La versione di Cesare. Chiacchierata con Cremonini alla Festa dell'Ottimismo 2021

Lucio Dalla e i Beatles, la pandemia e il valore "profetico" della musica, che è "molto meno 'liquida' di quanto si pensi: oggi è una cosa molto concreta". Il mercato del pop come una biglia preziosa e il modo nel quale nasce una canzone

"Credi che il linguaggio della musica possa travalicare il campo dell'arte e arrivare alla coscienza delle persone, promuovendo anche azioni forti, unendo i popoli, trasmettendo valori di pace, di dialogo e di fratellanza o è soltanto utopia?". La domanda è quella che il sindaco di Firenze ha fatto a Cesare Cremonini alla festa dell'Ottimismo 2021, l'evento organizzato dal Foglio proprio a Firenze, ospitato nel Salone dei Cinquecento a palazzo Vecchio. "La risposta non è scontata", dice il cantante. "Quando un compositore scrive una partitura di musica ha una grande occasione: quella di indicare una profezia. Quella cioè di indicare una sensibilità che è già nella società ma che le persone o non hanno ancora trovato le parole per esprimere. Oppure forse davvero non lo sanno ancora. Io credo enormemente nel valore profetico della musica. Questo meraviglioso salone è un esempio di arte che può rappacificare i popoli. Di fronte a questa bellezza si possono mettere da parte gli interessi di parte. La musica, in quanto arte, è un'arma di comunicazione di massa fra le più potenti che abbiamo. Gli artisti hanno una responsabilità. Una pandemia come questa mette a nudo un artista, mette a nudo 'le intenzioni' degli artisti. E secondo me anche una canzone pop - il campo in cui mi muovo io - ha una responsabilità".

  

"Mi trovavo in un momento di passaggio quando è iniziata la pandemia, ormai due anni fa. Volevo iniziare a ragionare sul mio futuro artistico, su quello che avrei voluto scrivere e comporre e pubblicare. E onestamente mi sono guardato allo specchio e ho capito che una una una situazione come quella che viviamo indicava la possibilità e la responsabilità di comporre e portare al pubblico una forma di canzone che avesse qualcosa dentro, che non fosse solamente una corsa al successo perpetuo come in fin dei conti gli ultimi anni di business musicale ci avevano anche un po' insegnato a fare. Perché dobbiamo ricordarci che adesso stiamo attraversando la più grande crisi del live della storia d'Italia ma venivamo da un picco di successo e di grandissimi numeri dei live, dal punto di vista numerico e di fatturato. Un'industria che era tra le prime in Europa nonostante una popolazione minore di altri grandi paesi europei. Ma questo aveva creato una corsa allo spettacolo, al fatturato, ai numeri. A ostentare i sold out. Quello che ho pensato è che sarebbe cretino oggi fare lo stesso. Semplicemente ho pensato al valore delle canzoni, ho pensato a quello che accadeva negli anni Settanta quando i cantautori erano realmente profetici.Pensiamo a una canzone come "Com'è profondo il mare" di Lucio Dalla che partiva con una frase importantissima: "Siamo noi siamo in tanti". Cioè usciva dal territorio individuale e andava a cercare una una una forma di ragionamento democratico verso il pubblico. E poi è diventata la forza di Lucio Dalla, l'uomo centrale della musica italiana dei decenni successivi perché aveva allungato una mano verso il pubblico. Ecco io penso che oggi la canzone popolare debba allungare una mano verso il pubblico. Non può essere autoriferita e non può essere solamente una corsa ai numeri".
  

C'è qualcosa che cambierà per sempre, dopo la pandemia, nel mondo della musica? "Credo di sì, è una lunga trasformazione cominciata qualche decennio fa ma in realtà la pandemia ha completato la trasformazione. Come in molti settori dell'industria italiana. Ci sono stati cambiamenti sociali, tecnologici, economici che non possiamo fermare. Ma non possiamo nemmeno essere completamente passivi: dobbiamo stare molto attenti a dove va il mercato. Il mercato, nella musica pop, è semplicemente una biglia molto preziosa che gira sopra un biliardo e bisogna stare attenti a chi la prende, perché c'è il pericolo di monopolio in questi momenti in cui lo streaming sta prendendo praticamente il 90 per cento del mercato".

La stagione degli algoritmi ha imposto anche nella nella tua opera, nella tua attività quotidiana, dei vincoli? "No, non dal punto di vista artistico perché ho la fortuna di avere una una libertà totale e questo sono i contratti che te la danno. E' importante secondo me capire un concetto che oggi sfugge alla comunicazione. Si dice che viviamo nel periodo della musica liquida. Non c'è mai stato niente di meno liquido di oggi nella musica. Oggi la fruibilità è inafferrabile, questo sì, il prodotto non è mai stato più concreto. Per quantità e qualità: i video, i contenuti speciali, i contenuti in esclusiva per Amazon, quelli per Spotify. E' tutto lavoro per professionisti e aziende. Il lato negativo? Che l'artista piccolo che non può permettersi di coprire quei costi rimane schiacciato in una sorta di serie B".