoi alleati avari sul lato europeo, il basileus Eraclio nel 622 riuscì a partire in un micidiale contropiede, sbarcando alle spalle dei persiani in Anatolia, e infliggendo a Cosroe una sconfitta tale che il 23 febbraio 628 il Gran Re fu rovesciato da un golpe del figlio, che chiese la pace e lo chiuse in carcere, dove fu ucciso dopo cinque giorni. 


Entrambi gli imperi erano stati però indeboliti da lungo scontro, e di questo approfittò la potenza emergente degli arabi musulmani, che invasero la Persia e ridimensionarono drasticamente l’Impero bizantino, dopo che lo stesso Eraclio subì la devastante sconfitta di Yarmuk, il 20 agosto 636. Nel 638 seguì la resa della stessa Gerusalemme agli arabi, attraverso un trattato di capitolazione che il patriarca cristiano Sofronio chiese di stipulare direttamente col califfo Omar. La richiesta in esso contenuta di proteggere il popolo cristiano di Gerusalemme dagli ebrei si spiega appunto col precedente di Mamila. 
Va ricordato che anche in Arabia la guerra tra Eraclio e Cosroe aveva sconfinato attraverso proxy, che erano appunto tribù ebraiche filopersiane contro tribù cristiane filobizantine. E al fianco di queste ultime era sbarcato un corpo di spedizione del Negus cristiano d’Etiopia. La nascita dell’Islam, di poco posteriore, può anche leggersi come reazione del nazionalismo arabo, che crea un monoteismo indigeno finalmente indipendente da queste influenze straniere apportatrici di discordie.


Quando la Persia zoroastriana è conquistata dai musulmani per gli ebrei è dunque un colpo, ma non più di tanto. Fino alla invasione mongola del 1258, le cronache ci descrivono l’Esilarca, discendente della casa reale di Davide, regnare con poteri sovrani sulla comunità ebraica di Mesopotamia e Iran su incarico del Califfo, di cui è ministro. Proprio quella occupazione suscita però una reazione xenofoba che si tinge anche di antisemitismo. Il tutto sfocia nel XVI secolo nella scelta della dinastia Safavide di blindare l’indipendenza dal Sultano ottomano, Califfo dei Sunniti, attraverso l’imposizione come religione di Stato dello sciismo duodecimano, che una lunga storia di persecuzioni ha reso settario e intrattabile. “Secondo la loro dottrina, dieci cose sono impure”, ricorda nel 1684 il tedesco Engelbert Kaempfer, segretario dell’ambasciatore svedese. “L’urina, lo sterco, lo sperma, il sangue, il cadavere, il vino, l’alcol, i maiali, i cani e gli infedeli”.

 

Durante la monarchia dei Pahlavi, gli ebrei acquisiscono un ruolo importante nelle relazioni con l’Occidente grazie al boom del petrolio


Tuttavia, di ebrei in Persia ne rimangono parecchi, e trovano la loro grande occasione con la monarchia occidentalizzante dei Pahlavi. Fino a quel momento, gli ebrei sono stati una minoranza relativamente povera, rispetto alla potenza imprenditoriale degli armeni. Ma col boom del petrolio molti di loro acquisiscono un ruolo importante nelle relazioni con l’Occidente. Nel 1951, Mousa Bral, deputato ebreo al Parlamento iraniano, va in visita a Tel Aviv e riferisce che tra i 70 mila ebrei presenti in Iran ci sono dieci miliardari, un migliaio di membri dell’élite economica del paese e 5 mila ricchi commercianti. Non soltanto l’Iran dello scià ha rapporti diplomatici con Israele e lo rifornisce di petrolio, ma fa da centro di transito verso lo Stato ebraico per gli ebrei emigrati dal mondo arabo, dal Pakistan e dall’India. E nei rapporti pesa anche un’influente comunità di circa 45 mila israeliani di origine iraniana, da cui è venuto anche un presidente della repubblica: Moshe Katsav, in carica dal 2000 al 2007. 


Ma, appunto, per Khomeini Israele è invece il “piccolo Satana”, mentre il “grande Satana” sono gli Usa. Due delle prime mosse dei khomeinisti, quando nel 1979 vanno al potere, sono quelle di consegnare la sede dell’ambasciata israeliana all’Olp e di condannare a morte come “spia israeliana” l’importante imprenditore ebreo Habibullah Al-Qanian. Molti ebrei scappano, e la comunità iraniana cala dalle 85 mila unità del 1978 alle 50 mila del 1986, alle 35 mila del 2003, ai poco più di 9 mila di oggi. Su circa 300-350 mila ebrei iraniani oggi stimati la comunità israeliana è ormai arrivata a 200 mila. Ve ne sono poi tra i 60 e gli 80 mila negli Usa, un migliaio in Canada e poco più di 700 in Australia. Una comunità di circa 2 mila ebrei iraniani sta anche a Milano. Mantiene una spiccata identità e rappresenta poco meno di un terzo della popolazione ebraica della città.

 

In teoria, l’Iran è l’unico paese musulmano che tutela formalmente gli ebrei. Ma scambiare lettere con parenti in Israele è “attività anti iraniana”


Il bello è che, in teoria, l’Iran è praticamente l’unico paese musulmano che riservi agli ebrei una tutela formale.  La Costituzione della Repubblica Islamica all’articolo 13 considera gli ebrei una “minoranza religiosa riconosciuta”, con diritto a seguire il proprio diritto privato e gestire proprie scuole. Inoltre, in base a un principio stabilito nel 1906, hanno un deputato al Parlamento: uno dei cinque di minoranze religiose, accanto a uno zoroastriano, un cristiano assiro, un cristiano armeno per il nord del paese e un cristiano armeno per il sud. Dal 2020 il seggio è occupato da Homayoun Sameh. Prima di lui tra 2000 e 2008 c’era stato Maurice Motamed, che si permise di criticare il negazionismo sull’Olocausto dell’allora presidente Ahmadinejad. E tra 2008 e 2020 Siyamak More Sedgh, che nel 2013 accompagnò il presidente Hassan Rouhani alle Nazioni Unite. Tredici ebrei iraniani sono morti combattendo contro l’Iraq arruolati nelle Forze Armate durante la guerra del 1980-88, e nel 2019 membri dei Pasdaran parteciparono a una  cerimonia religiosa ebraica in loro onore. 


L’articolo 14 della Costituzione specifica però poi che questi princìpi si applicano soltanto a coloro che “non si impegnino in cospirazioni o attività contro l’Iran e la Repubblica islamica dell’Iran”. E nella prassi anche scambiare lettere con parenti in Israele è considerato “attività anti iraniana”. A parte i proxy iraniani che hanno scatenato contro Israele ben sette fronti di guerra dopo il 7 ottobre, da Hamas agli Houthi yemeniti e a Hezbollah libanese, dopo l’attentato con cui servizi iraniani e Hezbollah il 17 marzo 1992 provocarono 30 morti e 242 feriti nell’ambasciata israeliana a Buenos Aires, il 18 luglio 1994 l’altro attentato con cui sempre servizi iraniani e Hezbollah fecero 85 morti e 300 feriti fu contro l’Associazione mutualistica israelita argentina. Non contro l’ “entità sionista”, ma contro ebrei in quanto ebrei.

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