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(1931-2023)

Vita, miracoli e morte di Paolo Portoghesi, architetto che già da ragazzo sognava Borromini

Manuel Orazi

E' morto oggi a 91 anni. Dai primi studi sui maestri del barocco piemontese alla collaborazione con Vittorio Gigliotti, la sua è stata una carriera divisa in due fasi. Gli anni di "Controspazio", la direzione della Biennale di Venezia. E poi il ritiro nella campagna della Tuscia

Non si sa da dove cominciare per ricordare Paolo Portoghesi, nato nel 1931 in piazza dei Caprettari a Roma cioè vicino al capolavoro dell’architetto più amato, il Sant’Ivo alla Sapienza di Francesco Borromini. Raramente la geolocalizzazione di una nascita è stata più segnante per una biografia: già nei quadernini adolescenziali, Portoghesi progettava un libro sul maestro ticinese. La sua carriera è divisa in due fasi, due metà parimenti folgoranti. Dopo la laurea con Guglielmo De Angelis d’Ossat nel 1957, i primi studi di storia dell’architettura sono dedicati però ai maestri del barocco piemontese perché da lassù proviene la madre, dunque Guarino Guarini e Bernardo Vittone. Neanche trentenne riceve lettere entusiaste da Giulio Carlo Argan, Bruno Zevi e persino Rudolf Wittkower, tutti gli propongono di collaborare. Insieme con Zevi cura la grande mostra “Michelangiolo architetto”, quindi in solitaria i poderosi volumi su Borromini e Roma barocca per i quali realizza anche le fotografie arrampicandosi sui campanili e le cupole allora spesso fatiscenti. Pasolini li acquista entrambi e glielo fa sapere. Quando Azio Cascavilla realizza il film documentario “Utopia, utopia” nel 1969 con protagonista uno stralunato e giovane Renato Nicolini, Portoghesi compare come già un affermato e dandistico professore della Sapienza. Del resto a meno di quarant’anni ha già scritto migliaia di pagine, organizzato mostre e convegni, e ha già litigato con Zevi per via delle sue relazioni pericolose con la sua nemesi, Luigi Moretti di cui non condivideva le idee politiche, bensì il furor mathematicus borrominiano – la prima moglie, Anna Cuzzer, era peraltro una collaboratrice di Moretti nonché figlia della professoressa di matematica del liceo.

Si lega professionalmente all’ingegner Vittorio Gigliotti, insieme realizzano la palazzina Papanice che Ettore Scola usa per Dramma della gelosia (tutti i particolari in cornaca) per illustrare l’angoscia piccolo-borghese di una Monica Vitti mora sposata controvoglia a un macellaio. Il grande storico norvegese Christian Norberg-Schulz che negli anni 70 vive a Roma a Portoghesi e Gigliotti dedica più di una monografia, ampliandone l’eco internazionale all’insegna del genius loci. Direttore di “Controspazio”, l’organo non ufficiale della Tendenza, è anche preside di architettura al Politecnico di Milano tra il 1968 e il 1976. Charles Jencks, autore del seminale The Language of Postmodern Architecture (1977) invita l’architetto romano a Londra, fiorisce così un milieu globale antimoderno che porta alla prima Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia del 1980 quando Portoghesi fa aprire per la prima volta l’Arsenale riempiendolo di facciate in legno realizzate da maestranze di Cinecittà sotto il nome di Strada Novissima. L’anno prima aveva aiutato il suo coetaneo Aldo Rossi a realizzare il Teatro del Mondo galleggiante, insieme avevano inaugurato la stagione dell’architettura effimera. E’ un trionfo editoriale e professionale che lo porta a realizzare chiese e piazze. Nel 1982 dedica la sua seconda Biennale all’architettura islamica in parallelo ai lunghissimi lavori per la grande moschea romana che tutti criticano ideologicamente senza mai visitarla e che silenziosamente borrominizza. Il Psi cui era iscritto fin dal 1961 lo promuove alla presidenza della Biennale, favorendo fra l’altro le edizioni storiche di Rossi del 1985 e quella teatrale di Carmelo Bene del 1989, fino al fatale 1992. Secondo Manfredo Tafuri alla domanda su cosa fosse mai il postmoderno, Portoghesi rispose Bettino Craxi, per questo gli tolse il saluto e lo condannò violentemente nella Storia dell’architettura italiana pubblicata da Einaudi.

Nonostante il successo, la seconda parte della vita portoghesiana però si è svolta appartata in un piccolo paese della Tuscia, a Calcata, che ha contribuito a salvare e riqualificare, realizzando un giardino e una biblioteca, offrendo asilo ai suoi animali preferiti ovvero i pavoni e gli asini di bressoniana memoria. Qui ha ospitato Henry-Russell Hitchcock, Norberg-Schulz e altri grandi nomi insieme alla seconda moglie Giovanna Massobrio con cui nei primi anni 90 aveva aperto la Galleria Apollodoro e firmato insieme svariati libri. A Calcata Andrej Tarkovskij ha girato una scena di Nostalghia perché solo qui è avvertibile “la forte amicizia del tempo”, come ha scritto uno dei suoi tanti poeti amati, Libero De Libero in Valle etrusca. E’ morto oggi a 91 anni.

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