Un estratto

Convivere con la depressione (e la politica)

Alastair Campbell

L'ex spin doctor di Tony Blair, Alastair Campbell, ha pubblicato un memoir-manuale sui suoi esaurimenti e su come combatterli. Un capitolo è dedicato alla vita a Downing Street e alla necessità di sentirsi rilevanti

Pubblichiamo un estratto dell'ultimo libro di Alastair Campbell, “Living Better. How I Learned to Survive Depression” (Hachette), uscito in questi giorni nel Regno Unito.

Campbell è stato lo spin doctor dell'ex premier britannico Tony Blair, l'architetto della comunicazione del New Labour. Si dimise 17 anni fa, nell'agosto del 2003.


 

Nei miei esaurimenti c'è sempre stata molta politica. Credo sia inevitabile, visto che c'è sempre stata molta politica nella mia vita, e nella mia testa. All'università, le mie idee erano certamente anti establishment, e molto ostili nei confronti della natura classista della società britannica, ma si erano formate in modo vago ed è stato soltanto quando sono diventato giornalista che ho realizzato che molte delle mie convinzioni mi posizionavano in modo deciso dalla parte del Labour. È qui, nel Labour, che sono da allora, anche quando sono stato espulso dal partito per aver votato tatticamente i Liberal-democratici alle elezioni europee del 2019 in protesta con la posizione del Labour sulla Brexit.

Il mio senso di appartenenza al Labour si rafforzò molto durante la mia convivenza temporanea con i genitori superlaburisti di Fiona (moglie di Campbell, ndr) quando andammo a vivere a Londra, e in seguito grazie alla mia amicizia con Neil Kinnock (ex leader laburista, ndr) prima che io diventassi un reporter politico. Forse ha un senso il fatto che lui fosse lì il giorno che sono crollato.

Quando ero nel mezzo della mia paranoia indotta dalle psicosi, non riuscivo a sentire le parole “sinistra” e “destra” senza avvertire un'immensa ansia riguardo al loro contesto politico, vero o immaginario che fosse. I cartelli stradali che dicevano di “mantenere la sinistra” o “svolta concessa solo a destra” bastavano a procurarmi attacchi di panico cui non potevo che dare seguito. Il giorno del mio crollo ho guidato in circolo per decine di volte fino a che non mi sono reso conto di non essere in uno stato mentale giusto per guidare, e sono saltato fuori dall'auto lasciandola nel Rosyth Naval Dockyard. Mi chiedo se non mi misi a girare su me stesso perché così non dovevo scegliere se andare a destra o a sinistra.

Dopo il mio arresto, alla stazione di polizia di Hamilton, un poliziotto gentile mi chiese se fossi “all right” (right in inglese vuol dire sia bene, giusto, corretto sia destra, ndr), se andava tutto bene, e io mi immaginai che mi avesse chiesto se ero diventato uno di destra, e risposi che non c'era niente al mondo che mi avrebbe mai portato dalla parte di Margaret Thatcher. Ovviamente, lui rimase interdetto dalla mia risposta e uscì a controllare che il medico fosse arrivato.

In realtà il poliziotto doveva aver già stabilito che io non fossi uno dalla mente brillante. Quando ero arrivato, mi aveva chiesto se volessi qualcosa da bere e io pensando non di essere in una stazione di polizia ma in un bar avevo risposto: “Vorrei il migliore dei vostri champagne, signore”. “Credo che Irn-Bru (bevanda gasata analcolica scozzese, ndr) è la bevanda più frizzante a disposizione”, aveva detto lui bonario.

Una volta che il medico arrivò, fui portato in un'altra stanza per la visita: mi chiese se potevo dargli il braccio sinistro per provarmi la pressione. La mia testa cominciò ad andare velocissima, e crebbe il sospetto che quella richiesta facesse parte del complotto contro di me per farmi diventare un Tory.

“Perché il sinistro?”

“Scusi?”

“Perché il mio braccio sinistro?”

“Perché è più vicino a me rispetto al destro”

“Quindi sinistra va bene?”

“Che cosa intende?”

“Lei sa benissimo cosa intendo”

“Ok. Le dispiace se le prendo la pressione? Quale braccio preferisce?”

“Il sinistro”. Pausa. “Era questa la risposta right?”

“Scusi?”

Right, corretto. Se right è corretto, sinistro è sbagliato?”

Dopo la visita e un consulto con i poliziotti, il medico disse che mi lasciava andare, ma soltanto a patto che fossi andato in ospedale.

