il caso

Mary Poppins no: la frusta moralista colpisce anche la tata volante

Francesco Palmieri

Il termine “ottentotto” sarebbe discriminatorio. Eppure i libri di P. L. Travers restano una grande reazione spiritualista al ’900

“C’era qualcosa di strano e di straordinario in lei, qualcosa di spaventoso e al tempo stesso elettrizzante”: Mary Poppins, come dichiarò la sua creatrice Pamela Lyndon Travers, era un po’ più inquietante della prodigiosa bambinaia che Walt Disney traspose dai libri in un film di clamoroso successo. S’ispirò in questo caso al principio che “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”, come recita la canzoncina, ma la dolcezza della zolletta non ha soppresso i messaggi stregati che la nanny ha instillato nel cuore di generazioni dal 1964, quando uscì la pellicola vincitrice di cinque premi Oscar tra cui quello per la migliore attrice protagonista a Julie Andrews.

  
Amareggia ma non sorprende che adesso il British Board of Film Classification abbia colpito anche Mary Poppins nell’ultima pronuncia moralizzatrice. Il Bbfc ne vieta la visione ai minori di dodici anni senza un adulto accanto che spieghi come il termine “ottentotto”, pronunciato dal vecchio e un po’ fuori di testa ammiraglio Boom, sia discriminatorio verso una etnia africana il cui nome corretto è khoikhoi. (Chi sa poi se un adulto medio, senza guardare Wikipedia, conosce cos’è un ottentotto). Poiché le intelligenze di brutto carattere sono affascinate dalla stupidità, se la Travers non fosse scomparsa nel 1996 più che irritarsi forse si divertirebbe per avere acquisito qualche nuovo punto in comune con il creatore di Peter Pan, James Matthew Barrie, beccato per analoghi motivi (definiva redskins, pellerossa, i nativi americani) o per esempio con il belga Hergé, tacciato di razzismo per Tintin in Congo del 1931.

  
Già la scrittrice fu carne da frusta nel 1980, epoca d’oro per levità d’espressione rispetto all’attuale, quando la San Francisco Library tolse i volumi di Mary Poppins dagli scaffali perché in un capitolo del primo libro faceva compiere ai bimbi Michael e Jane un viaggio con la bussola incantata nei vari continenti, dove venivano accolti da stereotipate figure di cinesi, eschimesi, indigeni americani e subsahariani. Nel 1967 lei aveva rivisto quelle pagine e nel 1981 sostituì gli umani con animali parlanti per adeguarsi a un’epoca in cui appena albeggiavano la cancel culture e la dittatura woke.

 

Malgrado la vestizione disneyana, che spiacque alla scrittrice, “Mary Poppins” non è una fiaba. Piuttosto è un condensato di pensiero magico

  
Eppure Mary Poppins meriterebbe tutt’altra attenzione rispetto al bilancino lessicale. Malgrado la vestizione disneyana, che spiacque alla scrittrice, non è una fiaba antica riproposta in versione edulcorata come Cenerentola né semplice letteratura per ragazzi, categoria in cui la Travers rifiutò sempre la collocazione. E’ piuttosto un condensato del pensiero magico sopravvissuto alla modernità, un Bignami spiritualista che si richiama a disparate tradizioni, una sognante reazione al sanguinoso Novecento figlio del positivismo. Nel 1934, quando esce il primo degli otto libri su Mary Poppins, il secolo è giovane ma già vede il nazionalsocialismo al potere da un anno; volge le spalle senza dimenticarla a una guerra mondiale; ha vissuto la disillusione per il progresso economico con la Grande depressione; ha visto produrre dalla tecnica non solo portenti ma cataste di fanti sacrificati, nel caso inglese, sui campi della Somme dove i primi carri armati rodavano i cingoli.

  

Le ombre scucite dalle rispettive persone, un tema condiviso con “Peter Pan”. Insegnamenti esoterici sulla funzione del “doppio” astrale

