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Lettere rubate

Centodiciannove donne raccontano il loro privatissimo Novecento

Annalena Benini

Non avevo il coraggio di dire ai miei che li amavo, nessuno parlava mai di affetto o di amore, me ne sarei vergognata

Filippo Maria Battaglia, 
Nonostante tutte (Einaudi)


Si inaugura una nuova collana di libri Einaudi: si chiameranno Unici e di certo Nonostante tutte, il primo a uscire, è unico: mostra le donne del Novecento attraverso le loro parole, le loro voci private. Per farlo è stato necessario ed entusiasmante immergersi in un archivio, una miniera d’oro fatta di diari, lettere e memorie. L’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, in Toscana, ha dato una casa a novemila voci, scritture incerte o baldanzose lasciate in barattoli di conserva o in cassetti, o rilegate in diari che sono stati  raccolti e conservati. Filippo Maria Battaglia con pazienza e curiosità li ha letti, studiati, e ha scelto i suoi frammenti tra molte migliaia di voci, di nomi e di luoghi.

Così in questo libro leggiamo le vite e i ricordi di donne nate all’inizio del Novecento a Nuoro, Napoli, Milano, Palermo, Ferrara o in piccoli borghi dispersi. Le immaginiamo in cucina o in camera da letto o chissà dove, con la penna tra le mani. Sono documenti preziosi, scritti con la preziosa e segreta intenzione di lasciare una traccia del proprio passaggio. Di ricordare un’infanzia passata a giocare con bastoncini e rametti, o il giorno in cui il papà comprò la televisione, perché “non sapeva resistere alle novità tecniche”.

 

Queste donne, centodiciannove, hanno parlato di tutto, nelle ore solitarie della scrittura per se stesse: le prime mestruazioni, il primo amore, il desiderio, anche la paura, la depressione, la vecchiaia. Le cose che non hanno mai detto a nessuno, nemmeno a un marito, nemmeno a una madre. “Con la scusa vera di tornare in classe qualche pomeriggio ad aiutare la professoressa L., al ritorno in collegio deviavo per qualche metro e andavo a sbirciare nella bottega di un giovane barbiere che mi aveva notata nonostante i miei vestiti modesti fuori moda. Anche soltanto uno sguardo ammirato era importante per me, allora; significava che esistevo, che ero visibile”. “Volevo i pantaloni bianchi ‘alla Celentano’ cioè a zampa di elefante, mia mamma non li voleva fare, botte ancora, poi me li fece e tutti mi guardavano”. La definizione irresistibile di domenica: “Perché la domenica era proprio la vetrina della vita, in cui ognuno si metteva in mostra con le proprie particolarità”. L’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza di questa protagonista collettiva, che l’autore ha chiamato Nina, sono piene di speranza e quando sono filtrate dai ricordi sono certo il momento più felice di tutta l’esistenza. Il momento in cui Nina non ha ancora messo alla prova il destino e sta cercando il suo posto in un mondo di uomini

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