Meridiano di sangue di Cormac McCarthy, il libro “più sanguinoso mai scritto”

Jonathan Yardley

"C’era sangue che si allungava in lingue scure sul pavimento e c’era sangue che copriva come malta le pietre del lastricato e correva nel portico dove le pietre erano state scavate dai piedi dei fedeli e da quelli dei loro padri prima di loro"

Ciò che leggerete qui sotto è l'articolo pubblicato dal Washington Post il 13 marzo 1985 a firma di Jonathan Yardley sul quinto romanzo dello scrittore Cormac McCarthy, morto ieri a Santa Fe a 89 anni.

    


   

Per iniziare la giornata in modo brillante e allegro, ecco un piccolo assaggio dal nuovo romanzo di Cormac McCarthy: “Gli uccisi giacevano in una grande pozza di sangue comune. Si era rappreso in una specie di budino segnato da orme di lupi o cani, e ai margini si era seccato e crepato come una ceramica rosso borgogna. C’era sangue che si allungava in lingue scure sul pavimento e c’era sangue che copriva come malta le pietre del lastricato e correva nel portico dove le pietre erano state scavate dai piedi dei fedeli e da quelli dei loro padri prima di loro, ed era colato giù lungo gli scalini e sgocciolato dalle pietre fra le tracce rosso scuro dei devastatori”.
 
Sapevo che ti sarebbe piaciuto; si sposa benissimo con il succo d’arancia. Allora, che ne dici di qualcosa da mescolare ai corn flakes? Questo dovrebbe andare bene: “I morti giacevano nell’acqua bassa come le vittime di una catastrofe marina, o sparsi lungo la sponda salata, sangue e interiora dappertutto. I cavalieri trascinavano i corpi fuori dall’acqua insanguinata del lago, e alla luce crescente dell’alba la spuma che lambiva la spiaggia era di un rosa chiaro. Giravano fra i morti mietendo le lunghe ciocche nere con il coltello e lasciando le vittime col cranio scuoiato, bizzarre sotto le loro cuffie di sangue. I cavalli dispersi del branco partirono al galoppo lungo la sponda fetida e scomparvero nel fumo, per poi ritornare sempre al galoppo. Alcuni uomini guazzavano nell’acqua rossa colpendo senza motivo i morti, e altri giacevano sulla spiaggia accoppiandosi con i corpi bastonati di ragazze morte o morenti. Uno dei Delaware passò con una collezione di teste, come un grottesco venditore ambulante diretto al mercato, e teneva i capelli attorcigliati intorno al polso mentre le teste penzolavano e giravano su se stesse”.

Se siete Vampira, o Dracula, amerete “Meridiano di sangue” dalla prima all’ultima pagina, perché è davvero “un’esplosione di sangue, una scena puzzolente”. Che peccato che Sam Peckinpah non sia più in circolazione, perché sicuramente gli sarebbe piaciuto molto girarlo – anche se c’è almeno la possibilità che persino il regista di “Il mucchio selvaggio” e “Cani di paglia” trovi Meridiano di sangue un po’ troppo pesante per il suo stomaco. Non scherzo: questo deve essere il romanzo più sanguinoso mai scritto. I passaggi citati sopra sono, a dire il vero, un po’ blandi; il rispetto per il prossimo mi ha obbligato ad astenermi dal citare quelli che riguardano l’asportazione dei bulbi oculari, il taglio dei genitali e altri dettagli della vita nel Vecchio West – o, per essere più precisi, la vita nel Vecchio West come viene rappresentata nell’immaginazione di Cormac McCarthy, un’immaginazione che sembra, a prima vista, un po’ febbricitante.
 
Questo racconto, anche se “racconto” è forse una descrizione troppo generosa, ha a che fare con un giovane del Tennessee, noto a noi solo come “il ragazzo”, che “non sa né leggere né scrivere e in lui cova già il gusto della violenza insensata”. All’età di 14 anni lascia la sua casa e si dirige verso ovest, uccidendo praticamente chiunque o qualsiasi cosa incontri. Nel corso dei suoi viaggi si imbarca in varie imprese, la maggior parte delle quali ha a che fare con l’uccisione di messicani e/o apache, a volte di entrambi. Tutto questo è descritto nei minimi dettagli. Alla fine il ragazzo si ritrova alle dipendenze di una coppia di gentiluomini particolarmente odiosi, John Glanton e il giudice Holden, che stanno raccogliendo gli scalpi degli Apache al servizio di un governatore messicano. Questo porta a molte altre uccisioni – splat! powee! oomph! yippee! – e a una certa dose di filosofare amatoriale da parte del giudice Holden, il quale, tra le altre cose, sostiene che l’unico uomo che sia vissuto veramente è “l’uomo che ha offerto se stesso intero al sangue della guerra, che è stato sul fondo della fossa e ha visto l’orrore a tutto tondo e ha imparato alla fine che e parla al suo cuore più profondo”.
 
Da questo romanzo disordinato non è chiaro se lo stesso Cormac McCarthy ci creda, ma il brio con cui ritrae la carneficina fa pensare di sì. Ciò che è ancora meno chiaro, tuttavia, è quale possa essere il senso di tutto questo. Se l’obiettivo di McCarthy è demitizzare il vecchio West, allora si può solo dire che ha portato il mito da un estremo all’altro. Ha anche scritto un romanzo in cui tutto sembra accadere, ma in realtà non accade nulla. Un gruppo di uomini cavalca per un po’, si accampa per un po’, filosofeggia per un po’, uccide per un po’. Si svolge tutto in una giornata di lavoro, ma è sicuramente una giornata lenta.

     
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