La storia

Novalis, il padre dal Romanticismo tedesco, da studente

Elisa Veronica Zucchi

Penelope Fitzgerald, con la sua biografia romanzata sull'autore, esplora la vita e l'anima del poeta tedesco, intrecciando la magia del fiore azzurro con la filosofia romantica e la ricerca spirituale. Un viaggio nelle profondità dell'anelito e della trasfigurazione poetica

All’inizio del romanzo Enrico di Ofterdingen, rimasto incompiuto, lo scrittore e filosofo tedesco Novalis (1772-1801) ci parla di uno straniero che evoca luoghi lontani e racconta di un fiore azzurro al protagonista che, in sogno, lo vede e lo osserva mutarsi nel volto di una donna. Novalis è uno pseudonimo, appellativo di famiglia che il nobile Friedrich von Hardenberg ha scelto per sé nel 1798, in occasione della sua prima pubblicazione, Polline, e a cui ha attribuito il significato di “illustratore di nuove terre” (dal latino novalis, terra nuova)

Lo straniero e l’inafferrabile fiore, fatto della stessa sostanza dei sogni, ispirano la scrittrice britannica, un po’ lenta rispetto alla propria vocazione, Penelope Fitzgerald, che scrive appunto Il fiore azzurro (Sellerio), una biografia romanzata degli anni di formazione di Novalis. Con l’ausilio dell’edizione critica di Stoccarda 1960-1988  contenente opere, lettere, diari e documenti ufficiali e privati del poeta degli Inni alla notte, la Fitzgerald percorre le tappe della vita del giovane Friedrich von Hardenberg, qui Fritz, seguendone gli spostamenti da “casa Hardenberg” nella cittadina di Weissenfels. Fritz incontra la sua musa Sophie von Kühn a Grüningen, mentre vi si reca per l’apprendistato necessario per diventare amministratore delle miniere di salgemma. A Jena segue le lezioni di Fichte,  cui dedicherà numerosi studi, e, a turno con altri studenti, assiste il malato “Professor Schiller”.

In questo periodo, Friedrich Schlegel nota il ragazzo, intuendone la potenza spirituale e il destino. Gli Studi fichtiani, nonché l’intera educazione filosofica di Novalis, evidenziano il territorio del suo poetare. Come sottolinea Giampiero Moretti (Scritti filosofici, Morcelliana), egli agisce nel luogo in cui poesia e pensiero si toccano, sul sentiero in cui risultano indissolubili, come in Hölderlin, che Novalis incontra una sola volta nel 1795. Questa è la terra in cui viene coltivato il fiore azzurro, assurto poi a simbolo del Romanticismo tedesco. Il suo apparire  scalda le pagine e la Fitzgerald sa suscitarne il portato magico grazie alla leggerezza di uno stile affabile, brioso e puntuale che, via via, denota i personaggi, facendoli apparire e scomparire in “una continua invenzione di ambienti e situazioni, rapide entrate e uscite di scena” (come ebbe a scrivere Alfredo Giuliani nel ’98). Tale andirivieni genera uno straniamento rispetto all’azione e pone di fronte a ciò che è veramente in gioco, quel fiore che Fritz ha incontrato in fondo alla sua anima e a cui è devoto come alla sua giovanissima e malata Sophie.

L’apparato della realtà così com’è nasconde un vertiginoso sentimento del tempo, una nostalgia che è, insieme, anelito e uno svanimento che è una forma di conoscenza: i contorni delle figure si fanno tanto più vaghi quanto più le sembianze sono trasfigurate, “azzurre”, infinite. Esse si immergono nella trasparenza di una visione interiore, splendendo di luce nuova. Proprio mentre ci passano accanto, sono già, al contempo, “azzurre” e oscure, poiché la luce illumina e abbaglia. Ma chi è lo straniero che parla di questa miracolosa corrispondenza fra l’anelito e il cuore dell’anima? Come sognando se stessi si va altrove, così la voce di un’opera giunge da lontano.

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