  
Primogenita di Travers Robert Goff, un bancario di origini irlandesi che si era trasferito in Australia sposando una ragazza di buona famiglia, Helen Lyndon Goff – questo il vero nome di Pamela – resta orfana di padre piuttosto presto e si scopre narratrice con le storielle che inventa per risollevare le sorelle piccole e la mamma dalla tristezza piombata sulla casa. Vorrebbe recitare, danzare o scrivere, ancora bene non sa, finché dall’Australia si trasferisce presso i parenti irlandesi. E’ nella patria ancestrale che comincia a coltivare esoterismo e poesia, perché conosce il poliedrico intellettuale George William Russell, noto con lo pseudonimo di AE alle migliori menti dell’isola e affiliato come molti amici all’ordine ermetico della Golden Dawn. Russell combina l’incontro di Pamela con il poeta “mago” William Butler Yeats, che al primo appuntamento – lei rievocherà – le mostra emozionato come un bambino l’uovo appena deposto dal suo canarino. E’ l’uovo in cui si forma anche l’embrione di Mary Poppins. Gli interessi della giovane venuta da lontano si sviluppano in un ambiente favorevole: le leggende del folklore irlandese si coniugano agli influssi spirituali che lo scricchiolante impero britannico assorbe ancora, ed è difficile pensare a Mary Poppins senza ricordare le dakini, le “fate volanti” del lamaismo tibetano, o senza richiamare gli sciamani che si teletrasportano vincendo le norme dello spazio e del tempo. Mary Poppins arriva nella casa di Viale dei Ciliegi portata dal “vento dell’est” come Pamela viene dall’Australia, e se n’andrà sul “vento dell’ovest” che dall’Irlanda spingerà anche la scrittrice a trasferirsi nel Sussex. Lei procede ormai sulla stessa terra di mezzo di Arthur Conan Doyle, il papà del razionale Sherlock Holmes che però crede alle fate e allo spiritismo. E’ la terra battuta anche da Barrie, da cui mutuerà alcuni temi utilizzati per Peter Pan: il signor Banks, padre dei bambini di cui Mary Poppins si prende cura, è una formichina della City come il papà dei piccoli che volano all’Isola-che-non-c’è. Peter Pan torna nella nursery della famiglia Darling per riprendersi l’ombra scucita e un capitolo impressionante di Mary Poppins al parco, quarto libro della saga pubblicato nel 1952, inscena una notte di Halloween cui partecipano solo le ombre che si staccano dalle rispettive persone. “Credetemi, tesorucci, sapete davvero tanto se sapete quello che sa la vostra ombra. E’ l’altra parte di voi, l’esterno del vostro interno, se capite quello che voglio dire”, spiega la Signora degli Uccelli a Michael e Jane durante la festosa ordalia. Più che letteratura pedagogica, sono insegnamenti esoterici sulla funzione del “doppio” astrale.

   
Pamela rielabora da occultista gli spunti di Barrie, che ripropone in un ambiente meno esotico e più domestico: i “pensieri felici” che servono ai bambini Darling per volare sono ripresi nell’esilarante scena del tè in levitazione a casa dello zio Wigg. Ed è forse coincidenza significativa che il primo editore di Pamela sia Peter Llewelyn Davies, il quale da bambino aveva ispirato assieme ai fratelli la storia (e il nome) di Peter Pan. L’eroe di Barrie avrebbe perso i poteri se fosse cresciuto, e anche i gemellini di casa Banks fino a un anno di vita capiscono il linguaggio degli uccelli ma poi scordano tutto. 

  
L’iniziazione da adulti sarà un ritorno alla comprensione originaria che viene da altre vite o da una vita che ha assunto sembianze e nomi diversi e dimenticati. C’è una sola “Grande Eccezione”, sottolinea la Travers, ed è Mary Poppins che tutto ricorda. Lei va al ballo di Halloween non solo con l’ombra ma in carne e ossa, come le streghe pensavano di andare al Sabba. Loro su una scopa, lei con l’ombrello parlante. Gli altri, noi gente comune, per ricordare arcane sapienze dobbiamo riaprire il passaggio tra l’alto e il basso, ripulire dalla fuliggine il camino dell’anima intasato da scorie affinché la fiamma brilli. E’ il compito simboleggiato dal chimney sweeper, lo spazzacamino Bert amico di Mary interpretato nel musical disneyano da Dick Van Dyke, che con la sua corporazione balla tra i tetti di Londra come fosse una combriccola di allegroni, mentre Pamela non poteva ignorare la poesia di William Blake che aveva denunciato il duro mestiere di quei ragazzi, “tutti rinchiusi in bare nere” sognando un angelo liberatore. “Ottentotti” li bollava per la faccia scurita dalla cenere lo sclerotico Boom, emblema di una Marina imperiale che aveva colonizzato il mondo senza capirne l’essenza sotto pelle: era l’altro braccio inglese, quello secolare su cui oggi si concentrano i moralizzatori laici malgrado fosse già ridicolizzato, al pari dell’avido vecchio capo della Banca d’Inghilterra, simbolo di una potenza finanziaria ormai vulnerabile al punto che i penny negatigli dai bambini rischiano di innescarne il crollo.


