Hollywood senza censura

Dal ritratto di Angelina Jolie a quelli di Madonna e Donald Trump. Il fotografo dei vip George Holz racconta l’epopea di Helmut Newton: “Avrebbe riso di quest’epoca di pudore”

Valeria Sforzini

Tra i compiti che George Holz doveva svolgere in quanto assistente di Helmut Newton c’era anche quello di accompagnarlo sul set. Passava a prenderlo al Beverly Hills Hotel, dove Newton alloggiava assieme alla moglie June, in arte Alice Springs, anche lei fotografa. Holz arrivava con la sua Dodge Dart del 1969, l’unica che, da studente, si era potuto permettere mentre frequentava l’ArtCenter College of Design di Pasadena. Era arrugginita e scalcagnata, ma era la classica “muscle car” americana, cosa che a Newton piaceva particolarmente. Helmut apriva il bagagliaio (con una forchetta, perché la serratura era rotta), riponeva la borsa di Louis Vuitton che conteneva tutto il necessario per scattare e si sedeva al posto del passeggero, con lo schienale che stava dritto solo grazie a uno scatolone posizionato sul retro. Percorrendo il vialetto d’ingresso dell’hotel superavano le Lamborghini, Ferrari e Rolls Royce dei facoltosi clienti dell’albergo più alla moda di Los Angeles. Newton lo trovava molto “cool”, aveva sempre amato la vecchia America. Lo provava anche la cintura in pelle nera con il suo nome scritto lettera per lettera su placche in acciaio stile texano, che sarebbe poi diventata uno dei simboli dell’icona.

 

“White Women” conteneva scatti che univano erotismo, nudo e fotografia di moda. Aveva scatenato le critiche dei pudichi benpensanti

Alla fine degli anni 70, Newton aveva già lasciato il segno nel mondo della fotografia di moda. L’enfant terrible si era conquistato quella brutta reputazione che poi avrebbe gelosamente mantenuto per tutta la vita con i suoi scatti (tra gli altri) per Vogue, Harper’s Bazaar, Elle e Playboy. “White Women”, la raccolta di fotografie provocatoriamente ispirate alla storia dell’arte, alla “Maja Desnuda” e alla “Maja vestida” di Francisco Goya, era stata pubblicata nel 1976 e aveva fatto scalpore. Il libro, che conteneva scatti che per la prima volta univano erotismo, nudo e fotografia di moda, aveva scatenato le critiche dei pudichi benpensanti e gli aveva procurato accuse di razzismo per la scelta di un titolo controverso. Nel 1978, l’anno prima che George Holz e l’amico Mark Arbeit, che come lui frequentava l’ArtCenter College of Design a Pasadena, gli chiesero di diventare i suoi assistenti, Newton uscì con la raccolta “Sleepless Nights”. Le selle di cuoio e i corsetti in pelle fatti indossare alle modelle, e i disturbanti manichini vestiti da Yves Saint Laurent spacciati per parigine alto-borghesi, anche in questo caso gli garantirono una dose significativa di proteste per il suo modo di rappresentare le donne.

 

“Era un grande. Sapeva quello che voleva e lo faceva e basta. Gli altri potevano solo mettersi comodi e lasciarlo fare”, racconta al Foglio George Holz, classe 1956, nell’anno del centenario della nascita di Newton. Parla dalla sua fattoria sulle montagne Catskill, nello stato di New York, la base da cui parte per realizzare i lavori on assignment in giro per il mondo e dove, dopo quarant’anni di carriera, realizza workshop per giovani fotografi. “Sul set era un vero gentlemen, le modelle lo amavano e lui era molto, molto rispettoso. Voleva che le donne apparissero forti e mostrassero il proprio carattere. Penso che loro lo adorassero. Newton veniva assunto proprio per la sua visione. Era in grado di far apparire qualsiasi capo straordinario. Realizzava ogni scatto come se fosse arte. Sia che fotografasse per l’alta moda, sia che lo facesse per un catalogo, le sue immagini sarebbero potute finire sulla parete di una galleria”. Per George Holz, Mark Arbeit e, più tardi, Just Loomis, “I tre ragazzi di Pasadena”, storici assistenti di Helmut Newton, tutto è iniziato a Beverly Hills. “Mark Arbeit sapeva che Newton sarebbe andato in una boutique in centro. Doveva ritirare dei capi di Fendi per uno shooting – spiega Holz – noi ci siamo appostati lì fuori e alla prima occasione ci siamo presentati: vorremmo essere i suoi assistenti, i suoi autisti, fare qualsiasi cosa le serva. Lo abbiamo seguito all’hotel, ci siamo praticamente accampati davanti alla sua camera. Siamo stati abbastanza insistenti. Oggi forse ci avrebbero definito stalker, ma Helmut deve aver apprezzato la nostra determinazione. Lui e sua moglie June avevano capito che le nostre intenzioni erano serie e ci hanno fatti entrare nel loro mondo”.

