Vittorio Emanuele Parsi - foto Ansa

il libro

L'energia della patria secondo Vittorio Emanuele Parsi

L’idea di patria è ben viva nel dibattito mondiale e rappresenta un formidabile moltiplicatore di senso civico. Noi italiani dobbiamo ripartire dalla sua natura inclusiva e protettiva. Un estratto dall'ultimo libro del direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni internazionali dell’Università Cattolica

"Madre Patria. Un’idea per una nazione di orfani" è l’ultimo libro di Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni internazionali dell’Università Cattolica. Pubblichiamo parte dell’introduzione adattata per il Foglio.

 


 

Patrioti, patriottismi, patriottardi ma anche rimpatri ed espatriati. Da qualche anno nel dibattito pubblico in Italia assistiamo a una presenza sempre più fitta di parole che gravitano attorno all’idea di Patria, ovvero in termini generici quella terra abitata da un popolo che condivide una cultura, una storia e delle tradizioni. Che si discuta dell’insorgere di nazionalismi, che si commentino i flussi migratori o la situazione geopolitica europea e mondiale non si può non incappare in questo concetto che a prima vista può apparire ambiguo o sfuggente. 
 

Il concetto di Madre Patria, ancor meglio di quello di Patria, ci aiuta a cogliere non solo la condizione di un popolo che si ritrovi orfano di entrambi i genitori – la madre e il padre  – ma sottolinea le qualità di inclusione, amore e protezione che la Madre Patria porta con sé: la dolcezza che assale il marinaio quando intravede le coste familiari che ha lasciato salpando tempo addietro, la commozione che suscita in chi ritorna da un lungo viaggio il ritrovare i paesaggi conosciuti, il legame radicato e profondo tra una comunità e le sue istituzioni, dove l’una e le altre sono necessarie per assicurarci una vita piena e un futuro di speranza.
 

Le riflessioni di questo libro affondano in una domanda che ha continuato ad affacciarsi alla mia mente da quando la guerra in Ucraina è cominciata nel febbraio 2022, ovvero: che cosa rende così arduo per molti compatrioti e molte compatriote apprezzare il senso del sacrificio di milioni di ucraine e di ucraini, che per difendere la loro Madre Patria sono disposti a combattere ed eventualmente morire? L’ipotesi che formulo è che ciò affondi nel difficile rapporto che gli italiani hanno con la loro Patria. 
 

Troppo spesso diamo fallacemente per scontata e irreversibile la serie di conquiste che hanno reso la vita dei cittadini e delle cittadine della repubblica infinitamente migliore di quanto mai fosse stata prima, sotto la dittatura e nella monarchia liberale. Ma ritengo sia un dato di fatto che, fin dall’inizio della vicenda repubblicana, l’epopea resistenziale non sia riuscita a costituire a pieno un mito motore condiviso dalla maggioranza della popolazione e profondamente sentito per la resurrezione o per la rinascita della Patria. Non nei termini di una “Patria nuova” e neppure in quelli di una Patria che portasse a compimento la parabola risorgimentale.
 

La responsabilità non sta solo e tanto nel fatto che una parte degli italiani scelse di aderire alla Repubblica sociale italiana e al fascismo repubblichino, quanto piuttosto nel punto che la conduzione dello stato italiano che emerse dal referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946 e dall’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948 venne fin dal primo momento confiscata dai partiti – ovvero quelle strutture aliene alla vita politica, culturale e sociale della gran parte degli italiani per tutto il ventennio, compresi molti di coloro che scelsero di combattere contro i tedeschi e contro i fascisti di Salò – e orientata rispetto alla loro logica.
 