 

(…) Quando Tony divenne leader del Labour in seguito alla morte di John Smith nel 1994, il mio crollo era dietro le spalle da quasi da dieci anni. Non avevo più toccato un goccio d'alcol da allora e anche se la depressione andava e veniva stavo abbastanza bene. Fiona e io eravamo riusciti a rimanere insieme nonostante le mie provocazioni, avevamo due figli e una piccola, bella bambina appena nata. Avevo rimesso in piedi la mia carriera, prima come reporter al Sunday Mirror e poi come capo del politico, e infine ero tornato a capo della politica del Mirror. (…)

Quando Tony mi chiese per la prima volta di lavorare con lui, il crollo ritornò al centro dei miei pensieri. Dissi no molte volte prima di dire sì. Ero crollato sotto pressione prima di allora, e pure se avevo fatto dei cambiamenti enormi nel mio stile di vita, sapevo che la pressione che avrei provato in quel ruolo politico sarebbe stata molto più grande rispetto a tutto quello che avevo visto e sperimentato nei giornali.

Inevitabilmente una parte di me continuava a chiedere: “Come faccio se crollo di nuovo? E quanto danno posso fare se mi succede?”. La mia famiglia era contraria e anche molti amici erano giustamente preoccupati del fatto che quell'offerta avrebbe creato una caos nella mia personalità ossessiva mettendo a rischio tutto quello che ero riuscito a costruire – salute, benessere, famiglia. Per questo le pressioni per rifiutare quel lavoro erano considerevoli. Avevo detto a Tony “ci penso” ed ero partito per la Provenza in vacanza con la famiglia e i Kinnock.

Ma come molte persone che arrivano ai vertici, Tony era determinato ad ottenere quello che voleva e aveva l'istinto di sapere come fare per ottenerlo. Quell'istinto gli suggerì di cambiare i suoi piani di vacanza. Era a poche ore da dove eravamo noi e qualche giorno dopo chiamò per dirmi che ci avrebbe raggiunto con piacere. Così arrivò, con sua moglie Cherie, la suocera Gary e i figli, Euan, Nicky e Kathryn.

Ora di allora, pensavo che avrei rimpianto per tutta la vita di aver rifiutato quell'opportunità e mi sarei flagellato fino alla morte se il Labour avesse perso le elezioni successive. Sono ateo, ma ho un senso di colpa cattolico di primo livello.

 

Conoscevo Tony da quando era diventato parlamentare, quindi lui sapeva già che avevo avuto degli esaurimenti, sapeva anche della mia dipendenza dall'alcol e che avevo un umore volatile. Ma pensavo che dovesse capire bene quanto erano stati duri i collassi, e che dovesse anche capire bene la mia preoccupazione nell'accettare un lavoro di quel genere visto che continuavo ad avere episodi di depressione.

Dopo che avevamo accompagnato la mamma di Cherie, e stavamo tornando verso casa, orientai lo specchietto retrovisore per vedere la sua faccia mentre parlavamo. Quando arrivai al racconto delle psicosi, nella mia testa iniziai a risentire e rivivere tutto, le cornamuse, la banda musicale, le cronache delle partite di calcio, gli Abba, Elvis, una lite a casa, una sul lavoro – a quel punto la faccia di Tony assunse quell'aspetto con gli occhi spalancati che noi chiamavamo “Bambi look”, la faccia da Bambi.

E disse: “Be', io non sono preoccupato se tu non sei preoccupato”.

“E se io fossi preoccupato?”

“Continuo a non essere preoccupato”.

Come Richard Stott si era rifiutato di definirmi soltanto attraverso i miei collassi e i miei problemi mentali, ora Tony Blair, che sarebbe diventato primo ministro del Regno, stava facendo lo stesso. L'ultima remora era caduta. La conversazione successiva fu con Fiona: non fu affatto facile, ma penso che lei già sapesse tutto.

 

Il fatto che poco dopo aver lasciato il mio lavoro a Downing Street ho avuto uno dei più lunghi e più gravi episodi di depressione della mia vita spiega forse che durante quella fase avevo tenuto la depressione dentro un recinto tenendomi occupatissimo. Ma la politica è sotto molti aspetti un laboratorio della malattia mentale. Eppure avere disturbi mentali continua a essere uno stigma, e così sono pochi i parlamentari che ammettono di averli.