Sì, Mary Poppins può leggersi anche come l’invito al sovvertimento di un mondo ingessato che scricchiola nell’Inghilterra edoardiana, l’epoca in cui è ambientata; un invito all’interclassismo e al femminismo della bambinaia che si vanta di non dare referenze o spiegazioni a nessuno. E’ persino un’anticipazione della realtà virtuale, perché attraverso i disegni a gessetto sul marciapiede s’accede a un’altra dimensione, che ora chiamiamo metaverso ma che gli sciamani conoscevano da sempre. Sono interpretazioni che non contrastano ma si completano: “Gli elementi stregoneschi di Mary Poppins sono evidenti, ma a differenza di altri classici per l’infanzia, le frequentazioni e gli interessi personali della Travers fanno pensare che non si tratti di coincidenze quanto di scelte consapevoli”, dice Fabio Camilletti, docente di Letteratura italiana all’università di Warwick a Coventry ed esperto dei rapporti tra occultismo e fiction. “Il film biografico Saving Mr. Banks del 2013, che individua l’origine di Mary Poppins e del tormentato rapporto fra la Travers e Disney nel trauma infantile provocato dal padre, lascia in ombra gli aspetti esoterici dell’autrice, ossia il sostrato dell’opera ignorato dal grande pubblico”. Camilletti spiega l’ambientazione nei luoghi della Londra vittoriana ed edoardiana “perché rappresentano una vera e propria provincia dello spirito, il cuore dell’impero dove confluiscono culture diverse che s’esprimono per esempio in Dracula o in figure peculiari quali Sherlock Holmes. E’ un mondo che sarà poi percepito come l’oasi prima della caduta, la Belle époque che la Prima guerra mondiale travolgerà. Non stupisce che la cultura britannica abbia continuato a rievocarne l’incanto ormai precluso alla contemporaneità, un riferimento che, condito da mediazioni preraffaellite e dal revival neopagano degli anni Settanta, arriva fino a Harry Potter di J. K. Rowling anche nella sua estetica”.


Il trauma della Grande guerra lacerò i confini tra realtà e immaginazione, ricorrendo alla seconda per medicare la prima: nel 1914, quando lo scrittore di occultismo Arthur Machen racconta sull’Evening News che le ombre degli arcieri della battaglia di Azincourt del 1415 sono andate in soccorso alle truppe inglesi, si propaga un’allucinazione collettiva e molti soldati scrivono dal fronte di avere visto con i propri occhi san Giorgio guidare gli spettri contro i tedeschi. “E’ un’epoca in cui il mondo intellettuale britannico è immerso nella congerie dell’occultismo in tutte le coloriture: dalla teosofia di Annie Besant, allieva di Madame Blavatsky, alla Golden Dawn di Yeats ai circoli spiritici che interessarono Conan Doyle”, osserva Enrico Terrinoni, titolare della cattedra di Letteratura inglese all’Università per stranieri di Perugia, tra i maggiori studiosi di James Joyce. “Fu una vasta corrente improntata al progressismo politico che influenzò lo stesso Joyce, finché negli anni Trenta non se ne appropriarono il nazismo e il fascismo alla ricerca di una mistica che nemmeno per loro poteva essere quella cristiana”. Mente duale, Joyce è affascinato dal pensiero magico però nell’episodio nono dell’Ulisse scherza su “AE” Russell e sullo studioso irlandese di Shakespeare, Edward Dowden, che apparteneva a quella cerchia. Provocò forse per questo una sottile vendetta da parte della figlia di Dowden, Hester, che come Pamela si firmerà Travers (la scrittrice in omaggio al nome del padre, lei dal cognome del marito Travers Smith). “E’ una curiosa coincidenza che andrebbe approfondita”, nota Terrinoni, “perché forse non è casuale. Hester Dowden o Travers Smith fu una medium professionista conosciuta soprattutto per avere pubblicato le sue presunte conversazioni con lo spirito di Oscar Wilde, il quale bocciava l’Ulisse quale libro di nefandezze consentendo a lei di replicare alla canzonatura su Dowden”.


Come trovare il bandolo della matassa che s’aggroviglia in Mary Poppins forse lo suggerì la stessa autrice in un saggio pubblicato per il trimestrale della Libreria del Congresso nel 1967. Il suo titolo, ripreso dall’epigrafe del romanzo di E. M. Forster, Casa Howard, è Only Connect: nient’altro che connettere. Unire i puntini. Le fiabe e i miti, afferma Pamela Travers, bussano alla nostra porta e “tutte le cose sono separate e frammentarie finché l’uomo stesso non le colleghi, talvolta sbagliando talaltra indovinando”. L’importante è che ciascuno diventi “l’eroe della sua stessa storia, della propria fiaba o, se preferite, di una fiaba reale”. Intanto lei, proseguendo la sua via, s’era occupata di zen, era stata discepola del mistico armeno Georges Ivanovic Gurdjieff (che affascinò Katherine Mansfield come Franco Battiato) e aveva trascorso un periodo della Seconda guerra mondiale in una tribù di Navaho, l’etnia che rese alla intelligence americana un servigio prezioso prestando alle comunicazioni militari il proprio idioma indecifrabile dai crittoanalisti dell’Asse.


Pamela Travers si rifiutò di svelare il nome che gli indiani le avevano assegnato, ma rivelò che Mary Poppins apparteneva ai tempi antichi, che i suoi attributi originari sarebbero stati le trecce dorate, una ghirlanda, la lancia e i sandali alati, ma che, come le disse il vecchio Russell, vivendo noi nell’età induista oscura, il cosiddetto Kali Yuga, doveva presentarsi nei panni di una nanny scorbutica dispensatrice di medicina zuccherata.

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