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L'epica del mostruoso quantificato, o le isobare che uniscono Musil e Fantozzi

Guido Vitiello

Ecco l’intervista a Paolo Villaggio sulle sue fonti letterarie

Quando l’uomo senza qualità trova su un giornale l’espressione “il geniale cavallo da corsa”, capisce che lo Spirito dei tempi si è scelto come scriba un anonimo cronista, e che in Kakania l’ideale romantico del genio ha preso una strana piega. Chissà cosa avrebbe pensato Robert Musil della formula “spettabile lampadario”, cosa avrebbe intravisto in quel non meno incongruo accostamento di parole: “‘Spettabile’ è l’unica aggettivazione in uso nelle grandi aziende, nelle quali ‘spettabile’ è il Megadirettore, ‘spettabile’ è un cliente, ‘spettabile’ è la signora del collega, ‘alla quale si prega di estendere i saluti’, ‘spettabile’ è un lampadario, una penna, una scrivania eccetera”. Chissà, in altre parole, cosa avrebbe pensato Robert Musil leggendo il primo “Fantozzi”. Sappiamo, in compenso, cosa pensò Paolo Villaggio leggendo Musil: “Nella mia biblioteca, avevo un mattone grosso, bello, preciso, che avevo quasi deciso di non leggere prima di morire: ‘L’uomo senza qualità’ di Musil, tre volumi, inquietanti ed enormi. A quarant’anni ho incominciato improvvisamente a leggerlo e sono entrato in una nuova stagione della mia vita” – la stagione in cui, calendario alla mano, cominciano a uscire per Rizzoli i libri di Fantozzi. L’intervista dell’ottobre 1975 per la Radiotelevisione svizzera dove Villaggio svela le sue fonti d’ispirazione letteraria, fino a oggi inedita in volume, l’ha appena pubblicata l’editore De Piante con il magnifico titolo “Kafka? Qui siamo all’apice della piramide nevrotica”. Lo raccomando alle vostre mani bucate, spettabili lettori: sono trecento copie numerate, con copertina d’artista di Ugo Nespolo (se proprio dobbiamo beccarci la quotidiana accusa di essere élite, prendiamoci almeno qualche lusso).

 

Veniamo a sapere che Villaggio, dopo un’infatuazione giovanile per Hemingway e Fitzgerald, era approdato a Borges e a García Márquez, due opposti che vide ricongiunti nell’uruguaiano Felisberto Hernández, di cui Einaudi aveva pubblicato, l’anno prima, “Nessuno accendeva le lampade”: nei suoi racconti, dice, c’è “il surrealismo di Márquez e il rigore matematico di Borges”. Poi Bulgakov, per la dissezione satirica dello stalinismo. E al vertice della piramide nevrotica, come un Megadirettore letterario, Franz Kafka (del resto, “Fantozzi vive in una dimensione piramidale, tra i ‘burosauri’, al cui vertice forse, si dice anche nel film e nei libri, non c’è nessuno”). Ma è la passione tardiva per Musil la scoperta più interessante. Ho provato a chiedermi cosa potesse aver vinto le resistenze di un quarantenne pigro al punto da fargli affrontare i tre grossi volumi della prima edizione Einaudi. Non ho dovuto cercare troppo lontano la risposta: era nel primo paragrafo del romanzo, quello in cui una bella giornata d’agosto è descritta attraverso aree di bassa pressione, isotere e isoterme, temperatura dell’aria rispetto alla media annua, elasticità del vapor acqueo. Alla base della piramide letteraria, anche Villaggio fondò la sua epica impiegatizia su un registro che chiamerei del mostruoso quantificato, del mostruoso ad alta definizione, dove il caffè della signora Pina non è semplicemente bollente, è a tremila gradi Fahrenheit, dove si applaude per novantadue minuti, i film noiosi sono di diciotto bobine e le cambiali da firmare sono sedici chili e settecento. Resta il rimpianto di non poter sapere con quali dettagli atmosferici Musil avrebbe descritto la formazione delle “nuvole da impiegato” e il loro quadrato di grandine di un metro per un metro.

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