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Il merito non è di destra né contro la sinistra: è "emancipazione collettiva"

Antonio Gurrado

"Riconoscere come ambienti familiari e sociali favorevoli moltiplichino le possibilità di successo non deve farci buttare il merito nell'immondizia", dice Corrado Del Bò, professore di Filosofia del diritto a Bergamo che ha tradotto “La tirannia del merito”, il saggio di Michael Sandel amato da Obama

Ma il merito è come la sovranità alimentare, la sicurezza o la natalità? Da quando è stato associato alla dicitura del ministero dell’Istruzione, è diventato un termine politicamente connotato, svelando secondo alcuni un segreto mal riposto: che il merito sia, di per sé, un valore di destra. “In realtà si basa su una definizione elementare estremamente neutra”, dice Corrado Del Bò, professore di Filosofia del diritto a Bergamo e coordinatore scientifico del Festival del Merito di Pavia. “Il merito si lega a qualche tipo di azione, indica che qualcosa dev’essere assegnato a qualcuno in ragione di quel che ha fatto. Ciò lo rende avulso da due fattori: il caso (il vincitore non merita il premio di una lotteria) e l’universalità. Se ad esempio la salute è riconosciuta come diritto di tutti, le cure vanno fornite indipendentemente dal fatto che il paziente se le sia meritate”.

A declinare il merito sotto forme che sono ritenute di destra è soprattutto la sinistra. “Secondo la visione di sinistra dell’idea di merito, esso si impone come criterio esclusivo, l’unico possibile per attribuire qualcosa a qualcuno; ma, paradossalmente, è una tesi che la destra cavalca fino a un certo punto. Piuttosto, la destra tende a dimenticarsi del vecchio tema di John Rawls, quello della lotteria naturale e sociale, sottovalutando che invece siamo in grado di fare qualcosa in base alle condizioni in cui ci troviamo, e che le condizioni familiari non dipendono da ciò che si è fatto, quindi sono estranee al merito”. Sotto questo punto di vista, il merito può diventare un valore di sinistra, la cui funzione è dare opportunità a chi, per storia familiare e sociale, ne ha meno.

La maniera più semplice di capire il funzionamento e i limiti del merito, secondo Del Bò, è l’esempio del concorso pubblico: tutti possono partecipare indipendentemente dal censo, non tutti possono partecipare in base a prerequisiti relativi alle loro azioni precedenti. Il concorso viene superato da chi lo merita, ma sono possibili errori di valutazione. E chi non lo supera non è necessariamente immeritevole. “Nelle cose umane c’è sempre un margine di approssimazione, e spesso i beni non sono disponibili in numero sufficiente per tutti quelli che li meriterebbero. Il fatto che i vincitori di un concorso siano tutti meritevoli non implica che siano tutti i meritevoli, e il fatto di averlo perso non è un giudizio negativo sulle persone: il merito si riferisce sempre a una specifica caratteristica”.

Ne “La tirannia del merito”, il saggio di Michael Sandel (molto amato da Obama) che Del Bò ha tradotto per Feltrinelli con Eleonora Marchiafava, buona parte dell’argomentazione verte su come ambienti familiari e sociali favorevoli moltiplichino le possibilità di successo, con l’effetto concreto che il merito blocchi l’ascensore sociale. “Riconoscerlo però non significa gettare il merito nell’immondizia, sarebbe miope quanto non ammetterlo. Piuttosto, è necessario rivedere i criteri del merito. Sandel insiste anche sul credenzialismo: la convinzione che i titoli rendano di per sé competenti le persone, a discapito di chi magari ha più competenze e meno pergamene”.

Va detto che il merito, riferito alla pubblica istruzione, campeggia nella parte di Costituzione dedicata ai rapporti etico-sociali: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. “L’articolo 34 va letto nel contesto della scuola degli anni ’40, quando era necessario specificare che compito delle istituzioni era far soccombere il censo di fronte alle capacità. E’ ormai assodato che la scuola pubblica non debba porre barriere censitarie; deve però tuttora impegnarsi a mettere a disposizione di tutti l’accesso ai migliori percorsi formativi, o anche solo a investire nel sostegno per i deboli. Più che di destra o di sinistra bisognerebbe parlare del merito in termini di emancipazione collettiva: l’obiettivo non è il singolo ma la crescita della società, grazie a interventi che favorendo il merito possano avere un impatto significativo sulla maggioranza delle persone”.

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