Due ragazzi che potrebbero essere gilet gialli, il malessere dell'ex classe media

Giacomo Giossi

Note su “Falsa partenza” della francese Marion Messina

Roma. Non esiste nulla di più violento dell’eliminazione della classe media in Europa. Anche perché non esiste nulla di più violento della stessa classe media europea. Riprendendo e ampliando il discorso filiale di Édouard Louis (l’autore di “Il caso Eddy Bellegueule”, Bompiani), Marion Messina concentra il suo sguardo sulla classe media della provincia francese. Non più una famiglia limite, ma una famiglia come tutte le altre, dietro alle quali cova più che la violenza, una nevrosi perenne. Un lento e continuo impazzimento fatto di ansia e consumo, di tic e isterie che piano piano avvelena i figli rendendoli sempre più fragili e incapaci davanti ad un futuro che pare sempre più un baratro e soprattutto la sua stesa tragica retorica.

 

Falsa partenza” è lo straordinario esordio di una scrittrice capace di dare cruda evidenza a una classe operaia (da cui l’autrice proviene) che si è fatta classe media senza tuttavia migliorare realmente la qualità della propria vita quotidiana. Già perché se da un lato avanzano politicamente le rimostranze contro uno stato sociale sempre più in crisi, dall’altro è quasi impossibile dare voce ad un disagio che colpisce una popolazione che ha totalmente cancellato ogni capacità di riconoscere bisogni e desideri e che anzi in questa sorta di ammutinamento concentra tutto il proprio livore e rancore, esattamente come davanti ad uno specchio.

 

Marion Messina racconta così la storia di due giovani, Aurélie una ragazza di Grenoble in cerca di emancipazione da un presente piatto, noioso e angosciante e Alejandro, un ragazzo colombiano in fuga – seppur per motivi opposti – dal proprio paese. Entrambi cercano un futuro fatto di libertà e cultura seguendo e perseguendo la famosa differenza culturale francese, ma ben presto dovranno fare i conti con una realtà segregante e dura come quella di Parigi che si trasforma da capitale culturale ad un centro difficilmente frequentabile con uno stipendio da segretaria o da corriere.

Messina mette in atto un corpo a corpo tra i due protagonisti, fatto di sesso, amore e codardia, mischia con sapienza il desiderio di libertà con l’illusione di una vita bohemien che non ha nulla di artistico e avvincente, ma molto di faticoso e imbrigliante. Abbandono e rabbia contraddistinguono le pagine durissime nel racconto di Aurélie, naufraga di eventi e passioni, di ambizioni e responsabilità. Una giovane donna continuamente attraversata dall’incubo del ritorno, dalla paura di una povertà senza via d’uscita dopo i sogni e le illusioni del liceo e dei primi anni dell’università.

 

Il romanzo mostra una Francia provinciale chiamata all’assurda sfida parigina fatta di affitti insostenibili e di condizioni lavorative terribili per chi non ha avuto accesso ad università e relazioni qualificate. Parigi che era una metà ambiziosa e felice diventa così un vero e proprio incubo. Un mostro in grado di mangiare i suoi abitanti che dalla provincia si aggrappano alle banlieue tentando di strappare per se stessi un’apparenza di futuro. Tuttavia il presente è fatto di più ore passate in metropolitana che al lavoro e come unico approdo notti più o meno insonni in attesa di un nuovo incarico.

 

Marion Messina non agisce retoricamente sulla cupezza o sul malessere di un paese che viene certificato tra i più depressi, anzi è analitica e lucida nella rappresentazione di una contraddizione che si è sempre più trasformata in un cappio: non è possibile la felicità in provincia, ma lo è ancor meno a Parigi. E’ quasi naturale che si scateni così una rabbia insensata, come una valvola di sfogo del tutto naturale che arriva ultima dopo aver distrutto relazioni, famiglia e gli affetti residui.

 

Falsa partenza la storia di una coppia, ma prima ancora di una solitudine che non svanisce mai e che addirittura si alimenta dei passati momenti di gioia, la scoperta delicata del sesso, del godimento e poi le idee di fuga verso Parigi. Tutto quanto si ritorce contro i due che pure scelgono ad un certo punto strade diverse. Solo allora sarà chiaro che il loro casuale rincontrarsi non è figlio di un destino comune e amoroso, ma di una sconfitta che ha portato entrambi alla deriva e privi di rotta.

 

Si può certamente biasimare chi spesso con faciloneria indica la strada migliore per i giovani, quella vera, concreta, lontana dai sogni di una giovinezza scanzonata. Ne abbiamo continui esempi nei talk show televisivi di tali figuri, tuttavia non si può negare che la retorica di una classe media che si pretende ceto medio riflessivo ha letteralmente illuso e tuttora illude sulle possibilità di emancipazione e crescita dei figli, dei volgarmente detti millennials. Certamente non le impedisce, perché allo stato pratico ci sono ancora più possibilità oggi di ieri, ma fa qualcosa di peggio, li disarma, li rende inermi davanti alle loro stesse possibilità. Marion Messina ci racconta di una falsa partenza che troppe volte viene scambiata come l’unica possibile e irrinunciabile.

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