Leopoldo Metlicovitz (1868-1944). "Finalmente!!", poster del 1918 che rappresenta Trento e Trieste inginocchiate all'Italia 

Chi è Italia

Olga Brandonisio

Turrita, gioiosa, seminuda e malinconica. La “nazione-donna” nell’iconografia del paese. Un libro

“Questa è l’immagine che il governo sta dando dell’Italia nel mondo: Italia barzelletta del mondo!”, ha detto lo scorso 1° agosto Matteo Salvini in un video condiviso su Twitter, sulle note di una sconosciuta ma evocativa “Caribbean Party” di Chamonix, che fa da sottofondo alle immagini di un salvataggio in mare di migranti da parte della Guardia costiera. Dopotutto, il leader della Lega sembra avere un’immagine ben precisa di Italia, sebbene annacquata. Ma non è il solo. Altri – troppi – definiscono con urla formidabili il carattere della bella nazione a seconda di gusti, costumi e immaginazione. Ma oltre all’immagine individuale di mascherine tricolore e governi di mille sfumature, chi è Italia? L’abbiamo mai immaginata?

  

“A simboleggiare la nazione è una donna”, spiega Giovanni Belardelli, che ha curato L’Italia immaginata. Iconografia di una nazione edito da Marsilio e ampiamente analizzato da altri tredici ricercatori provenienti da diverse università italiane. “E’ la nazione-donna […] a incarnare la trasmissione dei valori e delle tradizioni da una generazione all’altra, la continuità della nazione al di là dei regimi politici e della forma monarchica o repubblicana dello stato, simboleggiando anzi il carattere perpetuo dell’esistenza”. Quella donna è nelle nostre borse e nelle nostre tasche, ritratta ferma e fiera sul retro della carta d’identità – solo su quelle cartacee, in quella elettronica è stata già dimenticata – dai capelli ondulati impreziositi da una corona di mura e torri.

 

Lei è l’Italia turrita, concepita nell’antico oriente e diffusa nel Mediterraneo in età ellenistica e poi romana, abbandonata nel medioevo e successivamente riscoperta “in piena temperie rinascimentale”. Infine codificata nel Cinquecento nell’Iconologia di Cesare Ripa, passato da trinciante (addetto a tagliare le vivande durante i banchetti) presso la corte del cardinale Anton Maria Salviati a membro dell’Accademia degli Intronati di Siena. Gli attributi allegorici: il globo, il trono e lo scettro per la sovranità nel mondo, la cornucopia per l’abbondanza e la prosperità, la corona turrita “allusiva alle città e alle regioni che la costituiscono ma anche alla frammentazione politica del paese”, e infine una luminosa stella che evoca Esperia, nome con cui i greci indicavano le terre a occidente e in particolare l’Italia. Tuttavia, la nazione così gloriosamente canonizzata dovette fare i conti con il percorso risorgimentale di lotta per la libertà dall’oppressore straniero, contrapponendo il canone di bellezza rinascimentale a quello romantico di Francesco Hayez, che ne “La Meditazione” ritrae un’Italia dalle vesti cadenti e dal volto triste, seppur fiera e forte nello sguardo. E’ in questo momento storico che l’arte della donna-nazione non è più “per l’arte”, ma diviene “un mezzo di promozione del progresso collettivo, capace di creare coesione”.

 

In altre parole, un susseguirsi di signore Italia immaginate affollava l’iconografia del paese: Italia combattente e vittoriosa, Italia derisa, Italia sconfitta, Italia subalterna ai quattro protagonisti del Risorgimento – i veri padri della Patria! – (Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II), Italia a pezzi e poi unita, Italia non più tanto Italia ma un po’ savoiarda, Italia della Belle Epoque, Italia madre, Italia vedova, insomma un’Italia pedagogicamente fallimentare. Ma l’Italia, l’Italia che vola, come scrive Giovanni Pascoli, si ritrovò a indossare gli abiti prepotenti della propaganda fascista, che la vide protagonista di un’ossessiva rappresentazione: “L’identificazione fascismo-nazione ritorna di continuo, ed è un fattore di enorme importanza ai fini del consenso, giacché anche coloro che non erano fascisti tendevano ad associare il regime con l’Italia”. Ma l’identificazione intesa nella sua antica accezione di “far coincidere” non ha aiutato il popolo italiano a immedesimarsi nella disorientata e disorientante Italia turrita. Per di più, gli sforzi postbellici dell’Italia democratica, di immaginare una nazione-donna depoliticizzata, diventano vani quando, in uno dei volantini di “Vota Blocco nazionale” (1948), Italia “giace a terra avvolta nel tricolore e trafitta da un pugnale comunista”. Ma l’eclissi quasi totale dell’Italia coronata dalla torre arriva con la diffusione dei media, dove l’identificazione collettiva finisce per determinarsi in “Miss Italia”, nelle icone pop del cinema e nelle sempreverdi “signorine buonasera”.

  

Oggi, una veloce ricerca su Instagram con #orgoglioitaliano mostra foto delle attrici simbolo della nazione – da Sofia Loren a Monica Bellucci – e un intruso e raggiante Salvini con pollice in su. Con non poca titubanza, non ci resta che ricondurre gli occhi su quella filigranata Italia turrita sul retro del documento d’identità in via d’estinzione per comprendere che le nostre ossa non fremono più amor di patria.

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