Billy Crystal e Meg Ryan alla festa di Capodanno in “Harry ti presento Sally” di Rob Reiner, 1989 

Il Foglio del weekend 

Le cose che ho imparato nel 2022

Annalena Benini

Buoni propositi per l’anno nuovo e auguri ai ladri della stazione Termini: che troviate sempre tasche vuote. Contro classifica di quel che non è importante: addio senso di colpa, complotto e vendetta. Grazie, goccine 

Che cosa ho imparato nel 2022: che alla stazione Termini, trenta secondi dopo che ti hanno sfilato il telefono dalla tasca senza che tu ti sia accorto di avere una persona accanto, telefonare a te stesso urlando non è di nessuna utilità perché il telefono non soltanto è già spento, ma è già smontato, reimballato, rivenduto a pezzi oppure sta in vetrina in un negozio due strade più in là, e tu intanto hai perso il treno oltre ad avere perso tutto.

 

Anche mandare al tuo numero un messaggio Whatsapp con scritto: stronzi di merda, ho imparato che purtroppo non serve a niente, so che sembra incredibile ma è così ed è meglio saperlo subito. Nessuno riceverà gli insulti, nessuno si pentirà di averti rovinato la fine dell’anno, nessuno busserà alla porta con un mazzo di fiori, un biglietto di scuse e tutta la memoria del vecchio telefono infiocchettata e pronta all’uso. 

 

Nel 2022 ho imparato che le cose perse non si ritrovano se non quando non servono più a niente, quando non te ne importa più niente. Credo che riguardi anche le persone. Se ti rubano una persona dalla tasca o se la perdi per disattenzione, se ti cade dal cuore, poi quando la ritrovi è quasi sempre tutto cambiato ed è difficile superare le accuse reciproche: stavi lì sul cuore o in tasca, sei scivolata giù, ti sei fatta rubare, ora è tardi per rimettere insieme i pezzi e comunque è sicuro che te li sei già rivenduti a un altro, quindi addio e buon anno.

 

Nel caso specifico e non metaforico, però, il telefono era di mia figlia, anche la tasca del cappotto era la sua, e quella che telefonava urlando insulti alla voce Vodafone ero io, il treno partiva dopo cinque minuti e mia figlia ci è salita sopra per un soffio, correndo, inseguita da me che la imploravo di trovare il modo di comunicare lo stesso: avevo questo urgente bisogno di spiegarle per tutta la durata del suo viaggio che farsi rubare il telefono proprio in quel momento era un atto di ostilità nei miei confronti, una cosa sicuramente fatta apposta per ferirmi. Ma lei per sua fortuna non poteva in nessun modo comunicare con il mio senso di persecuzione, a meno che non fossi salita anch’io sul treno senza biglietto al solo scopo di torturarla, a meno che avesse rubato a sua volta un telefono da una tasca (inutilmente, perché non conosce il mio numero a memoria), e così ho passato le successive quattro ore a tirare le somme dell’anno che sta finendo, a immaginare rapimenti e a mandare messaggi Instagram, mail, Facebook, Twitter, Viber, Tiktok e Whatsapp a un numero disattivato e a una persona che non poteva né leggere né rispondere e che comunque non legge né risponde nemmeno in condizioni normali. 

 

So che è arrivata sana e salva a destinazione, ce l’ha fatta anche senza telefono, senza rubrica, senza mappe di Google e tutto questo ha del miracoloso: i miracoli mi insospettiscono. Poiché non la vedrò fino all’anno prossimo e non ho ancora sentito la sua voce, credo che comunque non sia davvero lei, ma che l’abbiano rapita e sostituita con una ragazza molto somigliante che parla la sua lingua. 

 

Ma nel 2022 ho capito che non serve a molto correre dietro ai treni in corsa per cambiare il destino, quindi accetterò di ritrovarmi in casa una sosia per gli anni a venire, sperando che sia gentile.

 

Nel 2022 ho cercato di imparare che non tutto quello che succede è costruito contro di me in base a una precisa strategia di accerchiamento e di sabotaggio, ma non credo di esserci ancora riuscita fino in fondo. Ho bisogno di altri anni e di altre prove dell’indifferenza del cosmo e dei ladri di Termini. Accetterò una volta per tutte che se esiste un mondo invisibile in cui tutte le forze della natura si concentrano per farmi i dispetti e gli sgambetti, questo mondo comunque non mi riguarda perché è di certo troppo lontano dal centro, mal collegato e senza minimarket aperti fino a tardi la notte, quindi non ci andrò mai. 

 

La domanda infatti è sempre: fino a che ora resta aperto? Se chiude presto, se non accetta carte di credito, se non consegna in ventiquattr’ore, non è il mio mondo e non ne voglio sapere niente, è troppo scomodo anche solo pensarci. E’ il posto del complotto e della paranoia, e ho appena sentito nell’ultimo film di Noah Baumbach, White noise, tratto dal romanzo di Don DeLillo, che “ci avviciniamo alla morte ogni volta che complottiamo”. Quindi alla larga, non è il caso di portarci sfortuna da soli. Ladri di Termini, borseggiatori abilissimi, non siete una creazione della mia immaginazione ma avete comunque rubato un telefono mezzo rotto, con la memoria piena e lo schermo scheggiato, solo con un’invidiabile e difficilmente recuperabile collezione di sticker. Buon anno anche a voi, vi auguro però di incontrare tasche più chiuse e borsette più vuote, come la mia che è piena soltanto di scontrini accartocciati e di guanti spaiati. 

