L'arte dello scandalo
Richard Billingham e i suoi scatti di dolente realismo
Dopo quasi trent’anni, torna in libreria “Ray’s a Laugh”, il book del fotografo che tra pareti claustrofobiche, padri alcolizzati e madri tabagiste svelò l’ipocrisia della classe media inglese
Due eventi, nel 1997, hanno cambiato il volto dell’Inghilterra. Uno è stata la vittoria schiacciante del New Labor alle elezioni politiche. L’altro è stata ‘Sensation’, la mostra della Collezione Saatchi alla Royal Academy”. Così sentenziava, dieci anni fa, il critico d’arte del Guardian Jonathan Jones cercando di inserire in una prospettiva storica la Young British Art, corrente alla quale sono stati ricondotti artisti come Damien Hirst, Tracey Emin, Jenny Saville, Sarah Lucas, Rachel Whiteread e i fratelli Jake and Dinos Chapman. Più a ridosso degli eventi, nel 1999, Jerry Saltz scriveva sulle colonne del Village Voice: “Quando ha aperto alla Royal Academy a Londra, ‘Sensation’ è forse diventata la mostra più importante dai tempi dell’’Armory Show’ del 1913 (quella in cui venne presentato l’orinatoio di Marcel Duchamp, ndr), attirando un mare di follia e di polemiche. Bastava chiedere ai tassisti londinesi di farsi portare a ‘quella mostra d’arte’ e questi sapevano già di cosa stavi parlando. Era la mostra da vedere, indipendentemente da ogni giudizio”. A quasi trent’anni di distanza, i laburisti sono tornati al potere, ma all’orizzonte non sembra esserci nulla di paragonabile a “Sensation”, quanto meno in termini di capacità di catalizzare intorno a sé attenzione e scandalo.
Di quel manipolo di artisti, scelti dal genio della pubblicità Charles Saatchi (lo stesso che, paradossalmente, coniò il fortunato slogan dei Tory degli anni Ottanta “The Labour isn’t work”), ricordiamo soprattutto i dipinti, le sculture e le installazioni. Eppure, camminando per gli spazi vittoriani della Royal Academy, a fare “sensazione” c’era anche una serie di fotografie che ha segnato la storia del medium, in generale, e dell’editoria del photobook in particolare. Stiamo parlando di “Ray’s a Laugh” di Richard Billingham, allora giovanissimo artista appena uscito dall’Accademia di Birmingham. Sono istantanee della vita familiare del giovane, un ciclone di gesti e colori che frulla dentro le pareti claustrofobiche di un appartamento delle case popolari della città inglese delle West Midlands. Personaggi della tragicommedia: Ray, smilzo padre alcolizzato; Liz, madre obesa sedentaria e tabagista; Jason, fratello minore seguito dai servizi sociali. Uno schiaffo agli amanti della fotografia patinata. Un pugno nello stomaco alla coscienza sociale della classe media britannica. Un po’ Nan Goldin, un po’ Larry Clark, un po’ Martin Parr. Un po’ nessuno dei tre.
Quelle immagini spontanee e dolenti, ironiche e disperate, tenere e ruvide insieme tornano in libreria dopo che la prima edizione di “Ray’s a laugh”, pubblicata dall’editore zurighese Scalo, era diventata un’introvabile pietra miliare della storia del libro fotografico. La nuova pubblicazione, rivista e ampliata, realizzata dall’inglese Mack, è accompagnata da un libretto, “Ray’s a laugh-a reader”, curato da Liz Jobey, che ricostruisce in modo dettagliato la genesi e la fortuna del libro uscito nel 1996. “Non ho mai pensato di diventare un fotografo. A scuola ero il più bravo a disegnare e il mio sogno era di diventare un pittore”, racconta al Foglio Billingham, oggi rispettato professore di Fotografia all’Università del Gloucestershire e a quella del Middlesex: “Da piccolo, guardavo le riproduzione dei capolavori dei grandi maestri della pittura e mi commuovevo. La prima volta che ho preso in mano la macchina fotografia è stato a 19 anni, perché mi serviva materiale su cui esercitarmi per miei dipinti: paesaggi, animali, persone per la strada. Poi, per lo stesso motivo, ho realizzato qualche ritratto in bianco e nero di mio padre Ray. Solo dopo ho cominciato a usare il colore. Ed è lì che è iniziato tutto”.
