Foto Ansa, via Netflix

The Crown e il morbo della creatività

Giovanni Battistuzzi

"L’onnipresenza della creatività ha inquinato pure la letteratura che ora viene tutta interpretata come fiction. Non è così". Alfonso Berardinelli ci dice perché "non tutto può essere di più di quello che è o è stato. È un modo per drogare la realtà"

Può una serie tv avere il “dovere morale” di avvisare i telespettatori che è solo finzione e non trasposizione fedele della realtà? A quanto pare sì, o almeno così è per ministro della cultura britannico Oliver Dowden che ha chiesto a Netflix di apporre in sovraimpressione alle puntate di The Crown un avviso agli utenti per avvisare che non tutto quello che vedono è successo realmente, che qualche cosa sono frutto della fantasia degli autori e qualche cos’altro non è andato proprio così.

 

Il successo nel Regno Unito di The Crown si può percepire anche da questo intervento. O da quelli precedenti di studiosi di storia britannica che si lamentavano di grossolane imprecisioni storiche nelle puntate della serie.

   

Gli autori si sono giustificati che loro non hanno fatto un documentario, bensì una fiction, che hanno messo la creatività al servizio della storia.

 

Insomma, hanno aggiunto sentimento, pathos, azione. Nella ciotola della farina dei fatti hanno aggiunto lievito, per rendere più soffice e più imponente il tutto. “Si sente la necessità di aggiungere lievito a tutto, di far crescere ogni cosa, gonfiandola. Come se tutto deve essere di più di quello che è. È un modo per drogare la realtà. Basta vedere le pubblicità. Si sente che una birra è più di una birra, che una spiaggia è più di una spiaggia. Ma perché? Uno non può più volere una birra e una spiaggia e basta?”, dice il professor Alfonso Berardinelli. “Ora il mito della creatività, della creatività come prima virtù umana ha finito per entrare nel cervello di tutti. Ha imposto un dicktat: se non si è creativi non si può fare niente”.

   

Gonfiare, riscrivere, creare, sembra l’unico modo per esprimersi, per affacciarci al mondo. “Ma non è mica un problema solo del cinema o delle serie tv. Pure nel giornalismo questa tendenza ormai è inarrestabile. Ci sono molti intervistatori che non si accontentano di dire con precisione ciò che l’intervistato ha detto, perché per loro non è abbastanza. Se anche un’intervista deve diventare creativa dice molto della società nella quale stiamo vivendo”.

  

Per Alfonso Berardinelli “la creatività è diventata un morbo. E dal momento che tutto deve essere narrato, che non si fa altro che parlare di narrare, è tutto diventato un questo ‘ci racconta’, quest’altro ‘ci narra’, come se il verbo ‘dire’ fosse bandito. Tutto è racconto, tutto è storia. L’onnipresenza della creatività ha inquinato pure la teoria della letteratura che ora viene tutta interpretata come fiction. Non è così. Non dev’esse così. Non tutta la letteratura è fiction. L’infinito di Giacomo Leopardi, che è una poesia straordinaria, per certi versi, nel suo genere, una delle migliori della poesia italiana, non è affatto fiction: è la precisa rappresentazione di uno stato mentale. Pensare che tutta la letteratura sia fiction è un errore madornale. Solo la narrativa lo è, e nemmeno tutta. La narrativa storica ad esempio. È narrativa, ma non è romanzo. Può essere romanzata, ma non è fiction. La confusione dei generi è sempre maggiore, ma è una confusione dovuta a ignoranza e stupidità”.

   

Una tendenza recente, ma non così recente. “Nulla di nuovo”, sottolinea. “Tutto ciò ha precedenti nobili. Prendiamo il caso di Giorgio Manganelli, scrittore rispettabilissimo, molto originale, che aveva la mania dello stile, pubblicò decenni fa un libro di critica d’avanguardia, intitolato La letteratura come menzogna. Peccato che sia una balla madornale: è una cosa scic dire che la realtà è piatta e banale. Soprattutto è un fraintendimento, un confondere l’invenzione artistica con la bugia. Perfino un uomo intelligente e colto come lui, o come Nabokov che disse che il romanzo è una favola, caddero in un errore così banale. Perché il romanzo non è una favola, finge la realtà”, conclude Berardinelli.

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