Lars Vilks, l'artista maledetto

Giulio Meotti

Morto con due poliziotti sotto scorta e censurato dai benpensanti anche ora che non c’è più. Cancellato per “offesa all’Islam” (e c'è chi vuole bruciarne le opere)

La morte di Lars Vilks è una grande tragedia personale, ma anche per la Svezia. Ha messo in luce la codardia e il tradimento degli intellettuali svedesi. Tutti quelli che parlavano in linea di principio del suo diritto, ecc., ma poi borbottavano del ‘livello del suo lavoro’. Era buona arte? Una domanda così incredibilmente stupida. Lars Vilks ha infilato il suo dito ossuto nelle parti molli degli intellettuali, non tutti, ma troppi”.

 
Si apre così, sulle colonne del quotidiano svedese Svenska Dagbladet, l’articolo del romanziere e commentatore Torbjörn Elensky. “Improvvisamente si sono resi conto di quanto fosse importante rispettare l’islam, cosa che non hanno mai detto sulla chiesa cattolica. Sottolineavano che professare l’islam era difficile, come se i principi sauditi fossero dei perdenti. La verità è che è la violenza di cui hanno paura. I loro discorsi di rispetto sono solo un velo sottile che stanno cercando di tirare sulla loro paura del terribile potenziale di violenza dei musulmani più estremisti. Quello che ha costretto Vilks a vivere con le guardie del corpo per quindici anni. E’ quella forza violenta, non il rispetto per l’islam e i musulmani, che ha fatto pensare ripetutamente a tante persone che Vilks doveva incolpare se stesso, che non volevano più pagare per la sua protezione e, naturalmente, affermare che la sua era cattiva arte. L’unica consolazione – consolazione per i cuori di cane – è che non solo non rispettano l’islam, ma hanno anche mostrato chi sono pisciando sulla libertà di parola, sulla libertà di coscienza, sulla libertà dell’arte e sul rispetto della dignità umana, poiché hanno dato priorità alla propria paura, anche se nobile da rispettare, di fronte alla solidarietà con Lars Vilks”, scrive Elensky. “Anch’io ho paura. Assolutamente. Ho paura di subire violenze e ho paura di questi intellettuali e persone nella vita culturale che silenziosamente disprezzano e ostracizzano coloro che non vanno al tappeto  per salvarsi la pelle”.

 
Lo sfogo incredibile di Elensky ha messo a nudo la coscienza di un paese che ritiene di aver eliminato qualsiasi conflitto sociale e culturale e che nello specchio della morte violenta del suo più famoso e maledetto dei vignettisti, Lars Vilks, ha preferito non guardare troppo.

 
Fino ai suoi sessant’anni, Lars Vilks ha vissuto nella semioscurità professionale, una condizione solo in parte alleviata da occasionali controversie legali e artistiche su due tentacolari strutture di legno, chiodi e roccia, che aveva costruito senza permesso in una riserva naturale svedese. E  con la sua vignetta, Vilks si rimette al di fuori del consenso artistico, anche da morto. “La vita artistica svedese prende immediatamente le distanze e lo esclude dalla vita artistica a cui apparteneva non solo come artista, ma anche come accademico con un dottorato in filosofia in teoria dell’arte e una cattedra alla Bergen Art Academy in Norvegia”, scrive questa settimana sull’Expressen. “Fino alla sua morte, Vilks è persona non grata nei circoli che con noncuranza vengono chiamati ‘intellettuali’”.

  
E anche da morto, Vilks continua a essere escluso, dopo che la curatrice Gitte Orskou ha fatto sapere che il suo famoso disegno di Maometto a forma di cane col turbante non è abbastanza di qualità per essere accolto al Museo di arte moderna. Come dire, “abbiamo imparato la lezione sulla libertà di espressione sull’islam”. Quando una galleria di Malmö nel 2013 ha annunciato di voler esporre Vilks, il sindaco socialdemocratico Ilmar Reepalu ha detto di sperare che nessun visitatore si sarebbe fatto vedere alla mostra. Uno di coloro che hanno espresso grande apprezzamento per Lars Vilks e la sua arte è stato Björn Wiman, capo della cultura del quotidiano di sinistra liberale, Dagens Nyheter. Un Björn Wiman notevolmente scosso è stato intervistato dal programma Nyhetsmorgon di TV4 il giorno dopo la morte violenta di Vilk. “E’ inconcepibile quello che è successo, e si può solo dire che l’élite culturale svedese gli ha voltato le spalle”, ha detto Björn Wiman a TV4, e ha poi scritto: “Vilks disturbava l’ordine di una società che vuole vivere in pace con i conflitti e le esigenze che la libertà di espressione porta con sé”.

