
Foto Ansa
il colloquio
Una pennellata di caos contemporaneo per Julie Mehretu
La svolta trumpiana nell’America che l’ha accolta da bambina. Gli “istinti primordiali” di oggi e i modelli luminosi per le donne. Chiacchierata con l’artista
La prima volta che ho incontrato Julie Mehretu ero convinto di trovarmi di fronte a una personalità anarchica e ribelle, per via di un ritratto sul Guardian che la descriveva come un’artista che dipinge “il caos con il caos”. Definizione suggestiva, mi ero detto, trovando poi conferma del mio pregiudizio nelle opere, gigantesche e concepite su diversi strati, che avevo ammirato in una retrospettiva con la quale il Whitney celebrava la sua “mid-career”. Pochissimi artisti viventi avevano ricevuto un onore di questo tipo, ed ero assolutamente convinto che, nonostante il grande successo, nel suo intimo albergasse anche un sentimento di rabbia e rivalsa. Mi sono reso immediatamente conto di essere completamente fuori strada nel momento stesso in cui l’ho incontrata, e sono rimasto colpito invece dal grande rigore, la disciplina severa e la sofferta lucidità delle sue idee. Il suo indubbio carisma intimidisce l’interlocutore proprio perché non ha nulla di rabbioso, e col tempo ho imparato a conoscerne anche un lato gioviale, che la rende un’assoluta anomalia nel mondo dell’arte contemporanea: la dedizione nel lavoro va di pari passo con un carattere che sa essere scherzoso e cameratesco, senza farle perdere nulla della potenza con cui si impone in maniera naturale e immediata. Nativa di Addis Abeba, da quando aveva sette anni vive negli Stati Uniti, dove il padre ha cercato riparo all’epoca dal conflitto tra Etiopia e Somalia. Il legame con la sua terra è imprescindibile, e il ricordo è spesso struggente, ma con lei l’America ha mantenuto la promessa di accoglienza e opportunità, al punto che all’epoca della retrospettiva al Whitney la rivista Time l’ha inserita nella lista delle 100 persone più influenti del pianeta. Prova una sottile irritazione quando viene definita una star dell’arte contemporanea, come se ciò ne sminuisse il lavoro, la ricerca e i ripetuti atti di generosità, come quello di donare due milioni di dollari per borse di studio a studenti indigenti: un’altra, ammirevole anomalia. La potenza espressiva che caratterizza le sue opere richiede la capacità di apprezzarle su vari livelli di lettura: non so se da un punto di vista artistico questo rappresenti il caos, ma certamente è lo stimolo iniziale di tutta la sua arte.
“Caos è la prima cosa che mi viene in mente pensando alla situazione politica dei nostri giorni”, mi dice mentre sta partendo per Oslo, “ma non sto parlando del caos primordiale o dell’energia che muove ogni cosa e che ho cercato di immortalare: purtroppo quello che è sotto gli occhi di tutti è violenza, volgarità, approssimazione, arroganza e dilettantismo. Quanto sta avvenendo è la negazione del fondamento su cui è nato questo paese”.
Da emigrante che giudizio dà della politica sull’immigrazione di Trump?
“Il messaggio che lancia questa amministrazione è orribile e devastante, ma, purtroppo non sorprendente. Trump porta all’ennesima potenza tutto ciò che c’è di negativo nelle forze reazionarie e imperialiste di questo paese, ma la storia americana ci ha insegnato che si tratta di qualcosa di ricorrente, anche se quello a cui stiamo assistendo è peggio di ogni cupa aspettativa. Tuttavia, mi fa piacere dire che anche in questo momento così buio ci sono, come sempre, alcuni elementi positivi: una volontà crescente di reagire e un interesse dei più giovani alla politica”.
Sinceramente ho un’impressione diversa: a me sembra che tra i giovani sia diffuso un netto disinteresse, nato con il crollo delle ideologie, che oggi è sconfinato nel nichilismo.
“Questo è vero, e c’è un’intera generazione di ventenni che ragiona come se non ci fosse un futuro, tuttavia l’approccio barbarico di questa amministrazione ha finito per scuotere anche questa generazione, perché limita e opprime l’unico bene imprescindibile che questi giovani hanno: la libertà”.
Non crede che il mondo della politica che oggi si trova all’opposizione sia ancora disorientato e di fatto afono?
“E’ così per quanto riguarda l’area più ortodossa e moderata, e si tratta certamente di un errore. Invece chi è su posizioni più radicali mi sembra molto attivo, diventando inevitabilmente un polo di attrazione per tutti gli altri. I comizi di Sanders e della Ocasio-Cortez sono strapieni di giovani appassionati”.
Non crede che la radicalizzazione rappresenti in realtà un duplice rischio? Specie in America, chi si è allontanato troppo da posizioni moderate non ha mai vinto, e inoltre la radicalizzazione offre a Trump l’opportunità di dipingere tutta la sinistra su posizioni estreme. David Remnick mi ha detto che è una ricetta sicura per la sconfitta…
“Sono un’artista e non un politico: non pretendo di avere a riguardo la capacità di analisi. Ma non posso che provare apprezzamento di fronte alla passione di giovani che riscoprono la politica in un momento difficile. E quando si è giovani è naturale essere radicali”.
Qual è il ruolo dell’artista in un momento del genere?
