Stefano Calabrese 

FACCE DISPARI

Stefano Calabrese: “Le narrazioni magiche migliorano la vita”

Francesco Palmieri

Una notizia buona e forse anche cattiva: la vita è come ce la raccontiamo ma il romanzo non è inesorabile. Intervista all'autore bolognese e professore di Semiotica 

Una notizia buona e forse anche cattiva: la vita è come ce la raccontiamo ma il romanzo non è inesorabile. La trama cambia con la scelta delle relazioni, delle letture, di cose e luoghi visti, di ricordi recuperati. L’entusiasmo dell’ultimo Elémire Zolla per le “esperienze di mondi plurali” offerte dalla realtà virtuale presentiva l’eco futura di Giordano Bruno e la sbocciante narratologia dell’èra digitale. Stefano Calabrese, bolognese, ordinario di Semiotica del testo all’Università di Modena e di Reggio Emilia, è un prolifico autore che risulta ancora dispari per certo milieu intellettuale. Uomini del Novecento e post-illuministi non andrebbero a sentirlo al prossimo CartaCarbone Festival di Treviso, dove terrà il 14 ottobre un laboratorio di Mind reading.

 

Noi siamo le nostre storie?

Le neuroscienze individuano nell’ippocampo il grande archivio, la biblioteca di Alessandria del cervello dove è immagazzinato tutto ciò che viviamo in prima persona, che abbiamo letto, ascoltato, veduto. I contenuti di questo magazzino determinano la programmazione del nostro futuro.

 

Somiglia all’inconscio degli psicoanalisti.

La psicoanalisi, in particolare freudiana, è stata una grande e affascinante costruzione romanzesca.

 

Come gestire l’archivio della mente?

Con la consapevolezza che non esiste il libero arbitrio cui ci piace pensare. Le nostre storie sono condizionanti nel bene e nel male come i processi di alfabetizzazione. I bambini hanno maggiore fantasia perché hanno un archivio molto leggero, quindi viaggiano su più autostrade sinaptiche. Crescendo è necessario il confronto con elementi di destabilizzazione narrativa ed è necessaria l’immersione in storie e relazioni per mantenere la flessibilità dei nostri destini. È esemplare il caso degli anziani cui è mancata una intensa vita relazionale o culturale: viaggiano su una sola autostrada sinaptica, sono quei nonni che raccontano sempre le stesse storie e vedono tutto nero, un cervello senza narrazioni che indebolisce anche il corpo.

 

Una mercuriale o luciferina trama connette le storie?

In generale la riscoperta del pensiero magico, il Magical thinking cui ha dedicato studi Eugene Subbotsky, è fondamentale perché insegna a connettere con più elasticità e a scardinare la fissità causale. Come lo specchio di Harry Potter non produce solo la riflessione dell’immagine ma di quel che non c’è: la nostalgia di non avere conosciuto i genitori. Con un effetto contrario a quello della mera realtà fisica. Sono connessioni che servono a renderci più prensili dal punto di vista neurocognitivo. In breve, più intelligenti rispetto al meno fertile approccio determinista.

 

È il web un altro specchio di Potter?

Un topos sbagliato della contemporaneità è che il digitale stia inquinando i processi formativi. È chiaro che a un adolescente fa male passare troppe ore sullo smartphone, ma gli aspetti positivi sono preponderanti. La possibilità di assistere a uno spettacolo lontano, le connessioni dei saperi, il ritmo transnazionale e l’accessibilità delle conoscenze sono stati una rivoluzione che ha cambiato le modellizzazioni del cervello chiudendo come da calendario, nel ’99, un secolo non breve ma raggelante.

 

Raggelante?

Da fine Ottocento, l’Occidente aveva investito energie nel pensiero astratto, cominciando a cancellare le emozioni dai processi di formazione istituzionali, degradandole a elemento popolare e cercando di stabilizzare tutte le scienze. Il Novecento è stato un secolo terrificante se pensiamo che ci sono stati scrittori che hanno fatto dell’assenza di emozioni la cifra, quasi un brand aristocratico. Come Calvino. Chieda a chi ha letto a scuola ‘Il barone rampante’ quanto si è annoiato. Le neuroscienze invece vedono nelle emozioni il portale della realtà, nei meccanismi neurofisiologici gli interruttori per accedere ai ricordi, la madeleine proustiana.

 

Al posto di Calvino?

Leggere Pasolini.

 

La narrazione politica s’è aggiornata? Cosa pensa della scorsa campagna elettorale?

Enrico Letta dal punto di vista narratologico è premoderno, è ricorso a categorie manichee di ‘angeli e demoni’ che non esistono più. Il suo mondo narrativo personale qual era? Che ha insegnato a Parigi? Invece Giorgia Meloni aveva una storia: la genealogia del fascismo e il relativo distacco, una mamma che ha scritto più di cento romanzi rosa, l’abbandono paterno in tenera età. Si è raccontata al presente e in prima persona: ‘Io sono Giorgia’. Come i personaggi di ‘Hunger Games’. Il Pd sembrava la Scolastica medievale.

 

Come sta cambiando la narrativa?

Con il drastico spostamento della focalizzazione sul soggetto che racconta “in prima” mentre sperimenta, favorendo la perfusione tra testo e lettore. C’è una forte tendenza all’immersività, perciò le serie tv prevalgono sul cinema: lo spettatore non desidera la fine della storia, preferisce la serializzazione.

 

Cosa sono i ricordi?

Utensili neurocognitivi fondamentali per la progettazione del futuro, rettificati continuamente nel cervello da storie successive.

 

A cosa serve la Teoria della mente?

Il Mind Reading è la capacità di “leggere” gli altri dalle parole, dalle espressioni. Per migliorare questa comprensione abbiamo bisogno di dislocarci in ambienti reali o finzionali diversi. Se per una sera sono stato Amleto, quando incontrerò un Amleto capirò com’è fatto.