Facce dispari

Lorenzo Antonini e la perduta magia dei soldatini

Francesco Palmieri

Dal 1930 gli Antonini fabbricano e vendono fanti, cavalleggeri, artiglieri nelle sontuose divise napoleoniche presso  la "Bottega’ romana vicina al Parco Nemorense. Tra i clienti Cossiga, Spadolini, Gava, Bubbico

Non potremmo dirlo noi meglio di Fleur Jaeggy: “Capita talvolta di incontrare certe persone dall’aria distratta, sembrano non tenere a nulla, non badano ai passanti, né alle donne né agli uomini, camminano trasognate, le loro tasche sono vuote, il loro sguardo privo di pensieri, eppure sono le persone più passionali che esistano al mondo: sono collezionisti”. Quelli di cui si parla con Lorenzo Antonini appartengono a una peculiare specie di collezionisti per i quali la descrizione va rifinita co un vago barlume di infantile stupore, che chi raccoglie soldatini conserva per tutta la vita. Eppure furono capi di stato e ministri, grandi manager e professionisti smaliziati, che si smarcavano appena possibile dagli impegni per andare alla ‘Bottega’ romana vicina al Parco Nemorense, dove dal 1930 gli Antonini fabbricano e vendono fanti, cavalleggeri, artiglieri nelle sontuose divise napoleoniche o nelle esotiche uniformi delle truppe coloniali. Pezzi singoli, movimentati gruppi in azione o inquadrati nella marcia di solenni parate. Il tempo gioca contro di loro e contro Antonini, perché i bambini, sia quelli tali per anagrafe sia quelli tali nel cuore, coi soldatini non giocano più.

 

Non tramanderà l’attività?

Macché. Il mio pubblico sta scomparendo per motivi anagrafici. Non c’è più ricambio generazionale. Il novanta per cento della clientela è morta. Mi reggo sulla restante quota di collezionisti, i quarantenni degli anni Ottanta che ancora comprano qualcosa.

 

Perché i soldatini non interessano più?

Perché da tempo i bambini quasi non ci giocano più. E crescendo, se non ci hai giocato da piccolo, difficilmente ti interesserai al soldatino da collezione. È una passione che nasce se è precoce. Ho cinquantacinque anni e la mia generazione amava ancora i soldatini, poi sono arrivati i videogame, i robot. E i cinesi.

 

I cinesi?

Quando sono comparsi in edicola a cinque o dieci euro i soldatini dipinti made in China. C’è stata una massificazione. Chi entrava in bottega e vedeva i nostri, a cinquanta euro, pensava che costassero troppo. Ma ci sarà una differenza tra l’orologio venduto dai giornalai nelle uscite a dispense e un Rolex originale.

 

Collezionare soldatini è un hobby da ricchi?

La nostra è sempre stata una clientela di élite. C’era anche chi collezionava più per marche di fabbricanti che per periodi storici. C’era chi si interessava solo al soldatino di antiquariato. Bisognava avere una certa disponibilità economica e una casa spaziosa per allestire una collezione importante.

 

Chi erano i clienti?

Politici, medici, notai, e pure faccendieri. Gente che spendeva o che voleva reinvestire ma con competenza. Studiavano uniformologia e acquistavano libri su libri per ampliare la documentazione. Adesso, a chi s’accontenta di acquisire nozioni sufficienti basta un giro su internet. Per una biblioteca specializzata di mille libri mi hanno offerto appena 1.500 euro, poi fortunatamente ho trovato un appassionato che ha pagato di più. Ormai, quando muore un collezionista, non siamo capaci di ripiazzare tutta la sua raccolta come accadeva un tempo. Si deprezza, si disperde. Ogni morte è un altro pezzo di quel mondo che se ne va, con tutta l’amorosa cultura che c’era dietro.

 

Oggi è cambiata cultura, ma una cultura c’è.

Forse nel modellismo, ma lo tratto in misura solo marginale. Se ci riferiamo al fantasy sì, una cultura c’è. Però un nano del ‘Signore degli anelli’ basta dipingerlo bene e il gioco è fatto. Invece per i soldatini bisogna approfondire la Storia vera, quella che molti probabilmente non coltivano più.

 

Su quali modelli eravate specializzati?

Sugli eserciti degli Stati italiani preunitari.

 

Ricorda clienti dal nome celebre?

Cossiga, Spadolini, Gava, Bubbico. Alberto Predieri aveva una meravigliosa collezione del periodo napoleonico, tutti pezzi artigianali molto particolari. La raccolta di Bubbico, invece, è stata rivenduta di recente dalle nipoti per pochi soldi. Peccato.

 

Quando esordì la vostra attività?

Nel 1911 mio nonno Francesco cominciò a fabbricare giocattoli, pezzi artigianali per un pubblico povero. Nel 1927 avviò la produzione di soldatini anche infrangibili, brevettando una pasta speciale fatta di colle animali, caolino, polvere di legno su un’anima di ferro. Dagli anni ’60 fu mio padre Luciano a prendere l’attività e dal 2005, quando è morto, gli sono subentrato.

 

Prima cosa faceva?

Sono stato ufficiale di cavalleria e agonista a livello nazionale nelle gare di equitazione. Che a differenza dell’ippica, non paga bene. Così smisi e mi dedicai alla bottega.

 

Qual è il suo pezzo preferito?

Conservo ancora gli stampi di bronzo del nonno. Non ci sono solo soldati, c’è per esempio la collezione di ventidue maschere italiane che rifacemmo per il nostro centenario in tiratura limitata. Il mio preferito però è un pezzo che riproduce la scenetta di Pinocchio catturato dai gendarmi.

 

E tra i soldatini?

I prediletti sono gli ussari del reggimento di Piacenza. Mi affascinarono da quando vidi il film di Ridley Scott ‘I duellanti’, tratto dal racconto di Joseph Conrad. Quelle meravigliose uniformi con lo spencer, gli alamari, il mantello…