“Questo è un momento cruciale, e come ha insegnato Toni Morrison, è il momento di agire, senza esitazioni”.
Cosa intende? L’arte non può rischiare la propaganda: qui in America ho imparato la battuta di Samuel Goldwyn “quando voglio mandare un messaggio, spedisco un telegramma”.
“Conosco questi pericoli, e non ci penso minimamente. Io penso che ogni artista debba fare con dedizione il proprio lavoro: l’arte può avere uno straordinario impatto politico anche quando non se ne occupa direttamente Ogni artista crea uno spazio di possibilità, nel quale le sue idee dialogano con il passato, il futuro e con i sogni: realizzare dell’arte oggi è già di per sé un gesto politico”.
Lei è una donna di colore: come sta cambiando la politica in relazione alla questione razziale e di genere?
“Stiamo vivendo una regressione preoccupante, che assume sempre più i contorni della repressione. Questa presidenza esprime gli istinti più vili e volgari di un paese che vuole tornare a essere imperiale, e che dialoga con una parte della popolazione che oscilla tra la frustrazione, l’ignoranza e la disperazione. L’America ha dimostrato di potere e saper essere ben altro, ma ora sembra posseduta da questi istinti primordiali. Per fortuna, noi donne, e nello specifico noi donne di colore, abbiamo avuto modelli luminosi, come appunto Toni Morrison”.
Qual è la sua reazione all’elezione del primo Papa americano?
“E’ ancora presto per elaborare un giudizio elaborato, ma la prima sensazione è straordinariamente positiva: mi ha molto colpito il fatto che abbia sangue creolo e antenati africani. Ha un compito durissimo, non solo per quello che sta succedendo in America e nel mondo, ma anche perché viene dopo Papa Francesco, che ha fatto delle aperture importantissime in relazione all’omosessualità e ai diritti civili, per non parlare dell’immigrazione. Con lui avevo la sensazione di essere protetta e amata”.
Steve Bannon ha dichiarato che la scelta di Robert Francis Prevost è nella linea di Papa Francesco, a suo modo di vedere “marxista”, e come tale “da combatter2e.
“Il fatto che Papa Leone XIV sia sulla linea di Papa Francesco mi sembra certificato dal fatto che è stato quest’ultimo a nominarlo cardinale poco più di un anno fa. Ho trovato molto toccante il momento in cui il nuovo Pontefice ha portato nel suo primo giorno di pontificato una rosa bianca sulla sua tomba. Per quanto riguarda Bannon la sua lettura mi sembra farneticante, del resto è arrivato persino a parlare di ‘elezione truccata, come quella del 2016 nella quale vinse Biden’. Una persona che ragiona in questi termini ci ricorda chi abbiamo di fronte e con che tenacia dobbiamo contrastarli in ogni modo”.
Trump non sembra affatto interessato alla religione, tuttavia ha conquistato molti voti dei cristiani evangelici: come se lo spiega?
“Trump utilizza la religione quando gli fa comodo, e purtroppo in questo non è molto diverso da tanti politici, anche di colore diverso. Nel suo caso ci sono solo atteggiamenti più smaccatamente lontani da quello che rappresenta realmente la religione, e lontani anche da ogni tipo di moralità. Per quanto riguarda il voto che ha conquistato, in particolare tra gli evangelici, ho impressione che sia prevalsa una valutazione tristemente economica: in molti hanno creduto alle sue promesse, il portafoglio cancella tutto”.
Nelle precedenti interviste sia Margo Jefferson che David Remnick hanno ammesso le storture e la degenerazione del woke e la cancel culture, ed entrambi pensano che la conseguente reazione abbia favorito Trump: lei che ne pensa?
“Anch’io sono dell’idea che ci siano state degenerazioni o usi impropri di atteggiamenti nati con le migliori intenzioni, ma il sogno di tornare a un America degli anni Cinquanta è inquietante, anacronistico e grave. Si tratta del sogno di ritornare in un paese imperiale che ancora non ha conosciuto i diritti civili, nel quale l’American Way of Life si identifica con le famiglie bianche dei film di Doris Day e Rock Hudson. Mentre è in atto questo tentativo, quanto sta mettendo parallelamente in atto il presidente, insieme a Elon Musk, ha delle conseguenze devastanti sulla struttura della società, e su tanta gente che viene espulsa dal paese, perde il lavoro e in alcuni casi muore. Trump ha delle enormi responsabilità morali, e si è rivelato un presidente brutale e infantile, come nel disgustoso incontro alla Casa Bianca con Zelensky”.
Ritiene che gli Stati Uniti siano un impero in declino?
“Io credo che questo paese rischi di decadere per i motivi opposti rispetto a quelli che individua Trump con il suo slogan Make American Great Again: non è tanto l’economia o la forza militare che può entrare in crisi, ma la fiducia nei confronti di quello che ha promesso l’America a gente che è venuta qui da ogni parte del mondo. Voglio anche aggiungere che la sua battaglia insensata contro l’università sta privando di fondi ricerche importantissime in campo medico, tecnologico e scientifico, settori nei quali l’America è l’avanguardia: questa strategia sciagurata rischia di far perdere anche questo primato”.
Come spiegherebbe Trump a un bambino di 10 anni?
“Come un bullo che si crede il preside della scuola. E purtroppo poi lo diventa”.