Foto Ansa

Mostra

Guida alla contemplazione delle Anime del Bernini, specchio di chi guarda

Tommaso Ricci

Nella piccola sala XVII della Pinacoteca vaticana ci sono due volti in marmo, l'Anima bella e l'Anima dannata. Quando il visitatore entra deve immaginare quei due busti che assumono la forma di un'unica opera double face

Piccolo manuale d’uso per una mostra in tempi di iconobulimia. Diceva con un grano di sale Philippe Daverio che non è ragionevole credere di poter incamerare, nell’arco di un’ora e mezzo di un tour de force visivo al museo, centinaia di immagini d’arte quando per realizzarne una ci son voluti mesi e talora anni. Certo, si delega l’immagazzinamento allo smartphone ma intanto la certificata media di 8 secondi pro opera del fast look museale contemporaneo (ricerca Tate Gallery) inibisce ogni memoria ed esonera da ogni immedesimazione. I Musei del Papa, complice l’inutilizzabilità del berniniano Braccio di Carlomagno – causa destinazione a uso soccorso sanitario per i pellegrini del Giubileo – stanno sperimentando da qualche tempo un format espositivo monodose: mostre di uno o due pezzi, per educare al “meditar guardando”. E’ il caso dell’appena inaugurata “Le anime del Bernini”, a cura di Barbara Jatta e Helena Perez Gallardo.

 

Qualche suggerimento per superare la barriera dell’attenzione, alzare l’asticella della concentrazione e dilatare la capacità di penetrazione in un luogo preso d’assalto quotidianamente da oltre ventimila persone. Entrati nella penombra della piccola sala XVII della Pinacoteca vaticana (che pare una di quelle cappelline destinate all’orazione silenziosa poste all’interno di maestose chiese-museo), fissare lo sguardo sui due volti in marmo, l’Anima beata e l’Anima dannata, poi chiudere gli occhi e immaginare… Immaginare quei due blocchi di marmo ancora intonsi, tastati dalle dita di un giovanotto di 21 anni, un ex scugnizzo napoletano trapiantato a Roma e cresciuto allo scalpello del padre (fiorentino) Pietro: deve cavare l’anima da quei minerali informi, glielo ha chiesto, dietro buon compenso, un prelato spagnolo che a Roma ha sentito dire meraviglie del giovane Bernini. Dieci anni prima infatti – ora siamo nel 1619 – il Papa tuttora felicemente regnante, Paolo V, il “Paulus V Burghesius” scolpito a caratteri cubitali sulla facciata della Basilica vaticana, ha pronosticato al ragazzino decenne un futuro da “Michelangelo del nuovo secolo” e la voce s’è propagata e da allora l’enfant prodige non ha mai deluso la previsione, ha appena scolpito l’ardito Enea, Anchise e Ascanio! Peraltro, per accedere alle due Anime berniniane in mostra si è costretti – felice coincidenza – a passar davanti, pochi passi prima, agli imponenti calchi delle tre Pietà michelangiolesche, dunque l’associazione mentale tra i due geni è suggerita anche dal tragitto.

 

Riaperti gli occhi ci si immerge nella eccezionalità di questa ostensione pubblica della coppia di piccole sculture; dalle felpate e inaccessibili stanze della Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, la più antica residenza diplomatica permanente al mondo, dove sono abitualmente custodite, ai Musei Vaticani, per tre mesi ad gloriam Iubilaei: dalla solitudine alla ressa, se non fosse per la appartata Saletta XVII. E ci si chiede chi siano questi due busti senza nome, uno femminile, estatico, rivolto al cielo, l’altro maschile saturnino o demoniaco – un autoritratto del giovane Bernini? C’è chi ne è convinto –. E i soggetti sono davvero due? All’inizio del Giubileo del 1600 andò in scena a meno di due chilometri da qui, all’Oratorio della Vallicella, la chiesa di san Filippo Neri a Roma, la prima opera sacra della storia della musica; al terzo atto irrompevano in scena due gruppi di anime che recitavano queste parole:

 

“Alme beate e belle, lassù sopra le stelle qual cosa è più gradita? ANIME BEATE: Eterna, eterna vita: vita che vive e regna, dolce, celeste e degna, sempre, sempre gradita”.
“Voi che siete laggiù, che vi tormenta più? Cosa è nell’inferno?  ANIME DANNATE: Il fuoco, il fuoco eterno, crudel, crudel peccato per cui ci ha condannato il giudice superno al foco, al foco eterno”.  

 

Contemporaneamente venivano esibite in palcoscenico immagini, incisioni, di volti d’anime perdute e d’anime salvate che ebbero larga diffusione. Bernini le avrà viste? La devozione, privata e popolare, intima e teatrale, era impregnata di una spiritualità incentrata sui Quattuor Novissima (morte, giudizio, inferno e paradiso), rilanciata dal Concilio di Trento e diffusa, con varie sfumature, dai nuovi ordini cattolici suscitati da santi come Ignazio, san Filippo Neri, Calasanzio, Felice da Cantalice. E dunque sì, se collochiamo queste due sculture nella dimensione dell’aldilà, si tratta indubbiamente di due entità separate, i loro destini postmortem si sono ineluttabilmente divisi come le two roads di Robert Frost e uno dei due resta, purtroppo o per fortuna, the road not taken. 

 

Ma se invece consideriamo le opere secondo la loro destinazione d’uso, lo sguardo del vivente – quello del committente allora, quello nostro oggi – la prospettiva muta di colpo e i due busti si fondono in un pulsante entrelacement assumendo la forma di un’unica opera double face. In vita infatti le due potenze si affrontano, lottano, si abbrancano all’interno dell’unica anima al fine di far prevalere e imboccare nell’oltretomba uno dei due soli destini eterni possibili (onde evitare questa rischiosa alternativa secca intervenne il purgatorio e sarebbe stato bello poter ammirare anche una berniniana “Anima purgante”): in questa chiave dunque l’anima scolpita da Bernini diventa una sola. Eppure ce n’è una seconda presente ed è la tua, caro spettatore! Bernini ti ha messo davanti agli occhi uno specchio, uguale a quello da lui usato – dicono gli storici dell’arte – per copiare il ghigno di raccapriccio dell’Anima dannata; le due Anime, sì sublimi oggetti d’arte, sono perciò anche utile strumento di ravvedimento esistenziale e dunque di salvezza. E le visionarie e suggestive volute concettuali del celebrato psicanalista dell’anima James Hillman prendono un sapore di rococò di fronte alla espressiva immediatezza barocca delle Anime berniniane.

Di più su questi argomenti: