L'intervista

Andrea Loreni, un funambolo a Milano

Maurizio Baruffaldi

Per la seconda edizione di BAM Circus. Il Festival delle Meraviglie al Parco, dal 26 al 28 maggio, Andrea Loreni camminerà su un filo sospeso nel cielo tra il grattacielo fluorescente dell’UniCredit Tower e gli ultimi rami del Bosco verticale

Arrivo e lo vedo: il cavo è già lì, a 140 metri di altezza, una riga che unisce il grattacielo fluorescente dell’UniCredit Tower agli ultimi rami del Bosco verticale. Il cielo è libero, come si prevede per venerdì 26 maggio alle ore 20.00, quando nel sole basso dell’aperitivo meneghino Andrea Loreni ci camminerà dentro. Lo penso, mi emoziono, attraverso la geometria verde del parco BAM Biblioteca degli Alberi e vado a incontrarlo.

   

Tutto succede nel ‘BAM Circus. Il Festival delle Meraviglie al Parco’: questa la seconda edizione, dal 26 al 28 maggio. Quello che vedrete, vivrete, inseguirete col naso all’insù lo dovete alla Fondazione Riccardo Catella. E per fare un nome su tutti, a Francesca Colombo, Direttore Generale Culturale di BAM. Potete assaggiarne qui il robusto programma, dove si alternerà ogni forma di teatro a cielo aperto. Giusto un assaggio: la Yoann Bourgeois Art Company, con una performance dove l’equilibrio lo farà il pubblico, spostandosi su una piattaforma mobile; il teatro aereo del Gruppo Puja!, a 30 metri di altezza, ‘acrobattori’ tenuti da fili, come burattini volanti. Sul sito si possono anche sfogliare i petali del ‘Manifesto della meraviglia’: scansione armonica che ribalta quello aggressivo dei futuristi. E suggerisce molto più futuro.

   

Nel piccolo cortile della Fondazione mi viene incontro Andrea. Sospesi tra la testa calva e una barba lasciata libera di espandersi, due pupille azzurro cielo. Appunto. Gli dico subito, che dopo aver attraversato la città soffocata dai gas di scarico, vedere il suo cavo fa respirare.

 “Vedere strade che non ci sono.” Mi butta al volo lo slogan di una pubblicità progresso.

  

A inaugurare tre giorni di meraviglie varie non poteva che essere la traversata del cielo. Nell’immaginario bambino, primo miracolo nudo e possibile. Tu sei l'unico funambolo italiano a farlo.

“Sì, se lo faccio, lo faccio io”.

 

Se?

“Non è scontato”.

 

Giusto. Strappo una frase dal manifesto: ‘Come gli amanti, i poeti, i bambini e qualche volta i folli, per i quali nulla è mai ovvio, scontato, risaputo’. E qui ci tocca un po’ di filosofia. Hai studiato la teoretica.

“Quando hai quella cosa lì, che cerchi la verità, la filosofia è la prima cosa che ti viene. Approccio speculativo, concettuale, studio e teoria. Solo che non mi bastava. E sono andato in cerca di altro. Alla fine l’ho trovata sul cavo: una realtà fattuale, esistente, un momento che vivi completamente. Ok, non solo, il parto di mia moglie è stato molto più vero... Ma anche quando salgo sul cavo sono libero, appartengo a qualcosa di più grande. Nell’armonia del corpo. Quando il gesto diventa fluido”.

   

La disinvoltura, nel mio vocabolario occidentale, alla base di ogni attrazione. Conquista perché è dei liberi.

“Non basta. Non solo. Intendo il gesto ridotto all’essenziale: non c’è nulla di più e nulla di meno, di quello che è richiesto. Vedi uno che fa Tai Chi, vedi uno che arrampica, e sono gesti dove non c’è nulla di artefatto”. La fibra muscolare di Andrea Loreni certifica lo stesso: solo quello che serve.

 

E dopo la filosofia, la strada. E il suo teatro.

“Vidi a Milano, alla fiera degli Oh bej! Oh bej!, Rodrigo Morganti, che ho poi conosciuto, e mi ha conquistato il fatto che in tempi cortissimi si abbattevano le distanze sociali. Entri in contatto con il pubblico in una maniera molto schietta. Sei libero di dare quello che vuoi e il pubblico nel cappello dà quello che vuole, liberamente. Dinamiche diverse dal classico spettacolo”. Nulla è previsto e dovuto.

 

Siede con noi Valentina Ugo, responsabile comunicazione di BAM, e facciamo il punto di partenza, del Festival e della funambolica inaugurazione.