Dalla Resistenza animata dai partiti (socialista, comunista, d’azione, democratico cristiano) non poteva dunque che nascere una “Repubblica dei partiti”. Non nel senso che la presenza di questi fondamentali soggetti intermedi, necessaria al buon funzionamento di qualunque democrazia rappresentativa, fosse in sé perniciosa. Del resto sperimentiamo nei primi decenni del XXI secolo che cosa significhi avere a che fare con partiti dall’incerta e volatile struttura o una ambigua o fumosa dimensione ideologica. Ma nel senso che quella repubblica, alla quale l’adesione era stata pur massiccia e la cui Costituzione aveva generato tante aspettative, partiva orfana e del tutto priva di un mito fondante poderoso e universalmente accettato, proprio a causa di due grandi ostacoli: i contrasti e le divisioni da subito molto marcate tra i partiti che l’avevano costruita e la mancanza di un’interpretazione condivisa della Resistenza. 
 

Non sorprendentemente è stato proprio il crollo della Repubblica dei partiti nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso, con l’avvento di Tangentopoli e dell’inchiesta giudiziaria di Mani pulite, ad aprire una finestra di opportunità per rendere nuovamente disponibile e accessibile una comune idea di Patria per i cittadini italiani. Iniziò proprio a partire da quegli anni una “pedagogia istituzionale” che mise al centro il Risorgimento – con la sua concezione di Patria liberale e poi democratica – anche con lo scopo di rintuzzare le spinte secessionistiche “nordiste” di un partito in forte ascesa in quegli anni (La Lega Lombarda, poi diventata Lega Nord) che in quegli anni sembravano essere particolarmente virulente e per arginare un’ondata culturale neoborbonica che addossava al processo di unificazione nazionale tutti i mali del sud. Ci si mosse, allora, riproponendo la continuità ideale tra Risorgimento e Resistenza – divenuta possibile in una luce diversa perché anche quest’ultima si liberava finalmente dal monopolio interpretativo della partitocrazia – cercando di fondare la seconda sul meno divisivo basamento costituito dal primo. 
 

Ciò che in questo inizio di XXI secolo occorre mettere in campo, invece, è proprio la dimensione ascendente dell’edificazione della Patria: quella che solo ciascuno e ciascuna di noi può creare nel proprio cuore. Ci serve uno slancio, un moto che parta da noi, in grado di vincere cinismi, particolarismi, egoismi e timori e contribuisca alla resurrezione della Madre Patria. Solo in questo modo, infatti, la Patria non correrà il rischio di essere ostaggio di questa o quella forza politica, o, viceversa, di essere nuovamente espunta dal novero delle “cose care” agli italiani, magari nel nome di un cosmopolitismo riempito in realtà di mille particolarismi, ognuno alla ricerca di una sua piena legittimazione, di un suo riconoscimento identitario – incapace però di andare a sintesi. Solo nella costruzione di un sentimento condiviso che nasca spontaneamente dal basso, potremo costruire la garanzia di una Patria saldamente nelle mani dei suoi cittadini e delle sue cittadine, di una Patria che unisca e affratelli invece che dividere e delegittimare gli altri. Perché la Patria è qualcosa che nasce solo quando si stabilisce in modo emotivo ma anche “narrativo” un solido legame tra gli abitanti e il loro territorio, quando il senso del privato sfuma costruttivamente nel senso del pubblico e quando dall’interesse individuale ci si apre a considerare anche quello collettivo.
 