Il giovane studente di pittura fotografa qualsiasi cosa: i mobili, le suppellettili, gli ambienti trasandati. Ray che dorme, Ray che inciampa, Ray che beve, Ray svenuto a terra. Liz che fuma, Liz che mangia, Liz che litiga con Ray, Liz che abbraccia Ray, Liz che bacia Ray. I cani di casa Billingham. I gatti di casa Billingham. Il criceto di casa Billingham. L’acquario di casa Billingham. La carta da parati kitsch. Il soffitto scrostato. La cucina lurida. I fiori finti. “La mia attenzione si è incominciata a concentrare sugli aspetti formali: la corrispondenza dei colori e le texture dei vestiti di mia madre con le immagini appese alle pareti. Ho iniziato a usare gli specchi per certe inquadrature. Per la poca luce, poi, ho capito che dovevo usare il flash”. Il primo ad accorgersi della forza del lavoro del giovane Richard è il fotografo Julian Germain, allora docente University of Sunderland, dove il giovane studiava. Il professore chiede allo studente che cosa ne pensino i genitori di quelle immagini. Risposta: “Non gliene frega niente”. La prima impressione, ricorda Germain, fu che gli sembrava po’ come se quelle fotografie fossero una vendetta. “Non c’era nulla di nascosto. Mi stava mostrando qualcosa che la stragrande maggioranza delle persone, probabilmente, si sarebbe sentita a disagio perché mostrava qualcosa di negativo sui propri genitori”. Eppure, a sentire Billingham, quello che fotografava era nulla di più che materiale visivamente interessante.
“La mia attenzione si è incominciata a concentrare sugli aspetti formali: la corrispondenza dei colori e le texture dei vestiti di mia madre con le immagini appese alle pareti”.
Passano pochi mesi e Germain presenta a Richard il foto editor di Telegraph Magazine, Michael Collins, arrivato da Londra per un seminario. Lo studente gli mostra alcune brevi sequenze ritratti di suo padre e suo zio. “Quando gli chiesi se avesse mai fotografato a colori, rispose che sì, aveva un sacco di stampe a colori e che potevo prenderle in prestito per guardarle. Sono andato a casa sua e ho aspettato fuori. È uscito con due borse piene di stampe, che ho portato con me a Londra. Non so che fine abbiano fatto – se Richard le abbia ancora – ma queste fotografie a colori, stampate in modo grezzo e approssimativo, sono, a mio avviso, la cosa più importante del suo lavoro. Erano ciò che stava facendo. Erano le sue immagini caotiche, crudeli, intime, dure, empatiche, devozionali, scattate all’interno della sua cupa e inadeguata zona di comfort. La brutalità tra uomini può mascherare molte emozioni, compreso l’affetto. A volte è l’unico linguaggio ammissibile”.Collins segnala il lavoro di Billingham allo svizzero Walter Keller, fondatore di Scalo. “La verità è che mi serviva una pubblicazione per accedere al master in pittura”, spiega il fotografo: “Facemmo tutto abbastanza di fretta e il libro uscì, mentre ancora io stavo lavorando sui miei genitori. Anzi, il lavoro andò avanti ancora a lungo. Tanto che ne trassi prima un documentario, ‘Fishtank’, andato in onda sulla Bbc nel 1998 e poi, più di recente, nel 2018, ho girato un vero e proprio film, ‘Ray & Liz’, ispirato alle fotografie che ho scattato negli anni Novanta”.
Erano ciò che stava facendo. Erano le sue immagini caotiche, crudeli, intime, dure, empatiche, devozionali, scattate all’interno della sua cupa e inadeguata zona di comfort. La brutalità tra uomini può mascherare molte emozioni, compreso l’affetto.
Nel suo saggio in “Ray’s a laugh-a reader”, Liz Jobey ricostruisce nei dettagli la vicenda editoriale della prima edizione del libro, dalla quale si comprende perché a quasi trent’anni di distanza non c’era mai stata una seconda edizione, nonostante la grande richiesta, e perché quella nuova di Mack di discosta così tanto dall’originale, per immagine di copertina, formato e numero di immagini. Da una parte appare chiaro che il rapporto tra Billingham e Collins non fu facile e quest’ultimo, dall’alto della sua esperienza, si spinse – per sua stessa ammissione – eccessivamente nella opera di editing, dando un’impronta personale che, in parte si distanziava dalla sensibilità dell’autore. Dall’altra, Keller di Scalo modificò la grafica pensata in Inghilterra e scelse per la copertina uno scatto ravvicinato della smorfia-sorriso del volto di Ray. Effetto in sintonia con lo spirito di “Sensation”. Oggi le scelte di Billingham, per il libro creato per il 2024, sono più meditate e meno sfacciate. Il volume, di grande formato, è di 320 pagine di sole immagini. È sparito il breve testo dell’autore che compariva in quarta di copertina, accompagnato da una breve frase di Robert Frank: “Flash sul volto di mamma e papà. Un album di famiglia britannico così bello che posso vedere e sentire quello che succede tra i fotogrammi. Non c’è spazio per giudizi o moralismi... Solo realtà e nessuna finzione. Richard Billingham è il figlio e conosce la sua famiglia”.
