Verdi, antirazziste, woke. Le maschere dei Fratelli Musulmani
Un'inchiesta in cinque puntate del settimanale Le Point dimostra che una seconda generazione di attivisti islamici sa essere estremamente esperta nel discorso politico europeo e occidentale
“I Fratelli musulmani e i loro affiliati stanno usando i liberal in tutta Europa per promuovere la loro agenda”. Questo il messaggio uscito da un evento ospitato dal think tank degli Emirati Arabi Uniti Trends Research and Advisory. Lorenzo Vidino, direttore del programma sull'estremismo presso la George Washington University ed esperto di Fratelli musulmani, ha spiegato ai partecipanti che questi islamisti stanno usando il linguaggio “woke” per “mimetizzare la loro vera natura mentre prendono piede in Europa, dove una seconda generazione di attivisti dimostra di essere estremamente esperta nel discorso politico europeo e occidentale. In questo modo sono in grado di fare ciò a cui la prima generazione di pionieri aspirava ma non era stata capace di fare. Hanno adottato il linguaggio della teoria post-coloniale, una politica molto progressista. Si tratta di ‘islamismo woke’, usando i concetti di razzismo e mimetizzando la loro vera natura in un linguaggio che li rende molto più accettabili e appetibili per una struttura tradizionale”. Ad esempio, ha concluso Vidino, “vediamo questi attivisti lavorare a stretto contatto con le organizzazioni lgbtq e con movimenti molto progressisti con cui in realtà hanno ben poco in comune”. La loro capacità di penetrazione nelle istituzioni si è appena vista all’opera nella campagna del Consiglio d’Europa e finanziata da Bruxelles a favore del velo islamico.
A questa strategia dedica un’inchiesta in cinque puntate il settimanale Point. “Per chi ha una causa da difendere, Bruxelles è un Eldorado. Ci sono lobby mascherate da think tank, società di consulenza con titoli enigmatici e ong dai contorni vaghi. Non è troppo sorprendente che, in questa capitale, incontriamo i Fratelli musulmani”. “Attraverso una costellazione di strutture, che a volte sembrano provenire dalla società civile, la Fratellanza è regolarmente ricevuta dalle istituzioni europee, se non addirittura finanziata da queste”. I numeri sono sbalorditivi. “Un’immersione nell’austero sistema di trasparenza finanziaria della Commissione europea rivela che, tra il 2007 e il 2020, più di 52 milioni di euro di fondi pubblici sono stati destinati direttamente o indirettamente ad associazioni che sono della Fratellanza”. C’è una battaglia culturale che sembra sia stata vinta dai Fratelli musulmani ed “è quella che è consistita nell’imporre la questione dell’islamofobia al cuore delle istituzioni europee”, osserva Samir Amghar, sociologo specializzato nella Fratellanza. “Il problema non sono le somme concesse dall’Europa, perché non hanno bisogno di quei soldi; il problema nasce dall’implicito riconoscimento istituzionale che sta alla base di questi stanziamenti di fondi”, spiega Lorenzo Vidino.
La confraternita è ben consolidata in Belgio, dove i servizi segreti hanno individuato una quarantina di associazioni appartenenti a questo movimento. Una rete di strutture che opera in vari campi – sociali, educativi, religiosi, umanitari e civili. Ci sono dirigenti giovani, qualificati, multilingue. Omid Nouripour, il nuovo leader dei Verdi al governo in Germania, rispondendo a un politico di Afd che criticava la sharia ed elencava una serie di crimini e casi di antisemitismo dovuti all’aumento della popolazione musulmana nel paese, ha detto: “Ci sono molti tipi di sharia in arrivo. Il nostro compito è garantire che le parti compatibili con la Legge fondamentale possano essere applicate”. Il campo dove semina la Fratellanza è arato.
Intervista a Gabriele Lavia