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Lode al critico che ci aiuta a svelare gli idoli e a smascherare i falsi mistici
In “Niente è come prima”, Alfonso Berardinelli ci aiuta socraticamente a svelare gli idoli, a riacquistare il senso della misura, a percepire nuovamente la varietà di un’esperienza irriducibile alle leggi e ai saperi codificati. Con un gergo che è la parodia filosofico-politica di quello teologico
Come non pochi lettori e collaboratori di questo giornale, alla fine dell’adolescenza mi sono avvicinato ai radicali perché nel movimento pannelliano ho scoperto analisi e forme di dialogo molto diverse da quelle più tipicamente nazionali. Mentre a destra e a sinistra l’eterno clericalismo italiano tendeva a troncare, sopire, rimuovere le verità scomode, i radicali in genere erano pronti a dibatterle. Per ragioni analoghe, nello stesso periodo è stata per me liberatoria la lettura di un critico e saggista come Alfonso Berardinelli: che veniva da altre tradizioni, ma che sul piano culturale svolgeva un’opera simile a quella svolta dai radicali sul piano politico. “Io voglio solo che ognuno mostri ciò che è”, mi diceva Berardinelli: e Radio Radicale dava appunto la parola a chiunque, senza chiedere passaporti. Sull’equivalente culturale del sistema partitocratico, Berardinelli ripeteva poi una frase che riecheggia stranamente Pannella: “Non vogliono testimoni”, osservava. Non li vuole l’editoria, e non li vuole l’università – luoghi, molto spesso, di dolosa cancellazione della memoria. Ancora oggi, leggere questo scrittore mi regala una felicità montaigniana. Ne ho la conferma sfogliando Niente è come prima, la sua ultima raccolta di articoli uscita da Castelvecchi a cura di Marianna Comitangelo e Giacomo Pontremoli. Si trovano qui alcuni ritratti dei suoi più cari autori o compagni di strada (Lichtenberg, Adorno, Auden, Weil, Enzensberger, Bellocchio, La Capria) e anche dei suoi più consueti avversari (Heidegger, Cioran, Severino, Calasso, Agamben).
Né mancano i corpo a corpo con i padri che Berardinelli in parte ammira e in parte rifiuta: Calvino, Fortini, Pasolini. Tornano poi i temi dominanti del saggista: la domanda sui costi umani della tecnologia, che derealizza i rapporti; la lode di quell’individualismo che in Italia è scambiato col menefreghismo tribale, e che richiede invece una continua invenzione etica; la denuncia del bovarismo avanguardistico che “pecca due volte: sia di mimetismo che di astrazione. Imita l’arte per continuare a negarla”. Ma in Niente è come prima prevale la critica ai falsi mistici che fingono si possa parlare di Dio, dell’Essere, o di un’esoterica Rivoluzione, senza farne esperienza diretta, e con un gergo che è la parodia filosofico-politica di quello teologico. Berardinelli compie su di noi un’operazione di cataratta: ci aiuta socraticamente a svelare gli idoli, a riacquistare il senso della misura, a percepire nuovamente la varietà di un’esperienza irriducibile alle leggi e ai saperi codificati. Si prenda ad esempio il microromanzo che abbozza a proposito della gestazione per altri. Dice di aver visto in tv “due giovanotti omosessuali che hanno ottenuto, pagando, di far partorire per loro una donna così bisognosa di denaro da rinunciare, a loro vantaggio, di tenersi come madre il bambino partorito”.
Quella donna, prosegue, “dovrebbe entrare a far parte della famiglia voluta dai due maschi omosessuali, costituendo così una più giusta e reale e vera famiglia non di coppia ma di tre individui. Ovvio che in una tale famiglia di tipo nuovo, mentre i due maschi omosessuali faranno l’amore fra loro, la donna sarebbe invece privata di una tale risorsa e di un tale conforto”. Ma “non avrà forse anche il diritto (dico diritto) di avere un amante, un compagno, una compagna se preferisce? E se così sarà, non avrà anche questa quarta persona, l’amante cioè della madre biologica, il diritto (dico diritto) di entrare a far parte della famiglia? (…) E saranno ammessi o vietati, in casa, in famiglia, rapporti sessuali fra ognuno dei quattro membri e ogni altro? Questa, mi pare, sarebbe davvero una famiglia ‘arcobaleno’”. Con il senso della realtà, Berardinelli ci restituisce quello dell’umorismo, che ci avverte della sproporzione tra i vasti argomenti e le occasioni effimere, e senza il quale si diventa tragicamente kitsch. Come il Winston di Orwell, questo saggista scrive i suoi pezzi su un quaderno: che sia, nella sua resistenza artigianale, “uno degli ultimi uomini in Europa”?

un cortese avvertimento