Ma se prendi la vita di un deputato medio, capisci subito perché può avere dei problemi: vive spesso lontano da casa, lavora per molte ore, spesso è solo nei fine settimana, non si arricchisce, ha molte pressioni di persone che pretendono che abbia la soluzione in mano per ogni problema, è generalmente visto male – “i politici non servono a nulla/fanno questo mestiere solo per loro stessi/sono tutti uguali” (tutte cose molto false) – e visto male anche nel particolare, è sotto continuo scrutinio della sua vita passata e presente, compresa quella personale, e ha un lavoro a tempo. La maggior parte dei deputati non ha abbastanza potere, e chi ce l'ha ha tutti gli aspetti della sua vita sotto continuo scrutinio – azioni, dichiarazioni, amicizie, vacanze – al punto che non riesce quasi mai a goderseli. Questo forse spiega perché poche brave persone oggi vogliono entrare in politica, e ovviamente spiega anche perché la politica oggi sia un tale caos.

(…) La politica non è diversa da molti altri posti e lavori in cui tanti cercano di dare il meglio di sé. La grande differenza è fatta dal continuo scrutinio, dall'importanza delle cose che si discutono e delle decisioni che vengono prese. Al suo cuore, come altrove, la politica riguarda le persone e le loro relazioni.

Avevo molti compiti quando lavoravo con Tony Blair, dai briefing con i giornalisti due volte al giorno alla strategia mediatica più generale, alla gestione delle politiche, degli eventi, delle crisi, poi la diplomazia, i discorsi, la pianificazione giornaliera, consigli a lui e agli altri, sviluppo e messa in atto della strategia. L'ultima cosa era la più importante, ma la più difficile, in termini di impatto sulla mia salute mentale, non è tra queste mansioni. La cosa più difficile era avere a che fare con le liti, le divergenze, le personalità. Non c'è niente di più frustrante del sapere che ci sono persone che possono lavorare assieme, perché tu le hai viste e ne hai visti i risultati, e poi guardarle che non riescono a farlo in modo appropriato.

Quando Tony e Gordon Brown andavano d'accordo e io e Peter Mandelson pure, tutto il nostro lavoro era molto solido. Quando non andavamo d'accordo, era un incubo. (…) Nei giorni buoni, uno su quattro non parlava con un altro. Nei giorni cattivi, l'animosità, le divergenze potevano riguardare tre su quattro di noi, a volte tutti e quattro, anche se solitamente Tony cercava di rimanere quello più equilibrato, pure se nemmeno a lui ci riusciva sempre. Non era sempre così, ma spesso a me toccava rimettere insieme i pezzi.

(…) Dice molto di noi e della nostra dedizione al Labour il fatto che alla fine, nonostante tutto, quando alla fine Tony lasciò il governo in buona parte spinto fuori da Gordon, abbiamo continuato ad aiutare Gordon (che poteva essere un incubo, ma era anche brillante) perché diventasse leader del Labour, primo ministro e poi candidato alle elezioni del 2010.

Molti amici e colleghi, che sapevano cosa era accaduto in passato e dietro le quinte, non riuscivano a capire perché lo facessi. Io e Gordon avevamo avuto notevoli divergenze, e ci eravamo detti parole brutali, e quando me ne ero andato nel 2003 avevo davvero sperato che tutti gli affari di Tony e Gordon fossero ormai alle mie spalle.

Invece diventarono una parte ancora più grande della mia vita, anche perché non stavo più facendo tutte le altre cose, e mi ritrovavo continuamente in mezzo ai due. E nonostante questo passato, quando Gordon divenne primo ministro, mi mise sotto un'enorme pressione, arrivando anche a offrirmi di entrare alla camera dei Lord o nel governo, perché andassi a lavorare con lui.

Il mio psichiatra, al quale avevo confessato questo grande conflitto e quello che sentivo anche riguardo a quell'offerta – una parte di me voleva scappare via, l'altra sentiva un senso di dovere forte –, non poteva credere che stessi ritrascinandomi indietro, dentro a un mondo da cui avevo tentato di scappare. Ma allora – e lo scrivo adesso, dopo essermi impegnato in modo assoluto nella campagna fallimentare del People's Vote per ottenere un secondo referendum sulla Brexit – non stavo affatto cercando di scappare. Forse la necessità di stare nel mezzo delle cose e di sentirsi rilevanti è un'altra dipendenza e forse la politica alimenta questa necessità più di qualsiasi altra cosa. Questo potrebbe spiegare perché, anche se posso dire per esperienza che in politica c'è un'alta proporzione di instabilità mentali e di guai psicologici rispetto ad altri contesti, pochi sono disposti ad ammetterlo. Penso che loro e tutto il paese sarebbero molto più sani se lo facessero.

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