Elogio di una divisa
I militari e le emergenze. Le mimetiche spiegate a Murgia dall’ex coordinatore del Cts
Al direttore - Sono un estimatore di Michela Murgia, mi è sempre piaciuto il suo stile, la sua capacità dialettica accompagnata da una cultura decisamente importante. Purtuttavia mi trovo in totale disaccordo con i suoi giudizi sul Generale Figliuolo, sul pericolo di veder circolare delle divise militari nel nostro paese che le evocano immagini di dittatori. Ho poi visto che sulle parole di Michela Murgia è nato un dibattito che rischia di assumere toni decisamente ed inutilmente negativi. Vorrei pertanto contribuire alla discussione sull’opportunità delle divise mimetiche in situazioni di emergenza.
Ho abbastanza anni per ricordare il profilo dei vari Pinochet, dei Videla o dei generali dell’Uruguay o del Paraguay che per troppo tempo hanno dominato in modo violento e criminale quelle sfortunate realtà. Ho speso anni della mia vita professionale gestendo emergenze e operando nei sistemi di protezione civile in tutto il mondo, dove disastri di vario genere interessavano grandi aree del territorio e colpivano spesso numeri impressionanti di popolazione. Ho sempre lavorato in quelle situazioni fianco a fianco con uomini (prevalentemente uomini) vestiti con la stessa divisa del Generale Figliuolo. Quella presenza in genere mi dava sollievo, mi rassicurava nei momenti di difficoltà estrema perché sapevo di poter contare su dei compagni di viaggio attendibili, organizzati e preparati per fare esattamente quello che era necessario fare nella situazione in cui mi trovavo.
Così li ricordo all’Aquila, piuttosto che ad Haiti, in Sri Lanka, in Algeria piuttosto che proprio in Cile all’indomani di un devastante terremoto che colpì un’estesa area del paese seicento chilometri a sud di Santiago. Tutti noi li ricordiamo ad Amatrice o in Emilia o all’opera per soccorrere le popolazioni nel corso delle grandi alluvioni del passato lontano come a Firenze nel 66 accanto agli “angeli del fango” o anche nel passato recente. Disastri che periodicamente hanno interessato il nostro fragile territorio. Divise mimetiche accanto alle divise dei Vigili del Fuoco, dei carabinieri, dei poliziotti o dei volontari delle centinaia di organizzazioni di protezione civile del territorio.
Non mi è mai capitato di sentire ansia o preoccupazione nelle persone che erano assistite da uomini in divisa militare; mai mi è successo di sentirmi chiedere se c’era stato un colpo di stato visto che circolavano così tanti soldati sui loro mezzi color verde piuttosto che i funzionari dell’assessorato alle opere pubbliche. In quelle occasioni i militari sono percepiti in genere come un supporto essenziale del sistema nazionale di protezione civile, elementi che danno la certezza della capacità organizzativa e logistica considerando inoltre che, proprio perché militari, non sono condizionati dalle usuali regole dei civili limitanti il loro coinvolgimento. In Italia il sistema nazionale di protezione civile prevede per legge la presenza del sistema militare a supporto della gestione di grandi emergenze, qualora venga dichiarato lo stato di emergenza nazionale e venga convocato il “Comitato Operativo” presso la sede del Dipartimento della Protezione Civile.
Quelle divise sono la norma, e mai a nessuno di noi è passato per la mente di evocare immagini inquietanti di divise militari con possibili evoluzioni politiche del sistema di governo del paese. Per nostra fortuna siamo, nel bene o nel male, una solida democrazia che sa utilizzare le sue risorse umane nel modo migliore. Nei lunghi mesi in cui ho avuto l’onore di coordinare il Cts mi sono sempre battuto per richiedere un coinvolgimento forte di due strutture dell’apparato statale: la Protezione civile nazionale ed i militari. Questa richiesta è stata particolarmente sentita verso la fine dello scorso anno quando si iniziavano a intravedere gli arrivi dei vaccini e si doveva immaginare la gigantesca campagna vaccinale su tutto il territorio.
La fragilità del sistema sanitario e le eccessive differenze regionali nel governo della sanità pubblica mi faceva immaginare che sarebbe stato necessario un salto di qualità nell’operazione centralizzando il governo dell’operazione. Così è avvenuto e ora vediamo un sistema paese che nel complesso sta rispondendo bene, compatibilmente con le disponibilità vaccinali che il sistema europeo ci sta garantendo e vediamo quelle mimetiche presenti sul territorio soprattutto laddove il territorio stenta a trovare l’organizzazione necessaria a far procedere regolarmente le attività.
Chiuderei da anziano “protettore civile” quale sono stato nella mia vita, rassicurando Michela Murgia suggerendole, con simpatia ed affetto, di rivedere le immagini di repertorio dove, a seguito delle innumerevoli catastrofi che hanno interessato il nostro paese, quelle stesse divise che oggi la inquietano erano a supporto e soccorso delle popolazioni civili. Una volta risolta la crisi quelle divise rientravano negli spazi loro dedicati, all’interno delle loro caserme. Pinochet, Videla, Menghistu o Saddam Hussein per fortuna non appartengono all’Italia di oggi.
Antifascismo per definizione