il foglio del weekend

I martiri di Parigi

Giulio Meotti

Altro che prima democrazia diretta, la Comune del 1871 fu un grande massacro di cristiani. "I preti sono buoni solo per essere bruciati"

"Celebriamo i valori che sono stati abbracciati nel 1871 e che valgono anche oggi”, ha annunciato Laurence Patrice, vicesindaco comunista di Parigi, che con Anne Hidalgo, primo cittadino della capitale francese, ha organizzato cinquanta eventi, tra cui tributi agli “eroi Communard”, teatri all’aperto e ridenominazione temporanea delle strade, per salutare l’uguaglianza delle donne e i diritti agli stranieri, il congelamento degli affitti, il welfare e la “promozione dei valori laici” per cui è ammirata la Comune. 

 
Sabato, boulevard du Ménilmontant, Parigi, trecento fedeli cattolici riuniti per onorare la memoria dei cattolici uccisi durante quei giorni del 1871. Il raduno di cinque parrocchie dell’est della capitale francese e diverse associazioni diocesane doveva arrivare a Notre-Dame des Otages, il luogo dove 150 anni fa dieci religiosi furono fucilati. “L’obiettivo era puramente religioso, non c’era nessun intento politico”, spiega al Figaro Denis Jachiet, vescovo ausiliare di Parigi. Famiglie, anziani, giovani scout e chierichetti, bambini, erano partiti da Place de la Roquette, luogo dell’esecuzione di Georges Darboy, arcivescovo di Parigi. La tensione sale quando il corteo incontra i “communard” e gli “antifa” armati di bandiere rosse, che cercano di coprire il canto dei fedeli con slogan come “morte ai fascisti!”. “Ci hanno strappato dalle mani gli striscioni, hanno abbattuto la bandiera della Memoria, hanno preso a pugni i parrocchiani”, riferisce l’organizzatore. “Ci hanno lanciato bidoni della spazzatura, bottiglie, pezzi di filo metallico”. Un fedele è stato gravemente ferito alla testa ed è stato ricoverato. Mettono così fine alla processione e si rifugiano nella chiesa più vicina, Notre-Dame de la Croix. “Abbiamo aspettato finché la polizia non ci ha esfiltrato”, dice l’organizzatore, che cita bambini e madri “sotto shock”. 

 
Victor Hugo rifletté che, in meno di un secolo, i francesi avevano sperimentato tutte le forme di governo: una breve Repubblica, culminata nel terrore di Robespierre, era stata sostituita nel 1795 da una sorta di repubblica costituzionale sotto un Direttorio fino alla nomina di Napoleone a primo console (1799); poi l’impero di Bonaparte, la restaurazione borbonica con Luigi XVIII e Carlo X, i “cento giorni” di Napoleone, la “monarchia borghese” orleanista di Luigi Filippo, la seconda Repubblica, fra il 1848 e il 1852 e infine, il Secondo Impero sotto Luigi Napoleone che si era sfasciato a Sedan. Fu proprio in quei giorni di settembre 1870, quando l’esercito francese venne annientato dal tallone prussiano di Bismarck, che il popolo di Parigi insorse, costituì la Guardia nazionale e chiese una nuova repubblica di “sovranità popolare”. L’ebbe, ma ben presto essa si rivelò un tradimento: il governo, infatti, trattò segretamente la pace con Bismarck, non distribuì i viveri ed elesse a  presidente il monarchico Thiers che, all’improvviso, scagliò le proprie truppe contro la Guardia nazionale. Il popolo si armò e lottò fin quando l’esercito di Thiers fu costretto a ritirarsi a Versailles. A sera, sugli edifici del Consiglio e del ministero della Guerra, sventolavano già le bandiere rosse: era nata la Comune, il primo governo proletario della storia, il “vero rappresentante — scrisse Marx — di tutti gli elementi sani della società francese” (vi aderirono Monet, Verlaine,  il celebre geografo Reclus vi combatté da semplice gendarme). La stagione della Comune, però, fu breve, dal 12 marzo al 22 maggio 1871. E fu uno dei più grandi massacri di cristiani della storia. “Del passato facciamo tabula rasa”, scriveva Eugène Pottier proprio nel 1871 nel testo dell’Internazionale.

 
Parigi celebra in queste settimane la rivoluzione che annuncia il futuro che sarà disilluso nel secolo successivo. La brevità dell’episodio lo sedimentò con il mito. Gli odi anticlericali provocarono arresti e assassinii di ostaggi, distruzione di statue ed edifici simbolici tra cui le Tuileries, la colonna Vendôme, l’Hôtel-de-Ville o anche la casa di Thiers, l’esecuzione di “ladri” e “cattivi” cittadini. La Comune esaltò il puritanesimo instaurando un clima moralizzante con l’attribuzione di certificati di rispettabilità e lanciando una guerra ai cattolici.

