facce dispari

Maria Alessandra Masucci, manager custode del principe alchimista

Francesco Palmieri

Nel 2023 abbiamo avuto oltre 650 mila ospiti. Senza più file. Ma i numeri non sono il solo indicatore di successo", racconta la presidente del Museo Cappella Sansevero, da alcuni anni tra i luoghi più visitati di Napoli. Davanti al Cristo Velato anche Annie Ernaux, Patti Smith e Bono Vox

È volubile quanto i destini umani la sorte di certi monumenti. Può ben dirlo chi rammenta la penombra della Cappella Sansevero e i suoi sparuti visitatori nei primi anni Ottanta del secolo scorso, o chi in un più lontano passato neanche riuscì a entrare nel tempio allegorico lasciato alla posterità dal principe Raimondo di Sangro. Tra i personaggi dispari e geniali del ’700, scontò la sovrabbondanza d’intelletto come altri ne scontano le carenze. La Cappella, capolavoro in cui il principe di Sansevero profuse i migliori neuroni e ingenti ducati, è da alcuni anni tra i luoghi più visitati di Napoli: non c’è chi voglia mancare la tappa alla statua del Cristo Velato, ormai famosa nel mondo.

Dietro la sgargiante statistica c’è la congiuntura favorevole dell’industria turistica ma anche una discendente del principe, Maria Alessandra Masucci, presidente del Museo Cappella Sansevero dall’estate 2021 e già membro del consiglio d’amministrazione dal 1998, quando aveva ventitré anni.

 

Precoce vocazione o scelta di famiglia?

Tutt’e due. Entrai nel cda prima di laurearmi in legge, poi mi sono specializzata nella gestione dei beni culturali.

 

Il primo impatto col principe?

Non lo ricordo, è sempre stato parte della storia di casa. Ogni domenica, qualsiasi cosa avessimo da fare, passavamo in Cappella. Anche ora resta un museo privato, che non riceve alcun contributo.

 

Luogo raccontato più che visto per circa duecent’anni da illustri letterati e storici dell’arte, poi l’exploit dei visitatori comuni. Quando?

Gradualmente dalla riapertura del ’90, dopo due anni di lavori post terremoto. All’epoca i musei non erano attivi sul territorio come adesso e il centro antico di Napoli era terra di nessuno. In quel decennio ne animammo il recupero, per esempio partecipando al comitato per il restauro del ‘Corpo di Napoli’, ossia la statua del dio Nilo, con un crowfunding riproposto in un ulteriore intervento nel 2013. L’altro elemento di successo è che siamo sempre stati aperti alle iniziative artistiche. L’ultima è una mostra illustrata di Daniela Pergreffi sugli esperimenti del principe, alla Off Gallery vicina alla Cappella. Durerà fino al 4 marzo.

 

La mostra s’intitola ‘Haravec’, “inventore”: vocabolo di lingua quechua con cui don Raimondo denominò se stesso nella ‘Lettera Apologetica’, l’opera in cui elaborava una lingua universale basata sui quipu, le cordicelle annodate degli Incas. Libro subito messo all’Indice.

Malgrado la ‘Supplica umiliata’ che scrisse a papa Benedetto XIV, in cui coniò peraltro un emoticon ante litteram: il “punto ironico”, che rese con un segno grafico ad hoc, spiegando che la sua mancanza nella nostra lingua contribuiva a equivocare certe affermazioni.

  

Gran maestro della massoneria, artefice di una Cappella che è metafora di un percorso esoterico, editore con un’avveniristica tipografia di libri proibiti, inventore, credente nella liquefazione del sangue di san Gennaro che però riprodusse in laboratorio. Del suo antenato hanno scritto decine di storici accademici, di dilettanti e stravaganti. Chi fu per lei Raimondo di Sangro?

Un uomo che incarnò tutti i fermenti della sua epoca e le relative contraddizioni, con un talento strepitoso che oscillava tra il narcisismo e il riserbo. Voleva accreditarsi presso la comunità scientifica e gli piaceva stupire i viaggiatori, ma al contempo manteneva segreti i procedimenti delle sue ricerche, eppure tutte testimoniate: gemme e marmi artificiali, pittura oloidrica, stoffe impermeabili, giochi pirotecnici. L’elenco è lungo: la prima invenzione la realizzò da adolescente, un palco pieghevole che si apriva e richiudeva in pochi secondi; l’ultima poco prima di morire, la “carrozza marittima” con cui passeggiò sulle acque nel 1770.

 

Quante persone vengono in Cappella?

Nel 2023 sono state oltre 650 mila. Senza più file perché abbiamo governato i flussi con un meccanismo di prenotazioni digitale sull’esempio del Museo Van Gogh di Amsterdam. Per entrare non si aspetta più di dieci minuti. Avremmo potuto valicare il milione di ingressi ma vogliamo mantenere un turismo sostenibile. I numeri non sono il solo indicatore di successo, lo sono anche le visite guidate per sordi e ipovedenti o le recensioni che promuovono le nostre audioguide in cinque lingue, di cui fruisce una persona su tre.

 

Non teme che la Cappella Sansevero si trasformi, assieme al centro di Napoli, in un parco giochi turistico tra friggitorie e b&b?

Spetta alle istituzioni locali intervenire con infrastrutture e servizi, regolare i flussi, evitare la gentrificazione. Gli abitanti del centro vanno tutelati quanto il patrimonio urbano. Il paesaggio non è fatto solo di edifici, ma di chi li abita da generazioni. Resto fiduciosa.

   

   

C’è un ospite che ricorda di più?

Tra i più recenti Annie Ernaux e Patti Smith, ma mi è rimasto impresso Bono Vox per la sua reazione emotiva. Restò in contemplazione accanto al Cristo Velato mentre ascoltava dallo smartphone un pezzo scritto con Zucchero, ‘Someone Else’s Tears’: “We bowed down to beauty and truth/ I see no reason but maybe you’ll explain/ Why I can’t stop crying…”. Disse che davanti a quella statua la canzone acquisiva il suo senso compiuto.

 

Cosa progetta per la Cappella?

È in corso la catalogazione scientifica di tutte le opere contenute.

 

A proposito: conferma che la tomba di don Raimondo è vuota?

Sì, è un cenotafio.

 

Dove riposano le spoglie?

Mistero.

 

Mistero mistico?

Non saprei, sono molto razionale, Acquario come Raimondo che nacque il 30 gennaio. Però non credo all’astrologia.