 
Non solo. La costruzione in legno “Nimis” di Vilks è un “simbolo dell’islamofobia” e “dovrebbe essere bruciato”. Lo scrivono tre rappresentanti di Nyans, partito svedese che si rivolge  ai musulmani. “Per molti, inclusi i musulmani, è una miseria vedere ‘Nimis’ stare in piedi. E’ arrivato a simboleggiare la normalizzazione e l’accettazione dell’islamofobia e del razzismo nella società. Pertanto, Nimis dovrebbe essere immediatamente bruciata”.

  
Nella “hit list” dei terroristi islamici, accanto al nome di Stéphane Charbonnier, il direttore del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, c’era quello di Vilks. E c’era lui dentro al caffè Krudttonten di Copenaghen dove ci fu un assalto terroristico dell’Isis. Il commando quel giorno voleva uccidere il settantenne artista anarchico. Al suo posto assassinarono un regista finlandese, Finn Nørgaard. Lars Vilks viveva come un fantasma. E c’è da capire perché: arrivavano da tutto il mondo per fargli la pelle per aver disegnato Maometto sotto forma di cane.

  
Vilks era sempre seguito da cinque guardie del corpo munite di armi automatiche. Si muoveva in continuazione e spesso a grande velocità, fatale nell’incidente che gli è costato la vita con due poliziotti. Per proteggerlo, il governo svedese spendeva venti milioni di euro all’anno. Quando partecipò a un incontro all’Università di Karlstad, in Svezia, nella sua prima apparizione pubblica dopo l’attacco al caffè di Copenaghen, a sorvolare l’edificio dove parlava Vilks c’era un elicottero della polizia e fuori un cordone di cinquanta poliziotti armati fino ai denti. Al Qaeda aveva offerto una ricompensa di centomila dollari a chi lo avesse ucciso, compreso un macabro bonus se il disegnatore “sarà sgozzato come un agnello”.

  
May, la sua compagna, stava guardando un documentario in tv sui giovani svedesi reclutati dall’Isis per combattere in Siria quando hanno bussato alla porta del suo cottage. Fuori c’erano due poliziotti in abiti civili. “Ho capito subito che doveva trattarsi di Lars”, ha raccontato la donna al Times. “Lars è morto?”, ha chiesto May (nome di fantasia). “Vilks è stato ucciso in un incidente autostradale”, le hanno detto gli ufficiali.

  
Destino strano, morire in un incidente con gli agenti di polizia Andreas e David, che facevano parte del servizio di guardia dell’artista da diversi anni.

  
Le condizioni imposte alla coppia avevano reso impossibile la loro vita insieme dopo il 2018. “Spesso dovevamo incontrarci sulle panchine del parco per un picnic, era per loro comodità, perché non volevano proteggere entrambi”.

  
May ha confidato anche che poche settimane prima della morte di Vilks, uno “scrittore molto famoso” lo aveva chiamato e gli aveva detto: “Vorrei scrivere qualcosa sulla tua difficile situazione, ma ho paura per me e la mia famiglia”.

  
Henrik Ronnqvist gestiva una galleria a Malmo e ha pagato un prezzo a dir poco alto per aver esposto la vignetta di Vilks su Maometto. “Le mie finestre sono state rotte. Continuavo a ricevere telefonate con minacce di morte. Ho perso amici, artisti, visitatori della galleria, compratori d’arte. Erano spaventati”. La galleria ha chiuso. “Ero disposto a perdere tutto per esporre Lars. Ora l’ho perso”.

  
A Stoccolma, Elisabeth Ohlson, una celebre fotografa e artista, ha deciso di chiudere una mostra  dopo aver ricevuto minacce per aver postato su Facebook una foto di Vilks come un martire della libertà di parola. “Ho ricevuto centinaia di messaggi sgradevoli”.

