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tra presentismo ed eternismo. un libro

Il tempo va capito bene, altrimenti è solo la molesta insensatezza del puro scorrere

Sergio Belardinelli

"Intenzionalità ed esperienza del tempo" di Luigi Cimmino aiuta a comprendere qualcosa anche dell’odierna organizzazione sociale

Luigi Cimmino è un professore di filosofia dell’Università di Perugia, siamo amici dai tempi in cui eravamo studenti in quell’università e di recente ha scritto un grande libro: Intenzionalità ed esperienza del tempo (Edizioni Aguaplano, 2020). Ho faticato a leggerlo come non mi capitava da anni, per giunta senza la certezza di averne capito fino in fondo tutte le implicazioni. Ma siccome ho la certezza che si tratta di un libro importante e che proprio per questo in Italia potrebbe passare del tutto inosservato, ho pensato che fosse doveroso parlarne. Non avendo la necessaria competenza per farlo (sono 700 pagine di argomenti, alcuni dei quali molto tecnici, che si accavallano uno sull’altro facendo perdere il fiato) mi limiterò a offrire qualche assaggio, raccontando anzitutto qualcosa dei miei precedenti incontri con il concetto di tempo.

   

Il primo di questi incontri, invero indimenticabile, risale agli anni in cui frequentavo le scuole elementari. Allora si dovevano imparare a memoria non soltanto le tabelline, ma anche i verbi. Ebbene debbo dire che un certo imprinting emozionale rispetto al concetto di tempo risale proprio a quegli anni.

  

Ricordo ancora l’impressione che ebbe su di me una digressione bellissima sul futuro anteriore che non saprei in alcun modo riprodurre, ma della quale è restato indelebile un esempio, che il maestro fece con insolita allegria: “Quando, fra trent’anni, anzi facciamo tra cinquanta, sarò morto, porterete fiori rossi sulla mia tomba”. Dopo questo esempio ne seguirono altri, tipo: tra qualche anno spero che mi perdonerete le sberle che vi avrò dato, e via scherzando su questi toni.

 

L’ineluttabilità della morte e delle sberle diventarono oggetto di scorribande verbali che, in ultimo, sembrava che liberassero il linguaggio da qualsiasi vincolo reale (io peraltro di sberle non ne avevo ancora prese). I tempi dei verbi come una sorta di cartina al tornasole della futilità del tempo, utile a esorcizzare la realtà e forse il tempo stesso, che però col passare degli anni si è fatto via via meno futile. Si nasce e si muore realmente!

 

Avvenne poi l’incontro con l’idea agostiniana del tempo come “estensione dell’anima” e con quella kantiana che considerava il tempo come una forma soggettiva a priori della percezione. Un certo antropomorfismo che a tutt’oggi mi attrae e che mi fa guardare con simpatia al presentismo di cui ci parla Luigi Cimmino nel suo libro è forse incominciato di qui. Ma debbo dire che del problema del tempo non mi sono mai occupato in modo sistematico, se non per il nesso tra tempo e identità, tra tempo e società, cercando di descrivere l’evoluzione sociale come passaggio dal tempo ciclico delle società primitive, al tempo newtoniano della società moderna (il tempo dell’orologio), al tempo frammentato e relativizzato della nostra epoca postmoderna. Famosa in proposito la celebre affermazione di Emile Durkheim e Marcel Mauss, secondo la quale “Le idee astratte, quali sono le idee di tempo e di spazio, vengono a trovarsi in ogni momento della loro storia in stretto rapporto con la corrispondente organizzazione sociale”.

 

Una società organizzata secondo i canoni delle antiche comunità, caratterizzate prevalentemente da una sorta di fissità dei rapporti sociali, dove tutto è prevedibile in anticipo, sembra in effetti particolarmente incline a favorire un’idea circolare del tempo. Il fluire sempre uguale dei giorni, dei mesi e delle stagioni come metafora del fluire sempre uguale della vita individuale e sociale. La Bibbia, come sappiamo, romperà questa concezione ciclica del tempo. Il tempo diventa tempo lineare, tempo che scorre in avanti, come anticipazione, già ora, del compimento che verrà. Dobbiamo tuttavia aspettare l’epoca moderna, affinché si metta in moto qualcosa di effettivamente dirompente sia nella concezione della società che nella concezione del tempo; qualcosa che, frantumando nei rapporti sociali l’idea di un ordine immutabile ed eterno, frantuma anche l’idea di un tempo pensato ciclicamente come eterno ritorno dell’uguale. Il trionfo del tempo dell’orologio e della società moderna produce però le lacerazioni che conosciamo, diciamo pure la crisi della modernità e l’avvento di una società, la nostra, in cui le istanze sociali e quelle dell’orologio sembrano sempre più sconnesse dalle istanze umane, diciamo pure, da un tempo umano.

 

Già, si dirà, ma che c’entra tutto questo con il libro di Luigi Cimmino?

 

Nulla ovviamente. Però, leggendo il suo libro, mi sono convinto che la sua concezione del tempo aiuta a comprendere qualcosa anche dell’odierna organizzazione sociale, e questo, almeno per me, lo rende ancora più interessante. Provo a spiegarmi.

 

Cimmino dedica particolare attenzione a due modi di intendere il tempo: quello eternista e quello presentista.