In sintesi. La Fondazione Catella lavora da sempre sulla riqualificazione ambientale; qui c’erano una volta le Varesine, l’enorme luna park felliniano che i più stagionati ricorderanno: il Festival delle meraviglie, fortemente voluto da Francesca Colombo, nasce dal coito ideale tra la grande aspirazione green e il DNA del luogo. La gravidanza è lunga mesi, tutta intorno alla sicurezza, contatti ripetuti con polizia, prefettura, condomini, e spiegazioni. Insomma, complicato, visto che la performance non ha precedenti. Poi arriva Andrea, presentato al team da Alessandro Serena, nipote di Moira Orfei e professore alla Statale con una cattedra sul circo, unica in Italia. Una raccomandazione da prendere sul serio.

 

“Ci siamo incontrati, e ho dato loro il mio libro e l’idea”.

I libri di Andrea sono due: ‘Zen e funambolismo’. E qui, i due soggetti flirtano facile. E il più recente: ‘Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento. Sette passi per attraversare la vita’.

Il vento. A me pare che sul cavo sia più un nemico.

“E sì, lascia stare. Ma se lo sfidi hai perso. La figura poetica è quella che ti trasporta".

  

Lo cavalchi, come un gabbiano.

“Se ce l’hai dietro… Poi ce l’hai di fianco e niente. Allora devi armonizzarti. Renderlo parte di quel momento, assecondarlo. Certo, se è troppo forte puoi anche dire no”.

 

Tu sei formatore e speaker per la gestione del disequilibrio e del cambiamento. Niente è in equilibrio, per natura. Tutto è in divenire. Siamo tutti funamboli, quindi.

“E io provo a mettere a disposizione la mia esperienza sul cavo”.

Parlami di questo cavo. Inteso come materia.

  

“Per questa attraversata specifica è in dyneema. Un super nyloon, un po’ più morbido rispetto all’acciaio. Fa più da tappeto. Venti millimetri di diametro. Solitamente uso delle scarpette, di cuoio, che mi son fatto fare apposta, simili a quelle per la danza, che quando sono in piano mi permettono di fare un po’ di scivolamento. Mi piace, mi aiuta. In questo caso ci sono però circa 30 metri di dislivello, e devo fare più grip, più presa, quindi sarò a piedi nudi”.

    

Ti aggrapperai ai due palazzi simbolo della nuova Milano.

“Si, lo so, alla fine c’è lo spritz, infatti.” Ridiamo. Ma so che sarò anche io lì, a succhiare il beverone orange. Fosse anche per esorcizzare l’inevitabile strizza indiretta. E in diretta”.

 

Che tipo di paura è la tua, lassù? Chiesto da uno che sente un po’ di vertigini già al decimo piano.

“Una paura che mi dice: se proprio devi farlo, alza il livello di presenza, di ricettività, di sensibilità. Un po’ come uno stato animale. Non lo so, non sono un cane, o un cervo che scappa, ma potrebbe essere una roba del genere. Amplificazione di tutte le potenzialità. E sensazioni. E presenza. Ci deve essere, la paura, proprio per questo”.

  

Come ti prepari?

“Molta meditazione. Postura. Il punto fondamentale è la respirazione: devi trovare quella calma, profonda, anche se hai paura. Non devi irrigidire".

  

Cosa guardi?

“Il cavo davanti soprattutto. Ma anche intorno. Può succedere anche giù. Ma ogni spostamento dello sguardo è distrazione”.

  

A cosa pensi?

“Non ascolto troppi pensieri. Vanno, passano, arrivano. Il cavo è un po’ uno specchio. Tu lo guardi là, adesso, fermo, incredibilmente fermo. Poi ci sali e si incazza. Perché gli stai portando della roba tua. In questo senso, è uno specchio. E vedi cosa c’è dentro, se hai voglia di guardare”.

 

Il tuo record.

“L’anno scorso a Frassinetto: 300 metri di altezza, 350 di distanza”.

  

Piedi nudi ok. Ma come ti vesti?

“Cerco di essere un po’ elegante. Un amico, anni fa, mi disse che per lui era come se mi sposassi, e si era vestito per l’occasione. Da quella volta, ogni volta, mi vesto per onorare il momento”.

  

Più butto gli occhi al cavo lassù, e più ho l’impressione di rubare tempo. Che le mie domande seminino analisi e pensieri che deve diradare. E allora termino con la domanda bambina: cosa lo meraviglia. Ma non valgono i figli e il sole che sorge. Ci pensa un po’.

“Quando il vento smette di soffiare e le foglie fanno silenzio. Se sei lì, in quel momento, è meraviglioso”.

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