Osip Mandel’stam, in una foto segnaletica del 1938 (Wikipedia commons)

L'“orchestra chimica” della Commedia, nella lettura “ingenua” di Mandel'stam

Alfonso Berardinelli

“La conversazione su Dante” pubblicata per Adelphi potrebbe dare avvio a un nuovo modo di studiare il sommo poeta 

"La Conversazione su Dante”, che Osip Mandel’stam scrisse nel 1933, poco prima di essere internato in un lager staliniano dove sarebbe morto, è l’eccezionale contributo che Adelphi e la curatrice Serena Vitale offrono ai nostri lettori in questo anniversario dantesco. Grande intelligenza critica, oltre che uno dei maggiori poeti russi la cui vita fu devastata dalla rivoluzione del 1917, Mandel’stam si mise a studiare la lingua italiana leggendo Dante. Più che di un saggio o studio, si tratta in effetti di una fluviale, ispirata, appassionata conversazione, fatta di intuizioni, osservazioni e metafore visionarie provocate dalla lettura di un poema scritto a conclusione del Medioevo, in una lingua che Mandel’stam sta scoprendo per la prima volta e della quale non può che avere un’esperienza aurorale e inevitabilmente, in parte, immaginaria.

 

Ma la percettività linguistica di un poeta come lui è tale da portarlo a scoprire e ipotizzare nel poema dantesco una forma, un flusso, un istinto costruttivo che in secoli di commenti ha finito per restare in ombra, se non per essere occultato. Probabilmente quella di Mandel’stam è la più geniale delle letture “ingenue”, cioè di un non studioso, di un non erudito, da cui potrebbe prendere avvio, chissà, un nuovo modo di studiare Dante. Sorprendente, trascinante nonché, spesso, tanto suggestiva quanto sfuggente, è la stessa prosa che Mandel’stam è costretto a creare per esprimere la sua visione, tra chiaroveggente e allucinata, della Commedia dantesca. Per prima cosa, ci dice, bisogna capire l’instabilità, l’incertezza dinamica del personaggio Dante nel corso del racconto: “Fino a oggi la fama di Dante è stata il massimo ostacolo alla sua conoscenza, a uno studio approfondito della sua opera. La sua pretesa lapidarietà è soltanto l’effetto di un immenso squilibrio interiore che trova sfogo in onirici supplizi e incontri immaginari, in raffinate risposte piene di fiele, meditate e covate a lungo, che dovevano assicurargli l’annientamento dell’avversario, il trionfo finale”. Senza la guida correttiva e protettiva di Virgilio, il viaggiatore Dante sarebbe sempre vittima della propria “vergogna” e del proprio “imbarazzo”, poiché “tanto penava per trovare il proprio posto nella gerarchia sociale”.

 

L’autore del più grande poema di un’Europa alle soglie della sua storia moderna, è infatti un uomo in esilio, un condannato a morte in contumacia, escluso per sempre dalla sua Firenze. La sua gigantesca potenza creativa nasce dall’umiliazione e dal non sapere cosa essere, come e dove essere. Mobilità, pluralità di situazioni, personaggi e incontri generano di continuo mutamento e metamorfosi. Tutto il poema è prodotto da “un’incessante tensione generatrice di forme”. Le sue similitudini naturalistiche (ornitologiche, atmosferiche, eccetera) sono non meno precise che veloci. Il sapere di Dante è più empirico e sperimentale che teologico; la struttura del suo universo è un continuum in evoluzione più che un ordine statico. E così Mandel’stam azzarda: “Affrontare Dante solo dal punto di vista storico è riduttivo almeno quanto le interpretazioni in chiave politica o teologica. Il futuro dell’esegesi dantesca sta nelle scienze naturali, quando avranno raggiunto la necessaria raffinatezza e sviluppato la capacità di pensare per immagini”. Generosa premonizione che vuole sottrarre Dante al passato in cui lo imprigioniamo.

 

Per Mandel’stam, il massimo poeta medioevale governa la materia poetica con una perizia e un istinto che si lasciano indietro “di molte lunghezze tutti i procedimenti associativi della poesia europea moderna”. Per dire questo Mandel’stam usa similitudini contraddittorie: da un lato vede il poema come un’immensa formazione geologica, dall’altro come un’orchestra guidata dalla bacchetta di un direttore. La sua teologia è certo l’ossequio a una autorità che dà pace e fiducia, ma è soprattutto “una riserva di energia dinamica”. La sua intelligenza può quindi essere sia geologica sia sinfonica: “I canti danteschi sono partiture di una singolare orchestra chimica”. Dante non inventa, è come se scrivesse sotto dettatura. Ha nostalgia di Firenze e nostalgia del paradiso. Il suo tempo storico è vissuto come simultaneità e la sua “incandescente cinetica” si avvicina alla teoria ondulatoria del suono e della luce…

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