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il dibattito

Don Milani non può essere la bussola per orientarsi nella modernità

Franco Lo Piparo

La sinistra lasci perdere "Lettera a una professoressa" e la sua critica alla scuola che boccia e respinge. Il testo trasuda violenza gratuita e propone ricette pedagogiche semplicemente bizzarre

Giuliano Ferrara ha definito don Milani “profeta della decivilizzazione” (Foglio, 28 maggio). Definizione azzeccatissima che vale anche per l’altro profeta italiano della seconda metà del secolo scorso, Pier Paolo Pasolini. Una sinistra culturalmente confusa ha accomunato entrambi a Gramsci che non indossò mai i panni del profeta e che fu un estimatore della civiltà industriale e scientifica.

Approfittando della ricorrenza del centenario della nascita del priore di Barbiana (1923-1967) ho riletto, dopo 56 anni, la “Lettera a una professoressa”. Pubblicata nel 1967 divenne subito punto di riferimento della generazione decivilizzante del Sessantotto. Conviene a una sinistra non populista e non antisistema assumerla come bussola di orientamento nella modernità? L’obiettivo dichiarato della Lettera era la critica della scuola che bocciava e respingeva. Bocciava e respingeva soprattutto (esclusivamente? – non credo) la povera gente. “Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate” esordisce il ragazzo che dà voce alla protesta. Obiettivo nobile e sacrosanto. Sono le motivazioni teoriche e politiche a mettere su basi inconsistenti quella battaglia e a trasformarla in pretesto per politiche genericamente rivoluzionarie e antisistema che adesso tutti, consentendo o dissentendo, non esiteremmo a etichettare come populiste.

Faccio qui un piccolo florilegio di tali discutibilissime asserzioni antisistema. “Bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo”. Esiste un linguista, di sinistra o di destra non ha importanza, che se la senta di sottoscrivere questa affermazione? Un qualsiasi ministro della Pubblica istruzione del Pd come valuterebbe un docente che insegnasse la storia della lingua italiana con questo criterio metodologico?

E ancora. “Non sta bene far politica a scuola. Il padrone non vuole”. “La cultura v’è toccata farvela sui libri. E i libri sono scritti dalla parte padronale”. Chi se la sente di sostenere che Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Manzoni, eccetera, sono portavoce dei padroni? In un passaggio si raggiunge un massimo di violenza, incredibile in chi si richiama ai Vangeli, equiparando la povera professoressa a un nazista: “Avete un aspetto così rispettabile. Non avete nulla di criminale. Forse qualcosa di criminale nazista. Cittadino onestissimo e obbediente che registra le casse di sapone. Si farebbe scrupolo a sbagliare una cifra (quattro, quattro meno), ma non domanda se è sapone fatto con carne d’uomo”. Si propongono ricette pedagogiche che non so come qualificare: “E’ diseducativo dire a un altro: ‘Per questa materia sei tagliato’. Se ha passione per una materia bisogna proibirgli di studiarla (sic!). Dargli di limitato o squilibrato. C’è tanto tempo dopo per chiudersi nelle specializzazioni”. Ma non basta. Si mettono insieme “razzisti e finocchi”. Sì, proprio “razzisti e finocchi”. Guardate alla pagina 102 della prima edizione da cui traggo le citazioni. La domanda su cosa don Lorenzo avrebbe pensato della maternità surrogata, che sicuramente avrebbe preferito chiamarla utero in affitto, ha una risposta troppo scontata.

Procediamo. Sull’insegnamento della matematica, considerata “materia sbagliata”, le precrizioni pedagogiche sono semplicemente bizzarre: “Per insegnarla alle elementari basta sapere quella delle elementari. Chi ha fatto terza media ne ha tre anni di troppo. Nel programma delle magistrali si può dunque abolire”. Incredibile ma vero. Il testo trasuda violenza gratuita sicuramente non in linea con la filosofia non violenta esposta altrove: “Me all’estero a ammazzare contadini non mi ci porterete. (…) Perché dovrei ammazzarli? Mi è molto più straniera lei, purtroppo (sic!) mi hanno educato pacifista”. Purtroppo? 

E ancora: “Anche sugli uomini ne sapete meno di noi. L’ascensore è una macchina per ignorare i coinquilini. L’automobile per ignorare la gente che va in tram. Il telefono per non vedere in faccia e non entrare in casa”. Chissà cosa avrebbe detto degli smartphone che invece consentono di vedere in faccia la persona con cui si sta telefonando.

E per finire. “Qualcuno, chissà chi, v’ha scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così. I ragazzi arrivisti accettano l’imposizione, se la imparano a mente. Gli importa solo di passare e di rifare il gioco quando saranno professori”. Leggendo questa asserzione la mente va inevitabilmente a Gramsci, a quel Gramsci che faceva della correttezza grammaticale uno stile di vita tanto da correggere, credo esagerando, gli errori di grammatica nelle lettere che moglie e figli gli inviavano in carcere e in clinica dall’Unione sovietica. E non posso non ricordare che molti, nel passato lontano e recente, si sono autoproclamati gramsciani e sostenitori della “Lettera a una professoressa”. Gramsci e don Milani: due autori che più distanti non è possibile.

Presumo di conoscere l’obiezione a quanto ho finora scritto. Nella Lettera si trovano annotazioni come questa: “A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire o che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo”. Princìpi corretti e che è impossibile non sottoscrivere. Ma perché hanno bisogno di essere accompagnati da quelle altre annotazioni che ho citato?

Non sarebbe più opportuno e proficuo rileggere la “Lettera a una professoressa” come documento di un’epoca passata con le sue molte ombre e alcune, poche, indubitabili luci? Conviene alla sinistra assumere la Lettera come bussola con cui orientarsi nella complessità del mondo contemporaneo?
 

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