 

Per Holz fotografare non significa riassumere una vita in uno scatto, ma rendere immortale un momento, catturarlo sulla pellicola

Dal trasportare l’equipaggiamento e portare i rullini in laboratorio, a legare i polsi dei Van Halen con una catena durante un servizio fotografico, Holz sbrigava per Newton le normali incombenze di un assistente. “Helmut era una persona alla mano, ma il lavoro per lui era una cosa seria – continua – se facevamo qualcosa di stupido durante uno shooting si arrabbiava, ma non ci ha mai umiliati. A volte gli mostravamo i nostri lavori e lui è sempre stato molto sincero nell’esprimere i giudizi. Se qualcosa non gli piaceva, ce lo diceva con grande onestà. Per me è stato un mentore”. Dopo il lavoro, nei momenti liberi dalle lezioni, passavano il tempo insieme alla Polo Lounge del Beverly Hills Hotel. “Siamo rimasti amici fino alla fine – continua Holz – anche con June. Lei è venuta alla mostra a Berlino “I tre ragazzi di Pasadena”, organizzata nel 2009 alla Helmut Newton Foundation, per esporre gli scatti di noi ex assistenti”.

 

Fu Newton a suggerire a Holz e a Arbeit nel 1980 di lasciare Los Angeles e di spostarsi a Milano, la patria dell’alta moda, dove rimasero fino al 1985. “Io e Mark abbiamo preso in affitto un appartamentino in via Pola (l’attuale quartiere Isola, ndr) – racconta Holz – Era senza riscaldamento, ma aveva i suoi lati positivi. Al piano di sopra c’era un’agenzia di modelle. Abbiamo fatto amicizia con alcune di loro e abbiamo potuto iniziare a scattare”. Lì sono cominciate le prime collaborazioni: da Lei, a Vogue, ai lavori on assignment per le riviste di moda francesi. “In quel periodo eravamo circondati da leggende e non ce ne accorgevamo – spiega Holz – Appartenevamo allo stesso mondo di Franca e Carla Sozzani, di Oliviero Toscani, di Fabrizio Ferri. E’ stato un periodo bellissimo”. L’esperienza italiana è stata un trampolino formidabile: è qui che è tornato per stampare il suo libro, “Holz Hollywood: 30 years of portraits”. La raccolta di ritratti scattati in una vita passata sul set. Da una allora semi sconosciuta Angelina Jolie a Jack Nicholson, a Madonna, quando ancora poteva camminare per strada senza essere riconosciuta. “Dovevano essere venticinque anni – commenta – ma ce ne sono voluti cinque solo per assemblarlo. Ho continuato a fotografare fino a poco prima della pubblicazione. Mia madre conserva ancora una vecchia polaroid scattata a Steven Spielberg durante il servizio per la cover di Newsweek sul suo Schindler’s list che di lì a poco si sarebbe aggiudicato sette premi Oscar. Sono ebreo, mio padre è scappato dalla Germania nazista. Quel film ha un significato speciale per me e per la mia famiglia”.

 

“Newton era un grande. Sapeva quello che voleva e lo faceva e basta. Gli altri potevano solo mettersi comodi e lasciarlo fare”

Se per George Holz la fotografia di moda è stata il grande amore, il reportage è stato il primo. Cresciuto a Oak Ridge, nel Tennessee, prima di iscriversi all’ArtCenter College of Design ha iniziato a lavorare come collaboratore di un quotidiano scattando di tutto, dallo sport alla cronaca nera. L’influenza del “qui e ora” giornalistico lo ha accompagnato per tutta la sua carriera. Nei quarant’anni successivi al primo incontro con Helmut Newton, Holz ha conosciuto e fotografato centinaia di celebrità, attori di Hollywood e star della musica, ma la sua missione è rimasta la stessa: raccontare con le immagini un personaggio in un preciso momento storico, in una fase della sua vita che per qualche motivo meritava di essere ricordata. “Quando fotografo una persona cerco di non fare troppe ricerche – racconta – Non voglio essere influenzato, non voglio sapere quale sia il suo lato migliore. Cerco sempre di scattare un ritratto iconico, di immortalare un momento specifico nella vita del mio soggetto”.

 

Lavorare con Newton ha dato una svolta al lavoro di George Holz, ma non è stato la sua unica fonte di ispirazione. Con Cartier Bresson condivide la filosofia del “momento decisivo”, e dietro ai suoi scatti si intravedono riferimenti a surrealisti come Man Rey: “Quando la gente guarda le mie fotografie non è raro che dica: ‘Questo è molto Newton’ – spiega Holz – E’ inevitabile che la sua influenza abbia avuto un effetto sul mio modo di fotografare. L’unico modo per raggiungere il proprio stile è scattare, scattare e scattare. Solo così, dopo anni di carriera, guardando più da vicino le mie fotografie attraverso gli strati di Newton, di Man Ray e Edward Weston si può arrivare a dire: ‘Questo è molto George Holz’. Penso che sia vero per tutti gli artisti, e se qualcuno afferma il contrario, mente”.