 
Molte chiese furono inizialmente occupate, come Notre-Dame de la Croix a Ménilmontant nel XX arrondissement. Vi si tenevano riunioni pubbliche per eleggere i capi della Guardia Nazionale. In rue Lévis, a Batignolles-Monceaux, in occasione della sepoltura di un generale, nel mezzo dell’occupazione prussiana, la gente gridava: “Il vero progresso umano esisterà quando in Francia non ci sarà più un sacerdote né una chiesa”.

 
A Saint-Pierre de Montmartre nel 18esimo arrondissement, un testo fu affisso sulla porta della chiesa: “I preti sono banditi e le chiese sono luoghi di ritrovo dove hanno assassinato moralmente le masse”. Pochi giorni dopo, la  navata fu trasformata in laboratorio per la confezione di abiti militari. I Comundardi volevano “annientare il monoteismo”. Un quartiere cadde sotto il controllo di Serizier, membro fondatore dell’Internazionale, anticlericale. Voleva la pelle dei domenicani di Arcueil, ripetendo “tutti questi preti sono buoni solo per essere bruciati!”.

 
Le deliranti accuse della stampa communard sui presunti “crimini” del clero consentironono perquisizioni nei santuari e nei presbiteri di tutta Parigi. Si diceva che sotto le chiese vi fossero passaggi segreti che permettevano  di uscire e comunicare con Versailles. Delirio puro, ma c’è chi ci credeva. “Morte ai calotins!”, gridavano.

 
La vita quotidiana delle chiese sotto la Comune era scandita da scene di saccheggi, dissacrazioni ed episodi carnevaleschi volti a irridere i sacerdoti. La chiesa di Saint-Leu subì  devastazioni: strappati gli abiti sacerdotali, distrutte le vetrate, l’altare maggiore e gli oggetti preziosi inviati alla Zecca. A Saint-Jacques du Haut-Pas, nel quinto arrondissement, un comunardo vestito da prete prese a dire messa. Il municipio dell’undicesimo arrondissement espose all’ingresso della chiesa il seguente decreto: “Il Circolo Ambroise non vuole continuare la pratica dei costumi raccomandati dai ciarlatani in tonaca che la giustizia del popolo ha appena cacciato…”. Furono galvanizzati dall’ateismo militante di una delle loro figure di spicco, il socialista rivoluzionario Auguste Blanqui.

 
Secondo lo storico Yves Chiron, durante la Comune, due terzi delle chiese di Parigi furono chiuse, saccheggiate, vandalizzate o trasformate in prigioni, laboratori o sale riunioni per circoli politici. In virtù di un decreto del 5 aprile 1871, che prevedeva che “tutte le persone accusate di complicità con il governo di Versailles sarebbero state ostaggi del popolo parigino”, fu immediatamente arrestato l’arcivescovo di Parigi Georges Darboy (il suo corpo sarà gettato in una fossa comune). Molti altri sacerdoti e monaci - trecento in totale - lo avrebbero seguito. Questo provvedimento, che scandalizzò anche tra le file dei Comunardi, sarebbe stato chiamato “razzia della tonaca” da uno dei primi storici della Comune, Prosper-Olivier Lissagaray. Dopo che il governo di Versailles si rifiutò di liberare il rivoluzionario Blanqui in cambio dell’arcivescovo, i comunardi giustiziarono sommariamente il prelato nelle prigioni di La Roquette, il 24 maggio, insieme ad altri quattro sacerdoti. Il giorno dopo, mentre le truppe di Versailles riconquistavano Parigi, fu la volta di cinque domenicani del Collegio di Arcueil, che furono fucilati sull’Avenue d’Italie.