Ma la fortuna del libro di Scalo è anticipata da una fulminante ascesa dell’artista a livello internazionale. Nel 1996, Billingham è con Thomas Demand e Wolfgang Tillmans tra gli autori scelti per la mostra al MoMa “New Photography”, che ogni anno segnala i talenti emergenti. La rivista “Artforum” gli dedica la copertina del numero del gennaio 1997, scegliendo il ritratto di Ray e Jason che posano a torso nudo. Lo stesso anno il ragazzo di Birmingham vince a Londra il primo Citibank Private Bank Photography Prize (quello che oggi si chiama Deutsche Börse Photography Prize). Nei mesi successivi le immagini di “Ray’s a laugh” vengono esposte in importanti gallerie commerciali: alla Luhring Augustine, a New York; alla Regen Projects a Los Angeles, alla Galerie Jennifer Flay a Parigi e alla Massimo De Carlo a Milano. Nel 2000, Billingham è tra i finalisti del Turner Prize, il maggior riconoscimento per i giovani artisti britannici. Intanto il libro di Scalo, uscito quasi in sordina (ci fu una sola presentazione pubblica al Fotomuseum Winterthur in Zurich, nel marzo del 1996), diventa un oggetto di culto grazie al successo di “Sensation”, che dopo il debutto a Londra fa tappa prima all’Hamburger Bahnhof di Berlino e poi al Brooklyn Museum di New York.
Il ragazzo delle case popolari di Birmingham, protagonista suo malgrado della tragicommedia di Ray, Liz e Jason, è proiettato in una dimensione lontana anni luce. “Sono nato in una famiglia povera, cresciuto nelle case popolari, dove nessuno aveva un lavoro, nessuno possedeva un’auto. La gente si drogava. I palazzi erano coperti da graffiti razzisti, perché era normale essere razzisti. E io ero lì che volevo diventare un artista e non riuscivo ad adattarmi a quella vita. Il successo come fotografo mi ha dato accesso un nuovo mondo, dove le cose funzionavano al contrario: non dovevo più nascondere ciò che prima era considerato una debolezza. Non dovevo più vergognarmi del mio interesse per la natura. Non era più necessario infarcire le frasi di parolacce per farsi ascoltare. Potevo non essere razzista. Finalmente ero in un ambiente nel quale mi sentivo a mio agio”. Eppure, in quel mondo così lontano, le immagini arrivate quasi da un altro pianeta riscuotevano successo. Voyeurismo? Cattivo gusto? “Il mio lavoro non era nato per piacere a qualcuno. Forse ero molto ingenuo, ma rimasi molto stupito dall’interesse con il libro e il lavoro avevano suscitato. Poi, lo sappiamo, alla gente piace guardare la vita degli altri. Soprattutto se è segnata dai conflitti. Come quello che vediamo in tv. Se la gente litiga, gli ascolti aumentano. E a casa mia tutto questo non mancava. È un dramma, certo. Ma è anche una storia d’amore. C’era Ray che continuava a bere e Liz che gli gridava di smettere. Ma il mio occhio non era quello dello sceneggiatore, era quello del pittore. Li guardavo e avevo in mente le immagini dei Grandi Maestri”.
“Il mio lavoro non era nato per piacere a qualcuno. Forse ero molto ingenuo, ma rimasi molto stupito dall’interesse con il libro e il lavoro avevano suscitato. Poi, lo sappiamo, alla gente piace guardare la vita degli altri. Soprattutto se è segnata dai conflitti”
Per sua stessa ammissione, quando Billingham prende in mano per la prima volta la macchina fotografia e punta l’obiettivo verso protagonisti del suo dramma familiare, non ha nessuna conoscenza della storia del medium. Non ha mai sentito parlare di “Tulsa”, il libro scandalo di Larry Clark del 1970, dove sesso e droga si intrecciano in una autobiografia senza filtri. Non ha mai visto i colori irriverenti delle immagini di “Last Resort” di Martin Parr, sulla Brighton anni Ottanta, uscito nel 1986. Non ha idea di che cosa sia “The Ballad of Sexual Dependency” di Nan Goldin, pubblicato nel 1988. “Allora non c’era internet. I libri di fotografia non avevano una grande diffusione come oggi. Ero chiuso nella mia bolla e scattavo in modo istintivo, facendo agire il mio subconscio che si era nutrito delle immagini della storia dell’arte vista sui libri”.
Per descrivere il suo approccio di allora, Billingham usa parole che pochi fotografi oggi userebbero in modo così diretto: “Ho imparato presto che la macchina fotografica non mente. Anche perché se provo a farlo, il risultato appare ridicolo. Non avevo nessun tipo di intento politico o di denuncia sociale. Ho fotografato quello che vedevo, nel modo che mi sembrava interessante. Mi ha sempre attratto la realtà, anche agli inizi, quando cercavo di dipingere. Cercavo la vita di tutti i giorni”. Ed è forse questa la chiave con cui è giusto leggere questo lavoro e che lo accomuna al lavoro degli Young British Artists, esposti con lui a “Sensation”. Se fino ad allora gli elementi fondamentali dell’arte americana che aveva dominato la scena mondiale erano stati mito e fantasia, questo gruppo di giovani britannici scommettono sulla vita quotidiana. Usano Duchamp, Warhol, Donald Judd e li ubriacano con la realtà. Ne è venuto fuori un nuovo tipo di realismo. Cieco, sfacciato, senza compromessi e agende politiche. Il pendolo della storia dell’arte, in quella stagione ormai conclusa, ha oscillato dalle parti della vita.
Le fotografie di Richard Billingham, tratte da “Ray’s a Laugh”, saranno in mostra alla 33esima edizione del Festival di Fotografia di Savignano sul Rubicone dal 13 al 29 settembre.
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