 

L’eternismo sostiene che il tempo sia in ultimo costituito da relazioni: prima di, dopo di, simultaneo a. L’argomento logico che lo sostiene è un po’ il seguente: io non posso dire che Giovanni è più alto di Mario, se Mario non esiste o viceversa non esiste Giovanni; allo stesso modo non posso dire che il 2013 è prima del 2014, se i termini della relazione non esistono. L’eternismo in questo senso salva tutte le posizioni temporali; tutte esistono al loro posto nella successione temporale. Per l’eternismo, percepire il tempo equivale alla percezione di una successione di eventi, o parti di eventi, tutti allineati in una serie tale per cui un evento viene prima o dopo o è simultaneo a un altro.

 

Il presentismo “ritiene invece che esista solo il presente e che costitutivo del tempo sia il divenire esistenziale”. Il tempo in tal caso non è né un ambito in cui le cose accadono, né l’esemplificazione di una relazione, bensì coincide, si identifica con l’esistere e il successivo non esistere degli eventi: la “successione” coincide col divenire temporale.

  

In estrema sintesi, mentre nell’eternismo il tempo è una relazione e quindi suppone che esistano almeno due eventi, nel presentismo esso non è qualcosa, può ammettere logicamente l’esistenza di un solo evento, ammettendo la sua necessariamente successiva negazione, visto che non si può esistere e non esistere se non in successione.

  

Cimmino prende chiaramente partito per la concezione presentista. E se ho capito bene, trova le ragioni di questa sua preferenza nel concetto stesso di intenzionalità. Per inciso faccio notare che se il concetto di tempo è complesso, quello di intenzionalità lo è più ancora; figuriamoci quindi la complessità che scaturisce dalla combinazione di questi due concetti. Ma tant’è.

 

Oggi, è noto, per molti studiosi l’attività intenzionale coincide con l’attività del cervello. Spiegare l’attività intenzionale significa addurre spiegazioni di tipo neurologico. E’ un po’ la prospettiva del cosiddetto naturalismo, per il quale ciò che chiamiamo mente non è altro che una continua transazione causale con la realtà.

 

Cimmino non condivide questa posizione. A suo avviso, l’intenzionalità “non consiste in una relazione fra mente e mondo; gli atti intenzionali si caratterizzano come ‘oggettivizzazione’ di contenuti mentali – è solo all’interno dell’attività intenzionale che il soggetto epistemico ha coscienza di una dimensione che sussiste indipendentemente dal suo riferirsi a essa; è all’interno dell’atto intenzionale che si ha notizia di un mondo oggettivo, senza che il mondo assuma il ruolo di termine esterno di una relazione mente-mondo, dove a essere intenzionale sarebbe appunto tale relazione”.

 

Corollario non marginale di tutto questo, è che i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre percezioni del mondo assumono la forma che hanno succedendosi nel tempo. L’intenzionalità ha insomma un carattere intrinsecamente temporale. E, secondo Cimmino, è precisamente questo carattere temporale della nostra intenzionalità che ci permette di avere notizia del tempo senza doverne percepire la successione, anzi, “proprio perché non se ne percepisce la successione”. Detto in altre parole, noi percepiamo il divenire esistenziale di un evento, non la successione dei momenti che lo costituiscono.

 

Come accennavo all’inizio, trovo in queste pagine di Cimmino anzitutto una sorta di sostegno, seppur vago, alla mia sempre più marcata simpatia per l’antropomorfismo. In secondo luogo, ritornando a Durkheim e Mauss, mi pare che il presentismo di Cimmino illumini in modo interessante l’odierna organizzazione sociale, rappresentando, pur nella complessità estrema dei suoi argomenti, una sorta di salutare iniezione di realismo. Se posso permettermi di dirlo con perentorietà, credo che la forza di questo libro stia principalmente nel suo ribadirci quello che già sappiamo: e cioè che il tempo passa, e passa perché noi passiamo, perché passano tutti i nostri atti intenzionali, perché ogni nostro “singolo contenuto mentale non può che manifestare direttamente il tempo”.

  

Il tempo neutrale come flusso infinito e infinitamente divisibile è una pura astrazione, al limite persino un’impossibilità logica. Il tempo è esperienza del divenire esistenziale. La realtà consiste di contenuti di esperienza vissuta di durata variabile. Le persone quando mettono in relazione l’uno con l’altro questi contenuti, sono esse stesse forma del tempo. Un po’ come accade per un brano musicale, la vita umana può essere realizzata soltanto nel ricordo cosciente e nel mettere in rapporto singoli momenti che non sono simultanei né indistinti. Diversamente avremmo la molesta insensatezza del puro scorrere.

  

Ecco la connessione con il tempo della nostra epoca: un tempo privo di memoria e bloccato, indifferente, impaurito di fronte al futuro, al quale fa da pendant una società ipotetica, come la chiama Robert Spaemann, sempre più spaesata e incapace di riconoscersi in una storia. Una società dove si vive una molteplicità di “istanti”, ognuno dei quali è sempre più indistinto dall’altro e dove sentiamo di essere diventati “uno, nessuno e centomila”. Una società annoiata che cerca in qualche modo di “ammazzare il tempo”, senza accorgersi che in questo modo si lascia semplicemente ammazzare dal tempo.

  

Per concludere, si potrebbe considerare invece il presentismo di Cimmino come una prospettiva che, prendendo sul serio il tempo, lo fa diventare il medium di una forma: la forma del nostro divenire esistenziale in quanto persone, sulla quale lavorare per comprendere ciò che è importante e ciò che non lo è, quando è tempo di fare qualcosa e quando no: una forma che è essa stessa una forma del tempo, anzi la forma-tempo.

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