 

Sull’Expressen, Ohlson solleva poi un paradosso non da poco: “La maggior parte delle persone pensa che noi in Svezia siamo coraggiosi e che qui possiamo mostrare l’arte che vogliamo. Questo non è vero. E’ più facile mettere in mostra ‘Ecce homo’, che mostra Gesù tra gli Lgbtqi… Ma quando ho fotografato tre musulmani su un tappeto da preghiera a Gerusalemme per una mostra sull’impatto delle religioni sulla vita delle persone Lgbtqi… ha scioccato così tanto che sono stata chiamata dalla polizia di Göteborg. L’immagine è stata classificata come una minaccia alla sicurezza nazionale e rimossa”. Questa codardia, conclude Ohlson, ha sopraffatto anche Vilks. “La paura ha avuto la meglio sull’arte e Lars Vilks è stato messo in quarantena per essere dimenticato e mai più preso sul serio. Alla fine, non solo ha ucciso Lars Vilks, ma è stato un  colpo mortale alla vita culturale”.

  
La verità, scrive il Times, è che Vilks non era solo un bersaglio della rabbia islamica. Anche l’establishment politico e culturale di sinistra si era rivoltato contro di lui. “Era come se avesse qualche malattia”, ha detto Erik van der Heek, scrittore e amico dell’artista. “Se lo toccavi, lo prendevi anche tu: diventavi una persona non grata o un paria”. Il consiglio in cui viveva Vilks voleva che l’artista si trasferisse. “Ogni volta che Lars veniva a una riunione, la gente lo vedeva come una minaccia alla sicurezza”. 

 
May dice che ora le aspetta un funerale sotto stretta sorveglianza. “Saluterò Lars per l’ultima volta”.

 
A ogni attacco o attentato pianificato, la retorica della solidarietà continuava, ma ogni volta il mondo di Vilks si restringeva un po’ di più. Se Vilks fosse stato minacciato per aver invocato l’ira di qualsiasi religione tranne l’islam, sarebbe stato ospite ai Golden Globes e gli sarebbe stato dato uno speciale su Netflix.

 
Lars Vilks era uno dei volti della “most wanted list” di al Qaida sul magazine Inspire. Titolo: “Yes we can. Un proiettile al giorno leva l’infedele di torno…”. Vivi o morti, con le foto dei ricercati dell’internazionale islamista. Carsten Juste, che da direttore del giornale danese Jyllands Posten pubblicò le vignette su Maometto, ha chiesto scusa e lasciato il giornalismo. Flemming Rose, il redattore del Jyllands che commissionò le caricature, ha visto i talebani offrire una taglia a chi lo ucciderà, ha rassegnato le dimissioni e pubblicato un libro dal titolo eloquente: “La tirannia del silenzio”. Kurt Westergaard, il vignettista della più famosa delle caricature, è morto lo scorso luglio nella sua casa-bunker dove hanno cercato di assassinarlo. Molly Norris, vignettista del Seattle Post, è diventata un “fantasma”. Ha cambiato nome, non si è fatta più vedere in giro. Geert Wilders è vivo soltanto grazie al fatto che è protetto da una unità militare dell’esercito olandese generalmente addetta a garantire la sicurezza di una ambasciata in Afghanistan. Stephane Charbonnier, direttore di Charlie Hebdo, è stato ucciso con otto colleghi e agenti di scorta. Ayaan Hirsi Ali, che con Theo Van Gogh (assassinato) realizzò il film “Submission”, ha lasciato l’Olanda e cercato riparo negli Stati Uniti, dove è sotto protezione. Ulf Johansson, il direttore del giornale Nerikes Allehanda che pubblicò le caricature di Vilks, si è visto mettere una taglia di 50 mila euro dai fondamentalisti islamici e si è dimesso.

  
Come dice giustamente Douglas Murray, Lars Vilks era in quella macchina solo a causa della miserabile codardia dei nostri cosiddetti artisti e giornalisti, una “comunità” che passa tutto l’anno a scambiarsi premi e pacche per il proprio “coraggio”. In attesa che i fondamentalisti islamici ne depennino un altro dalla loro lista di ombre che camminano e nessuno  disturbi più l’arte irriverente dei conformisti.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.