 
La furia omicida dei rivoluzionari giunse al culmine con il cosiddetto “episodio della Villa des Otages” in rue Haxo (Ventesimo arrondissement) avvenuto il 26 maggio, durante il quale cinquanta cattolici – di cui dieci sacerdoti, tra cui il popolare padre vincenziano Henri Planchat, quattro sacerdoti della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, Padri Picpus, tre gesuiti, il vicario di Notre-Dame-de-Lorette e un seminarista – furono fucilati e massacrati dalla folla. Il padre vincenziano Planchat fu ucciso il 26 maggio. Un memoriale ai martiri del massacro di Rue Haxo commemora coloro che persero la vita durante la “Settimana di sangue.” Il giorno dopo furono giustiziati altri tre sacerdoti, tra cui monsignor Auguste-Alexis Surat, arcidiacono di Notre-Dame. Un totale di 23 ecclesiastici furono massacrati. All’indomani della Comune, i martiri cattolici divennero oggetto di devozione popolare tra i fedeli. Negli anni successivi all’insurrezione furono aperte quattro cause di beatificazione: una per l’arcivescovo Darboy e i suoi quattro compagni, una per i cinque domenicani, una per i Gesuiti e una per Padre Planchat e Padri Picpus Ladislas Radigue, Polycarpe Tuffier, Marcellin Rouchouze e Frézal Tardieu. Il loro martirio potrebbe essere riconosciuto da Papa Francesco entro la fine di quest’anno.

 
Nel 2017, il corpo di  Planchat è stato riesumato dalla chiesa di Notre-Dame de la Salette. Era ancora crivellato di proiettili. Planchat fin dalla sua ordinazione nel 1850 si era dedicato alla ricristianizzazione della classe operaia dopo i moti giacobini, prima nei sobborghi, poi in mezzo agli immigrati italiani. Si è perso il conto delle conversioni che ha ottenuto, delle coppie illegittime che ha sposato, dei bambini e degli adulti che ha battezzato. Un apostolato che sconvolse il clero diocesano, in uno spirito simile alle opere salesiane di Giovanni Bosco a Torino. Planchat fu una contraddizione vivente per i comunisti, poiché incarnava l’impegno concreto della chiesa cattolica al servizio dei più svantaggiati. Un servo dei poveri ucciso dai paladini dei poveri.

 
All’inizio di aprile 1871, il suo nome era in cima alla lista dei “nemici del popolo”, ma non furono trovati volontari che si assumessero il compito. Disperata, la Comune offrì cinque franchi a un disoccupato se avesse arrestato il curato. Indignato, l’operaio rispose: “Cinque franchi per arrestare l’uomo che ieri, quando non mi conosceva, è venuto a darmene venti per pagarmi l’affitto?”. Padre Olivaint si era dedicato alla conversione del “capitano Pigère”, una ragazza travestita da uomo che nutriva un odio particolare per il cattolicesimo e si vantava di aver “abbattuto l’arcivescovo.”

 
Prima di perdere conoscenza, un seminarista geme: “Oh miei cari genitori…” Poi, un ultimo sussulto: “Perdono i miei aguzzini! Non voglio che gli venga fatto del male!”. Saranno le sue ultime parole. Verrà ucciso con una pallottola al cuore. Padre Olivaint dirà: “Voglio morire per la mia religione ma voglio che sia con dignità”. Padre Cotrault, sorpreso, esclama, alzando le braccia al cielo: “E’ possibile?”. Padre  Captier è colpito a una gamba mentre attraversa il viale in direzione della cappella Bréa. Un uomo gli porta un bicchiere d’acqua. Un comunardo gli grida di andarsene, altrimenti andrà incontro alla stessa sorte. E’ finito a colpi di baionetta alla schiena. Padre Thomas Bourard lo sentono dire: “Mio Dio, perdonali”. I laici sono scherniti, addobbati con cappelli o scapolari per farne dei domenicani anche nell’aspetto. “I preti sono la causa di tutte le nostre disgrazie; abbrutiscono il popolo e lo piegano sotto il giogo dei tiranni. Ma il giorno della giustizia è arrivato”.

 
“Cittadino, ha mai incontrato per le strade di Parigi un pretino con un cappello malandato, una tonaca di stoffa pesante, grandi scarpe di cuoio, che si occupa soltanto degli operai e degli sventurati? Ebbene? E’ mio figlio! L’avete arrestato”. Così disse la madre di Planchat al prefetto della Comune. Il massacro dura mezz’ora. E per essere sicuri di aver portato a termine il compito, i cadaveri dei sacerdoti vengono mitragliati e colpiti con le baionette. Il giorno dopo verranno gettati in un pozzo nero.

 
Altro che “democrazia diretta”. La Comune fu l’inizio di una scristianizzazione rossa che, dalla Spagna  dei miliziani antifranchisti che  fucilarono oltre a tanti sacerdoti e suore la statua di Cristo al Cerro de los Ángeles alla Cecoslovacchia, dove l’arcivescovo di Praga Josef Beran fu rinchiuso in un gulag, fino ovviamente all’Unione Sovietica, avrebbe visto i tanti “paradisi comunisti” costruirsi sugli ossari dei “monoteisti”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.