Luigi Nono a Venezia - foto Ansa

Visto a Venezia

Che cosa resta di "Prometeo", l'opera quasi impossibile di Luigi Nono

Mario Leone

La Biennale ripresenta la tragedia per celebrare i cento anni della nascita del compositore. Si tratta della composizione forse meno politicizzata, benché permangano i temi cari a un artista che aveva abbracciato l’ideologia marxista

Cent’anni dopo la nascita del compositore, quarant’anni dopo la prima esecuzione: sono più d’una le ricorrenze che hanno spinto la Biennale di Venezia a riproporre il Prometeo di Luigi Nono con l’Orchestra di Padova e del Veneto e una serie di gruppi vocali e solisti diretti da Marco Angius. Quel 25 settembre 1984 nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo furono solo quattrocento gli spettatori ammessi alla “prima” sotto la direzione di Claudio Abbado, con testi curati da Massimo Cacciari e uno spazio architettonico e musicale mai visto prima: una gigantesca arca, progettata da Renzo Piano. I costi elevati e la morte qualche anno dopo di Nono non permisero all’opera di potersi affermare, nonostante una seconda versione presentata alla Scala nel 1985.
 

Nono giunse alla piena fioritura solo alla fine della sua vita. Dal 1975 in poi si dedicò alla composizione di una serie di opere strettamente collegate tra loro, come un arcipelago, al centro del quale sorge il Prometeo. Questa “tragedia dell’ascolto”, come riporta il titolo originale, è anche una sfida alla capacità dell’ascoltare, “un viaggio di formazione ed elevazione – dice Lucia Ronchetti, direttrice della Biennale – un labirinto acustico di straordinaria complessità e bellezza, da cui si esce grazie alla cura con cui il compositore ha progettato ogni aspetto di quella che definiva la sua ‘drammaturgia acustica’”. Nono lavora sulla singola parola, rendendola spesso poco distinguibile grazie al livello dinamico portato al limite dell’udibilità. A questo si aggiunge la spazializzazione degli ensemble, dei cori e dei solisti i cui suoni sono trasformati attraverso l’elettronica. L’opera si compone di nove sezioni dove spesso gli strumenti hanno il compito di “colorare” le voci, raddoppiandole all’interno di uno spazio che per stessa ammissione del compositore risulta decisivo.
 

Prometeo è forse l’opera di Nono meno politicizzata, benché permangano i temi cari a un artista che aveva abbracciato l’ideologia marxista con i colleghi Pollini e Abbado, manifestando attraverso la musica quell’impegno politico che lui considerava inscindibile dalla ricerca artistica. Sono gli anni Sessanta e Settanta – periodo in cui compone l’emblematico “Intolleranza 1960” – e impegnarsi per Nono acquisisce il valore dell’imperativo morale sartriano da affiancare a quello estetico.
 

Sicuramente in Prometeo cambia qualcosa nella prospettiva ideologica con cui il compositore guarda alla funzione dell’opera d’arte. Nono si accorge dell’illusorietà di un certo modo di fare la “rivoluzione sociale” e della necessità che questa assuma una nuova fisionomia, depotenziata della conflittualità tipica degli anni Sessanta e Settanta. C’è come la ricerca di una nuova visione politica dove protagonista è “il Prometeo-Wanderer – dice Nono - proteso nella ricerca di nuove ‘leggi’ con cui buttare all’aria quelle precedenti, in una parola la continuità prometeica senza fine”.
 

Dopo aver visto dal vivo l’opera i sentimenti sono contrastanti. Da un lato la gratitudine per un enorme sforzo organizzativo e artistico (le parti vocali e orchestrali sono terribilmente difficili e la parte elettroacustica non da meno); dall’altro permangono le domande sull’intelligibilità di un’operazione di questo tipo. Un lavoro complesso, erudito, elitario, quasi segnato dal desiderio di tracciare un fosso tra l’opera d’arte e chi ne dovrebbe fruire. Sono le persone i destinatari ultimi di un’opera d’arte? Che rimane di quella musica che destruttura la parola, annienta qualsiasi rapporto tra i suoni manipolandoli anche fisicamente? Allora parlando della musica moderna e contemporanea viene da parafrasare quanto T. S. Eliot si domanda nel rapporto tra chiesa e umanità: “E’ l’umanità che ha abbandonato la musica o la musica che ha abbandonato l’umanità?”. Se l’esecuzione del Prometeo aprisse a un dialogo non fazioso su questi temi il risultato del progetto sarebbe ancor più positivo.