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il libro dello zar

Ragioni per leggere "Il mago del Cremlino", in corsa per il Goncourt

Gennaro Migliore

Attraverso la notturna descrizione di Vadim Baranov, lo sguardo di da Empoli illumina gli anfratti del potere assoluto del capo del Cremlino. Il libro è nella rosa dei quattro finalisti del più prestigioso premio letterario francese

"Il mago del Cremlino” è uno di quei libri che vanno letti e riletti alla luce dei casi di cronaca che si sono avvicendati in questi mesi sulle prime pagine dei giornali. E’ necessario farlo per fissare i punti cardinali che, altrimenti, scivolerebbero via sulla pietra indifferente e liscia della quotidianità.

Senza il romanzo di Giuliano da Empoli tutte le notizie che ci raccontano quanto sia permeabile anche un paese come l’Italia alla propaganda russa rimarrebbero meno ferme nel nostro immaginario, incapaci di saldarsi per fare un’analisi compiuta e organica, senza cadere nella trappola dell’ideologismo spicciolo. Attraverso la notturna descrizione di Vadim Baranov, lo sguardo di da Empoli, che è entrato nella rosa dei quattro finalisti al Prix Goncourt, il più prestigioso premio letterario francese, illumina gli anfratti del potere assoluto dello Zar moderno, quel Vladimir Putin che sta sconvolgendo le nostre vite. La sua parabola descrive la fragilità delle democrazie, in particolare quella innestata in vitro da gaglioffi al seguito di un patetico simulacro di rivoluzionario quale fu Eltsin. Dà conto di quella “nostalgia del padre”, come la chiama Massimo Recalcati mutuando il concetto freudiano in politica, alla base di ogni regime dispotico e autoritario. Putin viene inestito della responsabilità di guidare la Russia come la medicina che può curare una falsa democrazia, malata e devastata, ma che poi si trasforma nel veleno che uccide, anche letteralmente, la libertà in quel paese e che prova a destabilizzare il resto del mondo per conservare il proprio potere. Difficilmente si troverà un’analisi così precisa e spietata di un potere in piena manifestazione di sé.

Eppure, questo romanzo non ha solo la pregevole cifra della comprensione di quel dato potere. La ricostruzione delle dinamiche di potere è assolutamente universale, in special modo quando racconta della solitudine di chi, anche molto vicino e considerato per le sue opinioni, nulla può di fronte alla preponderanza dei cortigiani, di coloro i quali forniscono una confort zone al capo, fino a farlo precipitare nella cieca autoreferenzialità. Di chi si fida lo Zar? Solo del suo immenso cane. Immerso in questo perenne lockdown emotivo, lo Zar vede come unica via d’uscita quella di fare la guerra: ai suoi oppositori, a quelli che lo potrebbero diventare, ai nemici esterni, più o meno inventati. Il potere come malattia necessaria ma che può diventare letale, l’eco zarista e staliniano del “legibus solutus” come pratica permanente. Persino i soldi sono irrilevanti nella “fabbrica degli incubi”, poiché servono esclusivamente a confermare e consolidare quel potere assoluto. Un libro, quindi, che va letto o riletto ancora, per guardare il mondo ma anche per guardarci allo specchio.