Serve cioè superare la morte della Patria, “elaborandone il lutto”. Se la Patria italiana è morta nel 1943, infatti ciò a cui abbiamo assistito a lungo sono stati comportamenti ossessivi di negazione del lutto (nelle due versioni possibili: “la Patria non è mai morta” o  “quella che è morta non è la mia vera Patria”) oppure della melanconia, del rimpianto per la Patria irrimediabilmente perduta. Ma come ci insegna la psicanalisi nei casi di perdite di persone care, il lutto invece può essere elaborato. Dobbiamo allora andare oltre l’idea di nostalgia intesa come rimpianto per qualcosa di irrimediabilmente perduto – il sentimento cioè di essere esiliati dalla Patria, quello che provano i soldati e i marinai che per lunghi periodi sono costretti lontani da casa, di cui l’Ulisse omerico è l’archetipo – e abbracciare piuttosto quella nostalgia intesa come memoria di una eredità e una gratitudine per quello che ci è caro e che alla radice della nostra identità. Ed esattamente come in qualunque caso di superamento del lutto, il processo può partire solo da noi, da ognuno di noi. Neppure chi riveste la più alta magistratura di custode delle istituzioni e ha dimostrato di saperla ricoprire con gravitas e levitas, con dignitas e auctoritas, è in grado di elaborare il lutto della morte della Madre Patria al posto nostro. E il nostro turno, tocca a noi compiere il primo passo di un percorso, di un processo che può partire solo dalla cittadinanza, come collettività e come individui: ognuno facendo il proprio dovere, riscoprendo il peso leggero e “gaio” del dovere.
 

Ma perché è opportuna proprio “adesso” una nuova riflessione sulla Patria? La risposta è sotto i nostri occhi. La ascoltiamo e leggiamo nel dibattito politico italiano, in cui, con monotona e devastante inutilità, ancora una volta tornano a scontrarsi in questi primi anni venti del XXI secolo idee identitarie e settarie di Patria e di chi dovrebbero essere i veri patrioti. Ma ancora di più lo è nella constatazione che nel mondo intorno a noi – a cominciare dall’Europa e dall’Unione europea – nessuno, giustamente, si illude che il privarsi di questo concetto costituisca un viatico efficace verso diverse e necessarie sintesi politiche più ampie.
 

Qualunque cosa rappresenti, qualunque significato vogliamo ascrivere alla parola – che la si ami, la si detesti, ci risulti indifferente o ci commuova – il concetto di Patria è tornato nel lessico della vita e della politica italiana. Spesso brandito come un’arma nei confronti degli avversari, talvolta aggettivato per screditarne l’utilizzo altrui ed esaltarne il proprio, il termine Patria finisce sovente per essere impiegato nell’accezione opposta al suo originario significato: non per unire, ma per dividere, al limite per consentire a una parte di appropriarsi del tutto. Ma altrettanto spesso la scelta di chi desidera impedire questa appropriazione indebita è quella – debole, rinunciataria – di negare il valore del concetto di Patria per camuffare la propria incapacità di difenderlo, relegandolo a un vetusto armamentario lessicale ottocentesco.
 

Eppure l’idea di Patria è ben viva nel dibattito mondiale e rappresenta un formidabile moltiplicatore di energie, abnegazione e spirito di sacrificio: è in grado di creare un senso civico che, in sua assenza, non arriva a compiere quel balzo in avanti, il solo capace di saldare l’esperienza delle comunità in cui ognuno di noi è immerso con le istituzioni che creano e garantiscono le regole del nostro vivere associato.
Come è possibile che noi italiani siamo condannanti a restare orfani della nostra Madre Patria solo perché non riusciamo a svoltare e andare oltre l’esperienza che dagli anni venti del XX secolo fino alla fine della Seconda guerra mondiale ha fatto della Patria un ostaggio di politiche vergognose e ci ha costretto a scegliere tra una ignominiosa sconfitta e una ancor più esecrabile vittoria del progetto nazifascista?
 

Non si tratta di dimenticare né di omologare, ma di far ritornare la nostra Madre Patria dall’esilio in cui la abbiamo confinata per la nostra incapacità di affrontare il dibattito civile e politico in modo leale, senza appropriarci del suo nome in modo partigiano e particolaristico. Non possiamo oggi più che mai restare gli unici orfani in un mondo e in un’Europa in cui nessuno rinnega la propria Patria, e a ragion veduta.
 