 

Il 2022 è l’anno in cui è successo talmente tanto, in tutto il mondo, che l’idea del complotto è diventata ancora più ridicola, sciocca e misera rispetto all’immensità del tutto. Ci sentiamo tutti microscopici e anche fortunati mentre facciamo la spesa per la cena di Capodanno, mentre diciamo che però non cederemo a nessun gioco a squadre, eppure siamo scossi dai problemi con la forza degli uragani. 

 

Ieri sera ho cercato per due ore un mazzo di chiavi importanti dentro casa, ho maledetto Putin, il governo, ho urlato che non si può andare avanti così, ho immediatamente visualizzato l’irrimediabilità del disastro e ho detto a mio figlio che questo suo gesto irresponsabile, perdere le chiavi che ci sono state affidate da amici in viaggio, avrebbe distrutto tutta la nostra vita, e intanto aprivo e chiudevo armadi e cassetti inscenando uno tsunami. Lui continuava a ripetere che le chiavi dovevano essere in casa da qualche parte e che io stavo esagerando, io scuotevo la testa incredula, con la tensione verso la catastrofe e gli occhi roteanti. Le chiavi infatti erano in bagno, ben sistemate sotto il tappetino dei gatti, scivolate di tasca prima di una rarissima, sorprendente doccia. 

 

Il mondo non era finito, non avremmo dovuto chiamare nessun fabbro, distruggere nessuna porta, nessun meteorite sarebbe caduto su casa nostra, ma io avevo di nuovo perso la testa. Significa che è ora che quest’anno si levi di torno, significa che non c’è un minuto di più: confesso anche che sono salita su una scala per tirare giù una coperta dal ripiano più alto dell’armadio, ci sono salita con i tacchi alti e la coperta troppo pesante mi ha fatto perdere l’equilibrio, ma sono rimasta aggrappata alla scala, penzolante nel vuoto, solo strappandomi le calze e credo incrinandomi una costola. L’ho preso come un segno di esasperazione non soltanto mia nei confronti delle giornate corte, ma delle giornate corte nei miei confronti. Che infatti ora si stanno allungando. 

 

Confesso che mi sono messa sotto la lingua un numero imprecisato ed esagerato di gocce di olio di cannabis pensando che fosse un’altra cosa, un analgesico per la mia costola dolorante, e sono rimasta strafatta per circa dodici ore. Mi sentivo parlare e pensavo: ma chi è questa matta, che cosa sta dicendo? Mi sembrava di avere due teste e quattro braccia. Quindi per dodici ore ho quasi sempre taciuto e annuito con un sorrisetto sulla faccia che nei miei piani sofisticati doveva servire a nascondere alla mia famiglia, soprattutto ai minorenni, il fatto che io fossi completamente fuori di me. Non è stato spiacevole, in realtà, anche se in alcuni momenti ho pensato che stavo per morire d’infarto o guidare un aereo, ma quando finalmente sono tornata più o meno me stessa, il giorno dopo, mi sono sentita dire che ero stata incredibilmente gentile, simpatica e sorridente, si vedeva proprio che avevo compreso lo spirito del Natale, non potevo continuare ancora un po’ con quelle goccine? Duemilaventidue, se non ti sbrighi a finire io sarò costretta a trasferirmi ad Amsterdam.

 

Il duemilaventidue mi ha insegnato anche, come ogni anno, che non si può vivere senza gatti. Che il desiderio di un divano non sventrato o di una giacca non ricoperta di peli è ben poca cosa in confronto allo sguardo alto, dignitoso e morbido di qualunque gatto, anche il più miserabile randagio affamato che comunque non implora, non ricatta, ma aspetta. Quando ero strafatta, gli unici a non mettermi in imbarazzo sono stati i miei gatti. Quando penzolavo dalla scala, gli unici ad accorrere sono stati i gatti. Quando vado in bagno, conto fino a tre e sento un gatto che bussa alla porta con la zampa: non vuole entrare, ma solo assicurarsi che sia tutto ok, che io stia bene e che abbia ridimensionato il furto alla stazione Termini. La risposta è sì, e alla risposta aggiungo un po’ di croccantini.

 

Proprio in questo momento sto ricevendo, come una raffica di proiettili, mail di assistenza recupero password, perché l’impostora che si spaccia per mia figlia ha ricominciato a usare Amazon, Netflix, Mubi, vuole tornare nel mondo e ha bisogno dei miei codici: sta a me decidere se assecondarla o fare qualche ripicca a scopo educativo e quindi fingermi sorda, cieca, fuggita per sempre, non risponderle, così imparerà a stare più attenta, a dirmi: grazie, mamma, come farei senza di te che ti segni tutte le password.

 

Ma la ripicca non è un buon proposito per l’anno nuovo: la ripicca, vezzeggiativo di vendetta, è parente stretta del complotto, e non abbiamo appena deciso di gettare questa paccottiglia dalla finestra a Capodanno per allontanarci il più possibile dalla morte? Inserisco anche il senso di colpa tra le cose da buttare: se avete visto The Fabelmans, e comunque dovreste proprio vederlo, avrete sentito la meravigliosa madre di Sammy dirgli che il senso di colpa è un’emozione sprecata. Colpa, complotto e vendetta, addio.

 

Quindi, ricapitolando: fornisco tutti i codici necessari a una nuova vita con memoria azzerata e mi preparo a un 2023 pieno di consapevolezza, attenzione, gentilezza e considerazione delle cose davvero importanti, ringrazio i gatti dell’attenzione e della bellezza, getto via gli spilli d’acciaio con i quali avevo intenzione di difendermi dai cattivi di fine d’anno e accetto perfino di fare i giochi a squadre al cenone. Perché sono convinta che sia giusto dire sì al mondo e perché da qualche parte ho nascosto quelle goccine.  

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.