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Andando per chiese rupestri attorno a Monopoli, refrigerio sotterraneo per la pelle e lo spirito

Insegnanti e ingegneri diventano entusiasti guide turistiche. Dove si è consapevoli del proprio passato è più facile meritare l'avvenire

Enrico Veronese

Ma lascia stare, ma chi te lo fa fare. Mezzo Jutland scende alla stazione di Monopoli senza passare dal via, trolley in transumanza verso il porto antico, canicola allo zenit: la città bianca esplode di luce e spera nelle probabilità più che negli imprevisti. Anche la donzella pavonina, che solo due estati fa guizzava sgargiante a pelo d’onda, ha scelto lidi più freschi e ora manca allo snorkeling urbano. Per evadere nel tempo e nello spazio, all’infopoint nella sala dei Pescatori ogni giovedì attendono Cosimo Lamanna, insegnante di filosofia ed erudito di storie locali, anima del Centro Turistico Giovanile Egnatia, e Rocco Veronico, ingegnere civile prestato con entusiasmo alla promozione del territorio: sono le guide alla visita delle chiese rupestri medievali che costellano l’agro monopolitano. Dove i muri a secco scottano pure per le lucertole, e la terra rossa si sbriciola al solo contatto, vi radicano da secoli groppi di olivi ritorti, declinati per tropismo a seguire il sole. Il culto che da queste parti hanno per la materia prima consente di portare con sé al ritorno le cultivar ogliarola e coratina, assieme alla salsa di lampascioni e ai panzerotti con le brasciole saporite.

   

La prima stazione ipogea non è agevole: esterna ad un’apparente concessionaria, scendendo tra gli sterpi e le chiocciole fossili conficcate nel tufo, sta nascosto il santuario di Lama Marzone, segreto e sconosciuto agli stessi indigeni. Prende il nome dalla lama (il solco nel suolo dove convogliano le acque meteoriche) che lo accoglie: spoglio di affreschi ma consacrato, vi si riconoscono il sentiero esterno d’accesso, il naos ovvero la cella del simulacro e il bema, cioè il presbiterio riservato ai soli officianti dell’anno Mille. Quasi a Fasano, non lontano dagli scavi dell’Egnatia messapica, torreggia la masseria Lamalunga: un Southfork Ranch per matrimoni da favola, attestato dai documenti alla fine del Quattrocento, quando fu fortificato contro i turchi. Vista spagnolesca a perdita d’occhio sopra gli agrumeti e i fichi d’India, negli inferi il frantoio avito ospita un piccolo museo della civiltà contadina: niente qui si getta via. Virgilio e Cicerone periziano la maturità dei dolci fichi spontanei, verso la grotta finemente affrescata mille anni fa: un’emozione incredibile quando compaiono l’Annunciazione, San Nicola vescovo levantino, Sant’Antonio abate e i suoi animali, il cartiglio di Santo Stefano, le decorazioni a spirale simbolo d’infinito, Cristo Pantocratore e gli evangelisti, un diacono con il turibolo d’incenso. Cosimo affabula spiegando la deesis per attribuire la dedicazione del sito, al laico infonde spiritualità austera e silenziosa, chiedendosi chissà quale mano bizantina abbia steso tinte eterne che resistono all’umidità e alla manutenzione intermittente.

 

Poco distante, in contrada l’Assunta, il complesso dei Santi Andrea e Procopio: tra i più pregiati, è il frutto di una comunità rurale che ha vissuto negli anfratti fino al dopoguerra. L’iscrizione originaria, perfettamente conservatasi sopra l’ingresso, dice che ne fu artefice un certo Pietro, in un novembre imprecisato; e dentro pure Gregorius, sacerdote, incide la sua firma nella roccia tra San Vito adolescente e San Giorgio che doma il drago, le croci potenziate di chi stava per liberare la Terra Santa. Accanto, il desco dei braccianti e le vasche già d’olio lampante per l’illuminazione e il sapone, depositi di olive calate dall’alto e culle d’amaca sospesa.

  

Sbuca il mare del Capitolo all’orizzonte, magnetico padrone lungo la Traiana: è l’ora di tornare a perdersi nel contemporaneo. Tuttavia, nel centro del borgo antico anche la discesa del Soccorso -pure affrescata al livello dell’Adriatico- e la cripta di Santa Maria Amalfitana (da un naufragio di marinai campani nel 1059) con acquasantiera, fonte battesimale e tele votive rimandano all’esperienza appena vissuta. Due passi là fuori, l’emporio della Compagnia Portuale vende know-how e si fa brand: ennesima conferma che dove si è consapevoli del proprio passato è più facile meritare l’avvenire.

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