Immagine per gentile concessione di Luca Ravenna

Ma quale censura? "In Italia tutti dicono tutto, continuamente". Parola di Luca Ravenna

Manuel Peruzzo

Nella prima stagione di LOL, su Amazon, è stato il primo a ridere e quindi a dovere abbandonare il gioco. Quello che invece non lo fa proprio ridere sono gli scherzi delle Iene e i comici nei talk. "Credo nella bontà del mio pubblico, credo meno ai rosiconi"

“Questo è il primo spettacolo in cui quello che dico è più aderente a ciò che penso: più stai sul palco più dici cose che pensi e non solo cose che facciano ridere”, mi dice Luca Ravenna, comico, 35 anni, milanese naturalizzato romano. I comici devono temere proprio ciò che pensano. Ma Ravenna non rischia l’accusa di transfobia che è toccata al suo amato David Chappelle che “nell’ultimo spettacolo per 20 minuti dà contro alle persone trans e tu pensi solo: non me ne frega niente, fammi ridere!”; non rischia neppure il monologo punitivo in stile Hannah Gadsby perché gli piace ancora far battute sulle relazioni, sui complottisti, sulla madre risucchiata dai Novax su Telegram e che “non verrà a vedermi al Lirico perché non ha il Green Pass”; e per quanto ne sappiamo, Ravenna non si masturberà in un vaso di basilico come un altro suo mostro sacro, il grandissimo e disgraziato Louis C.K., del quale dice: “ha grossi problemi tecnici con le donne”. Forse persino più problemi con le piante.

 

Se siete stati attenti lo avete visto nella prima stagione di LOL, è stato il primo a uscire, colpa dei marshmallow che gli riempivano la bocca, anche se lui giura che non stava ridendo per davvero ma che era un sorriso da automatismo borghese, questione di pudore, e torna fuori la sua milanesità. Gli chiedo se è vero che Amazon gli ha dato 150 mila euro, cercando di soffocare la mia invidia. Mi dice “800 euro lordi e dei ticket restaurant. È stato molto bello e sono stato molto fortunato a partecipare alla prima edizione perché un botto di gente ha detto ‘ma chi è quello lì che non parla’ ed è venuta a cercarmi”. E lo ha trovato su internet, in podcast, nei teatri d’Italia dov’è in tour con il suo nuovo spettacolo "568".

 

  

Ravenna purtroppo è un bravo ragazzo. Gli chiedo di dirmi qualcosa per farsi cancellare così svoltiamo l’intervista e la facciamo diventare virale. “Non è il mio obiettivo perché mi piace troppo stare sul palco”. Hai preso una strada opposta a quella di Pio e Amedeo. “Nel senso che guadagno infinitamente meno di loro, sì”. Quali sono i limiti di ciò che si può dire oggi? “In Italia quasi nessuno, tutti dicono tutto continuamente. Però la sensibilità cambia sempre. Per evitare di cadere nel cliché puoi parlare del tuo rapporto con le cose e le persone”. Ti autolimiti mai? “È una sfida: cerco di costruire le battute in modo da farle arrivare a più persone. E che facciano ridere anziché incazzare”. C’è differenza tra scrivere sui social e salire su un palco? “La stessa che c’è tra cazzeggio e mestiere. Le due cose spesso vengono confuse e questo genera una gran rottura di palle”. Ma se nonostante le buone intenzioni una tua battuta venisse decontestualizzata? “Credo nella bontà del mio pubblico, credo meno ai rosiconi: con Masterchef siamo diventati tutti critici culinari e con i social sono tutti comici”.

 

Va bene, certo, ma adesso parlami male del tuo pubblico. “A Napoli ho fatto una battuta su Maradona e non ha funzionato, non era né scritta né eseguita bene. La colpa se le cose vanno male è tua, se vanno bene è sia tua che del pubblico”. Ok scrivo che i terroni non hanno senso dell’umorismo? (Luca Ravenna e i suoi avvocati si dissociano). “Il rischio è che più parli più incappi in una minchiata. Per quello sono felice di parlare sul palco perché per un’ora e un quarto sono tranquillo. Però mi è capitato che si offendessero. Parlavo della famiglia dei miei genitori, entrambi di origine ebraica, c’era un tipo che non ci credeva. Gli ho offerto di venire a vedere lo spettacolo intero” Glielo hai regalato perché era ebreo pure lui? (ride e questo basta per renderlo complice, scrinsciottate qui) “Gliel’ho regalato perché ci sono rimasto male”. Sei riuscito a persuaderlo? “Zero. Non è venuto”.

 

Allora gli chiedo se le donne fanno ridere, facciamo infuriare le influencer femministe, qualcosa da cerchiare in rosso in queste righe. “Sì. Emanuela Fanelli, Caterina Guzzanti, Francesca Esposito. Anche Michela Giraud è simpaticissima”. Così non vale però, sono sul punto di chiedergli di farmi un’imitazione della Rettore mentre quella dice negro e frocio. La polemica sull’accento romano? “È demenziale. Tutto il mondo è stato per settimane a guardare fino alle due di notte coreani che si sparano in testa, non vedo come possa essere un problema seguire uno spettacolo con accento romano da fuori Roma. A che serve una polemica così?”. Non saprei, ma sparare sui romani è sempre divertente.

 

A te cosa non fa ridere? “Gli scherzi delle Iene. Mi immedesimo nella vittima. Non ci sono regole cavalleresche. E poi tutto il lato cyberbullismo su Twitch, gente che fa le peggio stronzate per far divertire pochi. Invece mi fa molto ridere quando agli open mic senti i comici che sbagliano tutto: più è pesante l’errore più rido, li vedo soffrire e rido”, oh finalmente un po’ di sadismo. “Un’altra cosa che non mi piace sono i comici nei talk show, non ne capisco l’esigenza”, dici perché è pieno di politici molto più involontariamente comici? Ma se ti chiamassero a Di Martedì? “La domanda che farei è: il pubblico dov’è? Il monologo dritto in camera è atroce, devo sentirli ridere. Se non senti il pubblico è alienante. Probabilmente non funzionerei”. Sarebbe un disastro e farebbe molto ridere a un Luca Ravenna spettatore.