Immagine tratta dal profilo Facebook di Fumettibrutti

C'è molto di più del semplice sesso in "Romanzo esplicito"

Gianmaria Tammaro

L'opera prima di Fumettibrutti, aka Josephine Yole Signorelli, è la storia di una ragazza che si sta affacciando all’età adulta e che deve ritrovare la sua dimensione

Romanzo esplicito” di Fumettibrutti, aka Josephine Yole Signorelli, è l’ennesimo fumetto che parla di sesso. Come suggerisce il titolo, ne parla in maniera schietta, senza tralasciare o mascherare alcunché. È un’opera prima, quindi pecca in qualcosa – la ridondanza di alcuni temi, la pesantezza che scalfisce il ritmo; la ripetitività di alcune situazioni – ma è un bel fumetto, un fumetto importante, che centra perfettamente il suo obiettivo: raccontare un’esperienza allargandola ad una generazione intera.

 

Josephine è giovane e anche questo, leggendo “Romanzo esplicito”, edito da Feltrinelli Comics, è piuttosto evidente. E fa gli errori dei più giovani. Ma il suo sguardo, dolorosamente onesto, volutamente eccessivo, spazia tra la sentenza assoluta e il consiglio tra amici. “Romanzo esplicito” è diviso in diversi capitoli, ognuno dei quali racconta qualcosa di particolare, di più, rispetto al precedente.

 

In questi mesi, le strisce di Fumettibrutti sono diventate virali online: condivise, rimbalzate, apprezzate. Perché mettono a fuoco in modo quasi chirurgico quello che una generazione (i ventenni) prova – e, forse, andrebbero viste in quest’ottica: non come un’opera adatta a tutte le età; ma rivolta a un target preciso, di cui fa parte la stessa Signorelli.

 

Anche altri autori – fumettisti, romanzieri, filmmaker – hanno deciso in questi anni di riappropriarsi del sesso come tema, e di usarlo per raccontare la loro storia. In alcuni casi limite, il sesso – e di conseguenza: il corpo – sono diventati il modo migliore per l’emancipazione femminile (“Game of Thrones”, “The Handmaid’s Tale”).

 

Fumettibrutti, però, fa qualcosa di diverso. E anche qui, come altrove, c’è molto di più del semplice sesso – c’è un bisogno quasi fisico di affetto e di accettazione; c’è la difficoltà, sempre più cronica, di trovare il proprio posto nel mondo. Non è “Love addict”, insomma. Né il racconto di una sessuomane compulsiva. È semmai la storia di una ragazza che si sta affacciando all’età adulta, che ha avuto le sue storie, e che ora deve ritrovare la sua dimensione – e nel sesso vede una parte di quella realtà, non una sfida e nemmeno un tabù.

 

Paradossalmente in “Romanzo esplicito”, per quanto le vignette o le pagine con corpi nudi e convulsi siano le più evocative e – narrativamente parlando – le più forti, la parte più importante è quella che parla dell’educazione sentimentale della protagonista. Di come, a poco a poco, abbia imparato (oppure no?) a fare a meno del suo ex, a fidarsi di sé stessa, a capire che finita una storia non finisce la vita. Ma in questo viaggio, che parte dalla prima pagina e finisce drasticamente all’ultima, ci sono tanti alti e bassi. I ricordi, i rimpianti, la nostalgia. È una cartina tornasole di sentimenti e sensazioni, di suggestioni e finte (perché a una certa età, forse, la verità è ancora lontana) convinzioni.

 

“Ma in fondo lo so”, scrive Josephine, “che là fuori c’è qualcuno per me, che non vuole solo scopare ma fare anche l’amore”. Tutta la tragicità e tutta la forza di “Romanzo esplicito” si riassumono brillantemente in questa frase. “Dopo di te, non ho più fatto l’amore”. È una di quelle cose che si dicono, che si ripetono, che ci si ostina a pensare per convincersi che non tutto è perduto, o che forse non tutto è stato inutile – e così anche la storia di Fumettibrutti sembra prendere una piega melodrammatica e chiudersi dolorosamente senza uno spiraglio di speranza.

 

Ma è, immaginiamo, parte dell’esperienza dell’autrice. Così com’è parte dell’esperienza che viene offerta al dolore. Come in “Maniac” di Netflix, la nuova serie tv di Cary Fukunaga, anche qui, emblematicamente, è la sofferenza a riunire e riavvicinare tutti. Il sesso? È una controindicazione: non un incidente di percorso; ma nemmeno, come qualcuno potrebbe pensare, una necessità. È più quello che rappresenta (o potrebbe rappresentare, ecco) che conta.

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