La tremenda guerra imposta dalla Russia al popolo ucraino ci ha mostrato i due volti della Patria e del patriottismo. Quello malevolo e arcigno, aggressivo e violento, che pone la propria Patria al di sopra di qualunque criterio di giustizia e umanità, perfettamente analogo a quello della Germania nazista e dell’Italia fascista, incarnato dalla Russia di Vladimir Putin. E quello che evoca echi risorgimentali e resistenziali, rappresentato plasticamene da tutto il popolo dell’Ucraina guidato da Volodymyr Zelensky. Da Mosca come da Kyiv la Patria è stata continuamente evocata, eppure non deve sfuggire che si tratta di due concezioni ben diverse dietro la stessa parola: quella del nazionalismo sciovinista e imperialista e quella più irenica ma non imbelle del patriottismo. 
 

Non è casuale la scelta di tornare lì, a questa guerra ancora in corso, nella quale l’uso del concetto di Patria ha toccato i vertici dell’eroismo e gli abissi dell’abominio, per sottolineare come in ogni Dr. Jekyll possa celarsi la natura di un Mr Hyde. Come nel romanzo di Robert Luis Stevenson l’ambizione può portare una persona benevola e rispettabile a trasformarsi in un mostro, così in politica un concetto di per sé inclusivo e positivo può farsi strumento al servizio dei peggiori deliri di sopraffazione. 
 

A prescindere da tutte le ragioni che possono essere individuate per spiegare la difficoltà del nostro sentimento patrio ad affermarsi, una Patria è necessaria. Lo è tanto più nel momento in cui la strutturale volatilità del mondo ci chiede una capacità di interazione e integrazione con gli altri sempre più profonda. Tutto diventa intrattabile se non sappiamo che cosa per noi non può essere messo in discussione, quali sono le nostre fondamenta e radici, quali sono i valori e i tratti che ci caratterizzano. Un’idea di Patria solida e condivisa può essere esattamente quello che ci guiderà con maggior serenità e minori ansie verso una effettiva integrazione europea. Ma un’idea di Patria più forte e inclusiva può consentirci anche di interagire con serenità con gli individui che provengono dai paesi extraeuropei – paesi con i quali non esistono prospettive politicamente credibili di progressiva integrazione istituzionale – e che sono alla ricerca di un’inclusione individuale nell’abito di un quadro certo di riferimenti politico-valoriali: ovvero nel corpo della cittadinanza italiana e non solo in quello della società italiana.
 

Solo un progetto condiviso e solido di patriottismo e un’idea chiara di Madre Patria ci può consentire di tenere a bada il razzismo, il sovranismo, l’identitarismo – quest’ultima una sindrome che, in forme diverse, affligge tanto la destra quanto la sinistra. Ma non possiamo lasciare solo a partiti che troppo spesso rappresentano pure e semplici macchine elettorali al servizio di questo o quella leader il compito di elaborare il concetto di Madre Patria, che è – e deve essere – politico ma che non è – e non può essere – di parte (partigiano), e che costituisce il principale argine capace di contenere la lotta tra le fazioni. La Patria è sì un valore politico, ma può svilupparsi esclusivamente a partire da un’elaborazione sentimentale e culturale che scaturisca dai cuori e dalle menti dei cittadini e delle cittadine.
 

Troppo spesso, in questi ultimi trent’anni, abbiamo pensato alle istituzioni repubblicane come a qualcosa di separato dalle comunità in cui viviamo. Ci siamo dimenticati che le istituzioni incarnano la democrazia, le danno corpo, e fanno sì che essa possa continuare a esistere. Critichiamo spesso la democrazia, opponendo modelli utopistici e astratti a quella concreta e realizzata in cui abbiamo vissuto per oltre tre generazioni. Ma così facendo anziché spronare la democrazia – e noi con lei – a migliorare delegittimiamo la democrazia in cui viviamo: che è compiuta ma che è anche eternamente incompiuta, perché la democrazia è per definizione un viaggio infinito. Svilendola, dimentichiamo che, con tutti i suoi limiti e difetti, la democrazia resta, di gran lunga, il modo più gentile per governare gli esseri umani che sia mai stato inventato in oltre 2.500 anni di storia.

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