 

Uno degli scatti più celebri di Holz risale al 1991 e ritrae un giovane Brad Pitt immerso fino alla cintola in un fiume del Montana, con una t-shirt fradicia e una canna da pesca in mano, spettinato, con l’aria un po’ incerta. “Se guardo indietro e penso alla foto di Brad Pitt nel fiume, mentre pescava, mi rendo conto di come non si trattasse solo di un contesto meraviglioso, ma anche di un momento bellissimo della sua vita – spiega – Non aveva un pr, nessun entourage, era con i suoi genitori e il suo cane. Io e il mio assistente siamo passati a prenderlo in macchina e abbiamo trascorso la giornata a pescare. Abbiamo parlato di tutto, gli ho insegnato qualche trucco della pesca a mosca. Aveva appena girato “Thelma e Louise” ed erano iniziate da poco le riprese di “In mezzo scorre il fiume”. Lo stesso è successo con Heather Graham, con Kevin Spacey, con Cameron Diaz, tutti immortalati in fasi speciali della loro vita e della loro carriera. “Quando ho scattato Anthony Quinn ci trovavamo nella sua casa a Rhode Island, un anno prima che morisse – spiega Holz – Ci teneva a essere fotografato accanto alla quercia sotto alla quale voleva essere sepolto. E c’era quella meravigliosa metafora dell’albero che ogni primavera si rinnova, resiliente come lui”.

 

“Trump non mi piace, ma si trattava di una foto che immortalava un preciso momento nella storia che meritava di essere ricordato”

Holz è sempre stato affascinato dalle donne e dalla bellezza, ma lavorare per Newton ha acceso il suo interesse. I nudi, così come per il suo mentore, hanno rappresentato un’espressione importante della sua arte. Ma i tempi sono cambiati da quando Newton ritraeva le sue “white women” in lussuose camere d’albergo o nelle strade di Parigi. “Allora poteva capitare che dopo o durante uno shooting si chiedesse alla modella o all’attrice di fare qualche scatto, sfruttando location e trucco – racconta Holz – scattavi con la tua macchina fotografica e una volta sviluppate mostravi le foto al tuo soggetto davanti a un caffè o a un bicchiere di vino. Non c’era Instagram, era tutto molto intimo. Poteva capitare che, con il consenso dell’interessata, lo scatto finisse sulla parete di una galleria, o in una raccolta fotografica. Era tutto più privato, più personale. Oggi ci sono altre influenze. Dopo il #MeToo, ogni volta che scatto un nudo c’è una vocina dentro di me che mi dice: ‘Attento a come fotografi, a come presenti’. Se Helmut fosse vivo oggi riderebbe della censura di Instagram. Molte delle sue fotografie vengono oscurate dai social. Anche se negli States si avverte di più, penso che un nuovo senso del pudore abbia pervaso il mondo. Lo avverto soprattutto quando viaggio per lavoro. Per me l’arte è e deve rimanere pura”.

 

Per Holz fotografare non significa riassumere una vita in uno scatto, ma rendere immortale un momento, catturarlo sulla pellicola. Nella sua carriera ha avuto modo di fotografare anche Donald Trump e Melania quando portava ancora il cognome da nubile, Knauss. “Allora lui era la star di un reality show e lei una modella – ricorda – Era il 1999, stavo svolgendo un lavoro per il New York Magazine. Era appena venuta fuori l’idea che Trump potesse candidarsi alla presidenza. Lui è stato molto cortese, lei ho avuto modo di incontrarla qualche tempo dopo per un servizio fotografico per For Him Magazine. Uno shooting in intimo. E’ stata molto piacevole, professionale”. La foto della coppia presidenziale era esposta a Berlino nel 2019 al decennale della mostra “Three Boys from Pasadena” organizzata alla Helmut Newton Foundation, in un momento storico radicalmente diverso rispetto a quando è stata scattata. “Era un’immagine molto grande – continua Holz – e le reazioni sono state estreme. C’è chi l’ha odiata moltissimo e chi l’ha amata. Hanno pensato addirittura di allegare alla foto un pennarello, per permettere alle persone di scrivere sul muro cosa ne pensassero. Sono stato criticato, mi hanno chiesto: ‘Perché l’hai messa?’. Personalmente, Trump non mi piace affatto, ma si trattava di una foto che immortalava un preciso momento nella storia che meritava di essere ricordato. Un’immagine deve suscitare emozioni, deve far discutere, far pensare. Vale anche per una bellissima foto di Angelina Jolie o Joaquin Phoenix. Per Helmut è stato lo stesso quando ha scattato personaggi controversi come Claus von Bülow (avvocato e socialite condannato in primo grado per il tentato omicidio della moglie, poi assolto in appello, ndr). Potranno non essere le persone preferite di qualcuno, ma sono ritratti ed è questa la cosa straordinaria della fotografia: poter ripercorrere la storia”.

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