Paola Del Din assieme a Sergio Mattarella (Ansa)

il personaggio

Chi è Paola Del Din, la “patriota” partigiana citata da Meloni per il 25 aprile

Francesco Bercic

Nata cent'anni fa a Pieve di Cadore, entra a far parte della Brigata Osoppo poco più che ventenne. La sua scelta di smarcarsi dall'etichetta di partigiana per abbracciare quella di patriota ha sollevato polemiche. La premier ha scelto la sua storia per commemorare la Liberazione

“Il suo coraggio le è valso una Medaglia d’oro al valore militare, che ancora oggi, quasi settant’anni dopo averla ricevuta, sfoggia sul petto con commuovente orgoglio”. Giorgia Meloni, nel suo primo 25 aprile alla guida del governo, ha scelto di raccontare la vita di Paola Del Din per commemorare la libertà dal fascismo, ponendola al centro della sua lunga lettera inviata al Corriere della Sera. Una “madre” del popolo, nelle parole della premier, di tutti coloro che antepongono l’amore per l’Italia alla “contrapposizione ideologica”. Dietro al ricordo personale evocato da Giorgia Meloni, c’è una donna in grado di abbandonare tutto e tutti e mettersi a disposizione della Resistenza. Una delle tante storie che oggi vengono riportate in luce, riavvolgendo il filo della memoria e recuperando così il senso di una celebrazione.

 

Se si prova ad attribuire un aggettivo a Paola Del Din, si cade presto in errore. Perché lei stessa – come anche Giorgia Meloni spiega nella sua lettera – ha sempre preferito a ogni posteriore definizione l’unico epiteto di “patriota”. “Noi ci siamo sempre definiti patrioti perché il partigiano, lo dice la parola stessa, lotta per una parte, mentre noi combattevamo per tutti gli italiani, compresi quelli della parte avversa, per far finire le sofferenze di ognuno”, ha spiegato la sua scelta. Nel suo caso, come in quello di molti altri protagonisti della lotta armata e non, più che le parole sono allora i fatti a parlare. Fatti che hanno portato una giovane ragazza veneta a diventare intermediaria della Gran Bretagna e a paracadutarsi sul Friuli assieme ad altri due agenti.

   

Paola Del Din nasce a Pieve di Cadore, nell’agosto di cent’anni fa. A dieci anni si trasferisce in Friuli, seguendo il padre divenuto maggiore dopo la Prima guerra mondiale. Con il fratello Renato, entra poco più che ventenne a far parte della Brigata Osoppo, una delle formazioni partigiane nate in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943. Sceglie come nome di battaglia “Renata”, in onore del fratello, e inizia la sua attività come informatrice.

 

Nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1944, il fratello Renato viene ucciso durante un’imboscata alla caserma fascista di Tolmezzo. La morte del fratello e l’inasprirsi della guerriglia precipitano gli eventi: “Renata” chiede maggiori responsabilità, “qualcosa di più, perché non sia morto invano”, come lei stessa ha raccontato in diverse occasioni. Così, mentre è ancora studentessa di Lettere, riceve l’incarico di trasportare a Firenze una serie di carte secretate, per conto dei servizi britannici: approfittando di mezzi tedeschi e sfruttando come meglio può ciò che le offre il cammino, consegna i documenti, “senza sapere cosa contenessero, come da norma di sicurezza”. La missione è completata.

 

Il destino le avrebbe offerto un ritorno ancora più imprevedibile. Esercitandosi a Brindisi come paracadutista, prepara l’operazione che la deve riportare in Friuli. Diversi tentativi vanno a vuoto. Finalmente, nell’aprile del ’45, con altri due agenti si lancia in volo su Lauzzana, in provincia di Udine. “Renata” si frattura le vertebre, ma ancora una volta il compito è portato a termine e lei viene riaccolta in casa. Dopo mesi di silenzio e assenza di notizie, la madre esclama: “Non sei una ragazza, sei un diavolo!”.

 

Un “diavolo” che non ha mai dimenticato la tenacia e la perseveranza dei suoi vent’anni, continuando a offrire la sua testimonianza ad allieve e allievi nelle scuole, e a chiunque capiti sulla sua irripetibile vicenda. Nella sua lunghissima vita non sono mancate neanche le polemiche: l’Anpi e Rifondazione comunista hanno contestato alcune sue dichiarazioni, nel merito dell’intricata operazione Gladio. Un racconto che oggi è riproposto in un libro da Alessandro Carlini, “Nome in codice: Renata” (Utet edizioni), presentato da poco a Udine alla presenza di Paola, in quella città che lei conosce come nessun altro.