Matthias Heyde (via Unsplash) 

Benedetti errori scritti, pallino dei filologi ed energia per l'italiano

Rinaldo Censi

I testi vengono dettati, copiati, tramandati. Che siano manoscritti, stampe a caratteri mobili o in formato word, capita di imbattersi in alterazioni e lapsus. Grazie a queste sviste, gli studiosi hanno isolato certi aspetti della nostra lingua. “L’eccezione fa la regola” di Matteo Motolese in libreria

Nel secondo capitolo del suo ottimo L’eccezione fa la regola. Sette storie di errori che raccontano l’italiano, da poco in libreria per i tipi di Garzanti, Matteo Motolese ricorda un avvenimento fondativo, accadutogli mentre si accingeva a preparare la tesi di laurea. Recatosi all’Archivio di stato di Firenze si mette sulle tracce di testi che riguardino la peste nel Trecento, quella che fece da cornice al Decameron del Boccaccio. Si imbatte in una serie di testimonianze, lettere, ricordi di semplici cittadini. “Quell’esperienza – scrive – mi ha messo per la prima volta in contatto con qualcosa che non avevo mai visto direttamente. Una lingua strutturalmente instabile, fluida, molto diversa da quella che trovavo nelle edizioni moderne di testi antichi”. Un esempio. Si accorge che la parola “giugno” è scritta in diversi modi: “giunnio”, “giungnio”, “giugnio”. Una rivelazione. Le difformità grafiche causano ricadute anche sul suono. Lo stesso Boccaccio poi, ricorda Motolese, era aduso scrivere la lettera “c” in diversi modi, trasformandola a volte in “k”. Un’accurata consultazione del codice autografo del Decameron ce lo conferma. E, a pensarci bene, quei “kare” o “karissime” non ricordano la grafia di qualsiasi adolescente di oggi? 

  
Chiunque abbia una minima dimestichezza con filologia e storia della lingua sa di cosa parliamo. I testi vengono dettati, copiati, tramandati. Che siano manoscritti, stampe a caratteri mobili o in formato word, capita di imbattersi in errori di copiatura, alterazioni e lapsus. Il saggio di Motolese mostra come il rapporto con queste “deviazioni” sia stato per i linguisti produttivo. Un errore è una benedizione. Grazie a queste sviste, gli studiosi hanno isolato certi aspetti della nostra lingua: le sue mutazioni nei secoli, i conflitti tra scritto e orale, il modo in cui le parole sono state tramandate. Pensiamo ai manoscritti. Che fatica studiarli. Celano errori, alterazioni che vanno emendate. Grazie alle annotazioni poste sul margine, meglio se coeve, diventa possibile ricavare “informazioni utili per ricostruire la percezione della lingua che si aveva un tempo”. 

  
Un errore può anche suscitare ilarità. Qualcuno ricorderà la buffa sequenza de “La passione”, film di Carlo Mazzacurati. Paesino di provincia. Una compagnia teatrale, condotta dal vanitoso Abbruscati (uno splendido Corrado Guzzanti), è alle prese con la “Passione”. Al momento di distribuire il testo (il discorso di Gesù agli apostoli), la stampante fa le bizze. Gli scolari delle elementari vengono cooptati come amanuensi. La maestra detta. Loro scrivono su un foglio. Al momento delle prove il “divo” Guzzanti legge: “Pietro, in verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gatto canti…”. Risate. Guzzanti si schernisce. Sarebbe il gallo, lo incalzano. Si giustifica: “Qui è scritto gatto. Io sto al testo”. Immaginate il disordine e l’instabilità di manoscritti tramandati nei secoli. Il filologo vorrebbe correggere ogni guasto, qualsiasi alterazione fonetica. 

  
Il lettore non si spaventi. Non citeremo il metodo Lachmann. Eppure nei fragili codici tramandati le contaminazioni linguistiche brulicano ovunque. Questa confusione ci mostra una lingua in transito. Errori, incrostazioni regionaliste: fino ai primi del Cinquecento, lo ricorda Motolese, grammatica significa latino. Solo allora l’italiano comincia a darsi regole. I capitoli del libro? Trascrizioni poetiche imperfette ai tempi di Dante; una lettera di Manuzio in coda a un’edizione del Petrarca; la fluidità dei testi medievali in volgare sostituiti dalla durezza dei caratteri mobili; gli Accademici della Crusca e la composizione del Vocabolario; il cantiere di lavoro dei Promessi sposi; la purezza della lingua italiana negli anni del fascismo; l’ottusità del correttore Word. Gli errori sono sempre stati tra noi. Innovazioni che hanno segnato la nostra grammatica. Con la loro energia, ci confessano un segreto: la lingua italiana è sempre stata in movimento. Questo bel libro ne traccia una piccola storia. 

 

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