Foto di Daniel Da Zennaro, via Ansa 

1937-2022

Memmo Contestabile, un uomo-mondo che amava diminuire il mondo con goliardia

Giuliano Ferrari

Altissimo, grasso, bello e perennemente macchiato di sugo, mangione, ottantacinquenne, umorista assassino, connaisseur di ogni aspetto dell’esistenza, meridionale di Teano e milanese di Brera come pochi

Simpatia e intelligenza sono doti più diffuse di quanto si pensi, altrimenti vivremmo peggio di come viviamo, molto peggio. In Memmo Contestabile, avvocato, socialista, ateo e materialista, erudito, tombeur de femmes, padre di un Giordano Bruno, compagno di Francesca Benvenuti, altissimo, grasso, bello e perennemente macchiato di sugo, mangione, ottantacinquenne, umorista assassino, connaisseur di ogni aspetto dell’esistenza, meridionale di Teano e milanese di Brera come pochi, la concentrazione di queste virtù rasentava la follia. Per i suoi amici ascoltarlo è sempre stato un tormentoso piacere fatto di osservazioni fulminanti, pistolotti filosofici agitati come stracci vecchi e sfolgoranti bandiere, aneddoti sublimi, barzellette più che sboccate, sfottò universali e dettagliati su cose e persone, situazioni e tragedie, senza sostanziale distinzione.

 

Faceva bene il suo mestiere, e senza illusioni sapeva perdere con aplomb le cause perse, vincere con irrisione mescolata a garbo quando era umanamente possibile, aveva guadagnato tanto e speso generosamente, era militante senza paraocchi di un socialismo italiano e ambrosiano dimenticato, non sopportava l’accanimento giudiziario e il suo cinismo professionale prediligeva i colpevoli sugli innocenti, ma senza scambiare gli uni per gli altri; aveva una vecchia madre comunista, meravigliosa, coltissima, con la quale mangiava da Rigolo per assimilare disvelamenti, grecità, corpose minuzie filologiche nel campo della giudaica e della cultura medievale. Era un uomo-mondo, che amava diminuire il mondo, spurgarlo di ogni retorica nel segno della sua amata originaria goliardia, pesare i famosi valori per quello che effettivamente valgono; fu compagno socialista e liberale della generazione di Lino Jannuzzi, di Alfredo Biondi, suo ministro, lui sottosegretario di stato alla Giustizia, nel primo indimenticabile governo Berlusconi.

 

Come narratore e lontano comprimario conviviale, era sempre in mezzo agli scandali, da mani pulite alla contessina Ariosto, e ne emergeva sempre più simpatico, sempre più intelligente, sempre meno innocente della cosiddetta “gente perbene” che detestava perché la conosceva a menadito. Magistrati e avvocati compresi nella burla del disdoro, nella Milano che improvvisamente smise di bere per sfiaccolare sotto le finestre di Francesco Saverio Borrelli, nel fortino assediato del berlusconismo che aveva imbarcato la vecchia Repubblica in una formula nuova e mattoide che a lui alla fine piaceva parecchio, tre legislature da senatore. Nei giorni di fuoco, cacciato nel Senato adiacente, come diceva lui “a pedate, a calci in culo”, dalla folla tumultuosa e forcaiola di Piazza Navona, mentre il pool liquidava il decreto Biondi piagnucolando in tv perché senza le manette non poteva fare indagini, ogni tanto si stufava della caricatura della lotta, si metteva a sonnecchiare sui banchi e si risollevava d’un tratto gridando “Vergogna!”, sicuro di cogliere nel segno chiunque in quel momento parlasse.

 

La crudele dolcezza di una vecchiaia barcollante, elegante e ormai un poco muta, salvo ritorni improvvisi al divertimento d’antan, pochi passi con la canna al seguito e la sua donna di scorta amorosa e delicata, spiritosa anche lei e maliziosa, aveva coinciso con la vecchiaia malsana della politica dei partiti, con la devastante prevalenza del cretino collettivo e del luogo comune, cose per lui intollerabili. Così l’altra notte l’insuperabile Memmo, Contestabile della Staffa, barone spossessato del titolo, formidabile “meridio”, come diceva lui della sua razza che affettava di detestare, e meneghino del tipo stendhaliano, ha ceduto al suo cuore e se ne è andato via lasciandoci alle prese con il suo ricordo, hombre vertical ma disciplinato, italiano di Teano che sapeva anche dire “obbedisco!”, senza complessi, per amore di una vita spesa bene.

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